Siamo al terzo appuntamento dei resoconti del viaggio in Ucraina dei nostri collaboratori Luca Paglia e Stefano Pedrina, il primo col racconto, il secondo con le fotografie. Oggi, in occasione della giornata della donna, hanno cercato di spiegare cosa vuol dire essere donne in un Paese aggredito, bombardato, da un anno in guerra. Paglia e Pedrina, due giovani veneti laureati in Storia, hanno voluto recarsi nel punto oggi più critico del mondo.
A Leopoli sono poche le attività legate alla ristorazione
Vi sono decine di negozi d’elettronica posti a pochi metri l’uno dall’altro, edicole sparse agli angoli delle strade in cui è possibile acquistare sigarette a prezzi stracciati anziché i quotidiani, qualche bar-caffè ben rifornito di marmellate con cui farcire le brioche che si vendono sempre, ma i ristoranti proprio si fatica a trovarli. Sarà perché nell’ultimo anno il PIL dell’Ucraina ha subito un calo di circa un terzo del valore precedente al conflitto o che già da prima dell’inizio della guerra il paese scontava uno dei tassi di povertà più elevati del continente, fattori che costringono le persone a porre maggiore attenzione su come spendere il denaro. Il modo migliore di procurarsi del cibo per uno straniero è ordinare quello presente nel menù degli hotel, o recarsi nei supermercati a fare compere e cucinare in appartamento.
Dove siamo ora
Il nostro alloggio si trova vicino al centro della città, a pochi passi dal distretto regionale di polizia e il grande parco dedicato a Ivan Franko, poeta, giornalista e scrittore tra i più amati d’Ucraina. L’affittuario, un uomo sulla sessantina dalla faccia complessa e le spalle larghe, non conosce una parola d’inglese. Fa anch’egli parte di quella fascia di popolazione nata durante il periodo sovietico e cresciuta sotto il tacco dello stivale russo
Il regime che autorizzò negli anni Trenta il compiersi dell’Holodomor, una carestia causata volontariamente nel territorio nazionale ucraino che provocò nel giro di pochi anni circa sette milioni di morti (episodio mai riconosciuto ufficialmente dai governi russi), o che tentò di insabbiare il disastro nucleare che ha segnato la vita di un’intera generazione: Chernobyl. Lo stesso governo dittatoriale che nel corso del Novecento ha impedito agli Ucraini ‒ così come anche ad altri popoli ‒ di esprimere liberamente la loro cultura e di autodeterminarsi.
Una qualità che qui sembra proprio essere assente è l’espressività
Circolano volti rigidi, cementati in espressioni prive d’emotività: occhi semichiusi rivolti verso il basso, mascelle rigide avvolte da lunghe sciarpe o da alti colletti in pelliccia, labbra strette che si esprimono silenziosamente. Riusciamo a oltrepassare la barriera linguistica e culturale solo con un anziano taxista che parla abbastanza bene tedesco perché durante gli anni delle “due Germanie” lavorò come autista in quella dell’Est. Anche in questo caso, tuttavia, non siamo in grado di farci un’idea chiara del reale temperamento di questo popolo, che sembra custodire con estremo rigore un segreto non ancora rivelato al resto del mondo.
Non tentiamo nemmeno di scambiare due parole con i soldati che incrociamo: molti di loro hanno il volto segnato da occhiaie scure e profonde e la pelle tesa come quella di un timpano, anche tra di loro parlano a fatica. Dall’entrata in vigore della legge marziale la stragrande maggioranza degli uomini in “età militare” (compresa quindi tra i 18 e i 60 anni circa) hanno dovuto lasciare le loro precedenti professioni per arruolarsi. E’ evidente che l’assenza di una fetta importante e vitale della popolazione influisce in modo concreto sulla vita dell’intera Leopoli che, pur mantenendo la sua bellezza, è in attesa di ripopolarsi, di tornare a cantare.
Essere donne oggi
Nonostante ciò, è dal silenzio di questa città apparentemente ammutolita che, lentamente, iniziano a emergere le voci delle donne, soprattutto di quelle giovani. Una sorta di riflesso dovuto dalle circostanze che promette di portare nuova linfa nel futuro del sistema paese, considerando che la partecipazione avuta finora dalla componente femminile nella vita pubblica è stata praticamente nulla. Ne abbiamo la prova durante una cena organizzata in uno dei pochi locali in cui è possibile assaggiare dei tipici piatti ucraini, principalmente composta da patate, carne stufata e verdure cotte. Oksana e Katia sono due studentesse di giurisprudenza dell’Università di Leopoli, conosciute poco dopo essere arrivati in città, che hanno esaudito la nostra richiesta di farci provare del cibo locale e grazie alle quali abbiamo potuto approfondire almeno in parte le conseguenze del dramma in corso e comprendere il reale stato d’animo degli abitanti.
Essere donne in un paese che si è trovato sotto attacco. Come si comportavano le persone all’inizio, erano impaurite?
“Molto. Era mattina presto e le televisioni a rete unificate già trasmettevano la stessa notizia: l’Ucraina era in guerra e noi non sapevamo cosa fare. Abbiamo pianto tanto; ci buttavamo a letto e le lacrime iniziavano a cadere automaticamente, non avremmo mai pensato di trovarci improvvisamente in guerra, di rivivere i racconti dei nostri nonni. La gente è corsa nei supermercati per fare scorte di provviste, mentre, chi ha potuto fuggire l’ha fatto. La città e le strade che portavano al confine erano completamente intasate, c’era il panico generale”.
Cosa ne pensate del conflitto? Cosa vi aspettate che possa accadere nei prossimi mesi? Essere donne non deve essere facile adesso
“Nessuno può dirlo con certezza, ma la guerra continuerà ancora a lungo. Anzi, s’intensificherà con l’arrivo della primavera, e almeno che non si riuscirà a stipulare un trattato di pace sarà così per molti anni. Noi Ucraini pensiamo che questa guerra sia ingiusta, desideriamo far parte dell’Europa, entrare nell’Alleanza Atlantica al vostro fianco e liberarci una volta per tutte dal giogo della Russia, ma purtroppo ci viene impedito, siamo stati invasi principalmente per questa ragione”.
Essere donne vuol dire spesso non essere ascoltate. Parlate di pace, quindi sareste disposti ad accettare un compromesso?
“Non possiamo cedere le regioni contese in cambio di tregua. Quei territori fanno parte dell’Ucraina, cederli significherebbe creare un precedente, dare l’opportunità anche ad altri paesi di invadere regioni contese con la certezza di farla franca. Noi vogliamo la restituzione di ciò che ci è stato sottratto e un compenso economico per i danni che abbiamo subito. Solo allora potremo parlare di pace e questa volta siamo disposti a tutto per ottenerla, anche di doverci arruolare noi stesse nel Battaglione Azov… cosa che abbiamo pensato più volte di fare”.
Ma non avete il timore che possa essere usata la bomba atomica, a lungo andare?
“Certo che abbiamo paura, ma se la Russia dovesse utilizzare l’arma atomica significherebbe dare inizio a un conflitto molto più grande, forse alla Terza guerra mondiale. Non ci stupiamo più di nulla, ma speriamo che non accada”.
In Italia molti non sanno a cosa credere. Essere donne, oggi 8 marzo, soprattutto vuol dire farsi sentire e ascoltare. Cosa direste a coloro che sono contrari all’invio di armi?
“Che non possono capire cosa significa vedere il proprio paese invaso, provare rabbia e, talvolta, odio per tutto quello che sta accadendo. Fino a prova contraria è stato Putin assieme al suo entourage a voler invadere. Lui desidera schiacciarci, teme il modo di pensare europeo, gli usi e i costumi democratici che il suo potere autoritario combatte da sempre. Non si è reso conto che negli ultimi vent’anni il mondo è cambiato radicalmente. Non esistono più il blocco capitalista e quello comunista, la globalizzazione ha fatto il suo corso; pure in Russia ci sono molti nostri coetanei che la pensano allo stesso modo, ma rimangono in silenzio perché temono di poter subire delle ripercussioni come tutti coloro che si sono messi contro Putin. Quando il suo potere verrà meno, siamo sicuri che inizieranno a far sentire la loro voce”.
Essere donne in Ucraina oggi. Cosa rimpiangete del passato?
“La cosa che più manca a noi giovani è la libertà di scelta. Siamo costretti ad arruolarci, a rinunciare di studiare per abbracciare un fucile. Fatichiamo a mantenerci autonomi, gli stipendi sono bassi e molti di noi non possono partire per andare all’estero. Siamo in trappola e vorremmo far sentire le nostre voci. In particolare, noi donne e alcuni studenti, stiamo organizzando delle manifestazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica su quelli che sono le nostre necessità. Desideriamo solo la normalità. Non doverci alzare da un tavolo alle 22:30 per colpa del coprifuoco di mezzanotte. Appena finisce questa maledetta guerra veniamo a trovarvi in Italia, è una promessa!”.