Ogni giorno muoiono personaggi di rilievo. Alcuni sono nomi che ai giovanissimi dicono poco. Ad aprile se n’è andata suor Paola, in realtà Rita d’Auria, uno dei personaggi più azzeccati di “Quelli che il calcio”, la splendida trasmissione ideata da Marino Bartoletti, nel 1993, su Rai3 e poi passata su Rai2, con Fabio Fazio in conduzione. Era la suora più popolare d’Italia.
Chi era Suor Paola

Era tifosa della Lazio, qualche volta era nello studio Rai, più spesso allo stadio Olimpico e aveva battagliato con il suo ordine religioso per andare in tv a fare proselitismo. Aveva 77 anni, era vulcanica e dolce. Andava allo stadio anche prima e dopo la tv, seduta in tribuna e gradita al presidente Claudio Lotito. Sciarpa al collo e tonaca, a tifare.
Originaria di Roccella Jonica, provincia di Reggio Calabria, era della congregazione delle suore scolastiche francescane di Cristo Re. Arrivò a Roma a 20 anni, era molto devota alla madonna di Lourdes. Grazie alla popolarità arrivata dalla televisione, negli anni ha sostenuto iniziative benefiche con la SoSpe (solidarietà e speranza), aiutando i giovani in difficoltà e i detenuti.
“Quando si è con i bambini, con le ragazze madri, con i terremotati, i tossicodipendenti o semplicemente con chi ci chiede un appoggio morale – scriveva suor Paola -, occorre usare per tutti lo stesso metro di disponibilità e positività, perché possano crescere migliori, sentendosi amati”.
Nel 2021 divenne ufficiale al merito, per decisione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Quel giorno raccontava: «Nella casa-famiglia sono arrivati anche bambini soli, senza mamma. I piccoli si affezionano alle operatrici, che però ogni sei ore finiscono il turno, e manca loro un punto di riferimento stabile. Perciò vorrei aprire una casa per i minori non accompagnati, sempre più numerosi in Italia. Un’altra cosa che vorrei fare è aprire una casa per i papà separati: nei miei giri per la città ne incontro tanti che dormono in macchina perché non sono in grado di pagare il secondo affitto di una casa: un mio ex compagno di università si è abbonato per 50 euro al mese a una palestra dove va ogni mattina a farsi doccia e barba prima di andare in ufficio. Ci sono molte storie così, nuove forme di povertà che la pandemia ha messo in sordina”.
Dopo Suor Paola Giussy Farina

Due settimane fa se n’è andato Giussy Farina, il presidentissimo del Real Vicenza, la squadra mito della città del Palladio.
Andai a trovarlo con Vanni Zagnoli nel marzo del 2012, per Mediaset premium, che oggi non esiste più. Come è finita La Tribù del calcio, la trasmissione ideata da Paolo Ziliani, grande firma di Mediaset, oggi in pensione, per raccontare storie, valorizzate anche da Tgcom24.
Una chiacchierata articolata, sulla carriera di Giuseppe Farina, dallo scudetto sfiorato con i biancorossi allo “sgarbo” all’avvocato Agnelli per Paolo Rossi e alla retrocessione del Vicenza.
L’incontro avvenne nel ristorante “Veronese” in cui andava spesso a cena.
«Di quel che dico non ho le prove – confessava -: ma sono certo che quando mi rifiutai di dare Paolo Rossi alla Juventus, facendo uno sgarbo all’Avvocato, il Palazzo mi punì mandando il Vicenza in serie B; quella stessa squadra, quello stesso allenatore, quegli stessi giocatori che l’anno prima erano andati vicinissimi a vincere lo scudetto. In quell’occasione lo vinse la Juventus perchè successero cose un po’ strane».
La querelle di Paolo Rossi

Giussy fu al vertice del Vicenza dal 1968 al 1980. Ricordava i particolari dell’acquisto di Pablito: «Paolo Rossi l’avevo acquistato in comproprietà dalla Juventus su consiglio di Oscar Damiani, un mio ex giocatore. Mi fidai. Feci un affare e fui anche fortunato perchè Vitali, il centravanti titolare, se ne andò dal ritiro in disaccordo per l’ingaggio”.
Rossi cominciò così a giocare e nessuno gli portò più via il posto. “Al suo primo anno in serie A segnò 24 gol in una squadra che l’allenatore Gibì Fabbri faceva giocare come l’Ajax di Cruijff. Eravamo i più bravi e meritavamo lo scudetto».
Farina ritornava sull’incontro con la Juventus per l’acquisto dell’attaccante che sarebbe diventato capocannoniere del mundial di Spagna, nel 1982. «Un giorno, a fine stagione, nel 1978, arriva Italo Allodi e mi dice: ‘Ti porto a Torino, l’Avvocato vuole Rossi a tutti i costi, andiamo da lui’. Così facemmo, ma poichè il giocatore era mio al 50 per cento io dissi: ‘caro Avvocato, Rossi glielo do, ma ci meritiamo di tenerlo a Vicenza ancora un anno».
Le cose andarono in modo diverso. «Niente da fare, l’Avvocato lo voleva subito, senza discussioni, e a quel punto andammo alle buste. La Juve offrì per la metà 800 milioni di lire, o poco più, mentre io 2 miliardi e 612 milioni. Presi Rossi, successe un pandemonio e Franco Carraro, presidente della Federazione, fece il gesto di dimettersi perchè lo scandalo fosse più grande di quel che era. Morale della favola: l’anno dopo, con lo stesso Vicenza che aveva sfiorato lo scudetto, finimmo in serie B. Ripeto, non ho le prove di quel che dico, ma lo pensai allora e continuo a pensarlo oggi, a più di 30 anni di distanza: fu il Palazzo a mandarci in B in segno di vendetta per lo sgarbo che avevo fatto».
Sette anni fa, Giuseppe Farina viveva ancora a Verona.
Dopo Suor Paola anche Giussy si racconta

“Ho una casetta in collina, a Lughezzano, ovvero luogo sano. Tutti i dirigenti sono bravi, a parole, basterebbe avere amore per il calcio. Va vissuto giorno per giorno, conoscendo tutti i problemi: io ero in sede quotidianamente, non sfuggiva niente di quanto succedesse fra i giocatori. Ai tempi miei c’era entusiasmo, c’era vita attorno al calcio anche solo nel 2016, con la semifinale playoff ottenuta con Pasquale Marino. La crisi si trascina, come nelle malattie inarrestabili”.
Come si spiegano i fallimenti rituali, nel ricco Nordest? “Noi eravamo stati in A per 19 anni di fila. Altrove se non arriva la massima serie la passione si disperde”.
Non le hanno mai chiesto aiuto?
“No. Se lo domandassero, sarei felice di dare idee: non ho l’età, come cantava Gigliola Cinquetti, a 84 anni. Serve gente piena di soldi e soprattutto vicina alla società sportiva. Avevamo 20mila abbonati, non solo per Paolo Rossi”.I 6123 del Vicenza non erano pochi, per la serie C dello scorso decennio. E anche di oggi, con la volata vinta dal Padova, risalito in serie B e ora al Vicenza restano i playoff.
In terra berica ci fu la prima proprietà straniera, con l’inglese Enic, adesso nel nostro calcio si sono moltiplicate. Perchè investono poco?
“Il problema non sono gli asiatici di Milan e Inter – che poi avrebbero ceduto -, in Europa i presidenti stranieri sono diffusi. Serve l’amore per il pallone, sentire il calore dei risultati. Diceva l’allenatore Manlio Scopigno: il calcio è la più bella roba del mondo, peccato che la domenica si debba giocare. Ovvero c’è il rischio di perdere”.
Nel 2018 ci fu anche la corsa alla presidenza federale, che poi avrebbe portato alla elezione di Gabriele Gravina, ancora in carica.
“Suggerisco di ispirarsi ad Artemio Franchi: era un fenomeno, per capacità e umanità, semplificava tutto. Nel mio calcio il padovano Franco Carraro era presidente di Lega, ma non c’era paragone. Serve capacità di sopportazione”.
Farina, fu proprietario anche di Padova e Rovigo e di altre 6 società. Qual è il ricordo più bello?
“Naturalmente quel secondo posto con il Vicenza, avremmo meritato lo scudetto al posto della Juve. Si creò grazie anche ai primi acquisti, i difensori Carantini e Volpato. Rossi non sarebbe bastato, senza difesa. Dallo stadio Menti manco da 5-6 anni, non vado perchè altrimenti mi commuovo”.
Il nostro ultimo contatto con Farina fu nel 2020, dopo la morte di Paolo Rossi. Allora era già in una struttura protetta, nel Veronese, e lo aiutammo a ricordare.
E’ possibile che siano gli ultimi contributi in voce trovabili sul web con Giuseppe Farina. Uno dei figli è Francesco, già presidente del Vicenza e poi del Modena e ora sindaco di Palù (Verona), per la Lega.
Padre e figlio erano simboli di un calcio che non c’è più. E quel Vicenza fu Real anche perchè fra il 1968 e il 1980 non c’erano stranieri, nel nostro pallone.