Ma chi l’ha detto che le librerie indipendenti, a Venezia, vanno scomparendo? Qualcuno, come lo scrittore Giovanni Montanaro, le ha contate, per principio, per amore. In Centro Storico ne esistono ventidue, Giudecca e Lido compresi. Più un’altra – la Moby Dick a San Giacomo dell’Orio – che in realtà non esiste. Anzi esiste nella fantasia dell’autore ed è la protagonista del suo ultimo romanzo Il libraio di Venezia, per i tipi di Feltrinelli.
Librerie e Moby Dick
Il libro è talmente vivo che la Moby Dick sta là: piccola, ordinata, rifornita, all’angolo tra il campo e calle del Tentor, in una delle zone più vivaci della città. Qualcuno magari ricorderà le vicende dell’Antico Teatro Anatomico, La Vida, e l’orgoglio dei residenti che per mesi l’hanno pacificamente abitata e animata. Ecco, il campo che racconta Montanaro è così. Resistente e verace. Qualche bottega per i veneziani sparita, come la merceria della signora Rosalba. Il bar del cinese Chung, dove prima c’era un negozio che vendeva lavatrici. Eppure, nonostante tutto, come afferma l’autore (correndo persino il rischio di fare della retorica) «Venezia è sempre bellissima».
Niente retorica per le librerie
Però il volume, di retorica, non odora proprio. Perché è una storia vera quella che si racconta, come ha spiegato lo stesso Montanaro nella prima presentazione assoluta del libro, tenutasi rigorosamente online per la rassegna cortinese “Una Montagna di libri”. «Un romanzo nato ferocemente dalla realtà».
I personaggi
Ci sono Vittorio, il libraio della Moby Dick – limpido quarantenne venuto dalla montagna, improbabili camicie di flanella a scacchi e scarpe grosse, con un amore sconfinato per i libri – e il piccolo grande mondo che ci gira intorno. Una storia d’amore forse appena abbozzata, nel novembre di un anno fa. È la cronaca – narrata magistralmente, con un ritmo a tamburo, incalzante – dell’Aqua Granda che devasta ogni cosa. Distrugge i mobili ed infrastrutture, lascia nella desolazione famiglie e attività. I sogni e i problemi di tutti. I libri sparsi per il campo, bagnati, inservibili della Moby Dick sono il simbolo di quella che poteva sembrare una disfatta assoluta.
L’Aqua Granda e le librerie
Perché Giovanni Montanaro c’era e non ha potuto fare a meno di raccontare quell’acqua cattiva, che saliva invece di scendere, il vento, l’oscurità. Sceglie l’espediente narrativo di una voce narrante esterna, che osserva e partecipa dall’alto (un personaggio importante nello svolgimento della vicenda, anche se è bene non svelare nulla). Tuttavia, la forza di questo romanzo, la sua verità, è anche altrove. «Crepe di felicità nel disastro che pareva assoluto» ha suggerito Montanaro.
Una storia che si ripete
È anche la storia del giorno dopo, e di quelli successivi. Una trama di profonda solidarietà che sembra appartenere al plot narrativo e invece è reale, quanto la realtà può essere incredibile, talvolta meravigliosa. Racconta dei ragazzi organizzati da subito per dare una mano, veneziani e venuti dalla Terraferma, a sgomberare dal fango abitazioni e cantine, raccogliere macerie e dispensare sorrisi. Racconta dei gesti imprevisti, come quello dell’elettricista giunto da Treviso per aggiustare gratis gli impianti di chi ne aveva bisogno.
Una vista dalla finestra
Dalla sua finestra, l’io narrante – che presumiamo anziano – annota ogni particolare, dapprima con angoscia, poi con intima soddisfazione. Anche se tutto sembra contro di lui, il libraio Vittorio ricostruisce pezzo a pezzo la sua esistenza, trovando aiuti inattesi. Il parroco gli ordina una trentina di Bibbie per i parrocchiani, un insospettabile apre un conto da lui con i risparmi, in molti vogliono comprargli i libri umidi perché non li butti via. E pazienza se il padrone del fondo intende raddoppiargli l’affitto (storia tristemente vera, purtroppo). Vittorio ha quell’amore giovane con cui non si decide a fare il primo passo, e anche questa è vita.
Le emozioni delle librerie vivono nelle pagine
L’affresco di Giovanni Montanaro, venuto bene e in fretta sull’onda delle forti emozioni di quei giorni, si è poi concretizzato in una riflessione più profonda sullo stato delle ventidue (più una) librerie indipendenti della città. Tutte toccate dall’Aqua Granda, tutte costrette a grandi lavori per salvare il salvabile. E il Covid ha fatto il resto. Così il suo romanzo è completato da una mappa e da una guida che le racconta «tenaci come guerrigliere, eleganti come principesse».
Una parte del ricavato dalle vendite sarà devoluto al sistema libraio indipendente: «L’importante – commenta l’autore – sarebbe che il Ministero competente accettasse questi soldi, ma la situazione per il momento è un po’ kafkiana …»
È il bello dei progetti, almeno in Italia. La speranza è d’obbligo.