Sia a Mestre che a Venezia, la situazione è abbastanza simile e preoccupante. Sono centinaia le vetrine dei negozi con scritto “affittasi” o “vendesi”. Un fenomeno fino a pochi anni fa inimmaginabile. Ne parliamo con Roberto Panciera, da due anni presidente Ascom del comune di Venezia.
L’analisi di Panciera sui negozi chiusi

“Possiamo partire da distante – analizza Panciera – la città metropolitana ha il più alto numero di ipermercati e outlet d’Italia. Solo il centro di Noventa di Piave, per la precisione “McArturGlen Designer Outlet”, é il più grande d’Italia con 170 negozi, 12 ristoranti, migliaia di posti gratuiti nel parcheggio auto, area giochi per bambini, baby service. I clienti giungono non solo dall’Italia, ma anche dalla Slovenia, Croazia, Serbia, Austria, Ungheria. Addirittura pullman organizzati dalla Polonia. Spesso l’autostrada è intasata e bisogna aspettare diverso tempo in coda per passare il casello di Noventa…. Quando poi si arriva all’aeroporto internazionale Marco Polo di Tessera il turista si trova subito davanti oltre 50 negozi, non solo di souvenir, ma un po’ di tutto. E questo è solo il biglietto da visita…”.
Non male come inizio…


“Oggi il fenomeno della chiusura di tanti piccoli negozi, va visto sotto tre aspetti: l’offerta, il consumo e i costi di esercizio. L’arricchimento dell’offerta commerciale è condizionato dalla forte presenza turistica. Anche il consumo è cambiato sotto questo aspetto. Fino a qualche decennio fa, il turista si accontentava di regalini e ricordi, diciamo di livello medio-basso. Poi il boom del vetro, dei merletti, dei souvenir, di maschere tutto a basso costo. Ma il primo attacco feroce, soprattutto dopo il Covid, con la città spopolata, si è notato nel settore dell’abbigliamento. C’è stata l’esplosione degli acquisti on-line con Internet. C’era chi entrava nei negozi, si provava abiti e scarpe, per poi acquistare comodamente a casa a prezzo ridotto. La vetrina virtuale ha fatto il resto: vedo, compro su Internet, ricevo il pacco a casa, provo e se non mi va bene, mando indietro. Una rivoluzione dei tempi. Poi c’è l’aspetto dei costi di esercizio. Gli affitti sono rimasti troppo alti, il costo del lavoro troppo elevato. Ma non per gli stipendi dei lavoratori che sono rimasti bassi, rispetto ad altri paesi europei, ma per i costi sociali esorbitanti. In Giappone un dipendente ha stipendi alti ma solo 15 giorni di ferie, in Italia retribuzioni più basse ma una media di 39 giorni di vacanza…”.
Soluzioni per i negozi?


“Per prima cosa abbassare gli affitti e paradossalmente dare più spazio ai cosiddetti negozi di vicinato. Pensi che a Marcon, ovvero il paese per antonomasia invaso da ipermercati e centri commerciali, esiste un negozietto di alimentari. Il titolare si chiama Paride Birello. Funziona alla grande. L’anno scorso come Confcommercio lo abbiamo premiato. Il negozio ha reagito puntando sulla qualità esclusiva. Si trovano formaggi francesi che non vedi negli scaffali del supermercato, vini biologici rari, prosciutti artigianali di grande bontà”.
Ma per esempio a Venezia quanti sono i negozi chiusi?

“Non abbiamo il numero preciso perché la situazione è in continua evoluzione. Se guardiamo quelli che uno sconosciuto veneziano ha dipinto le vetrine vuote con una fascia di vernice verde, sono oltre un centinaio”.
Siamo ottimisti?

“Non direi. Il 70% degli esercenti non è più iscritto al sindacato, alle associazioni di categoria. Noi però rappresentiamo un punto di riferimento di supporto e di indirizzo”.
Negli ultimi tempi sono esplosi i bar e le piccole osterie che offrono cicchetti e aperitivi. Un fenomeno sociale diffuso in tutte le città italiane che disturba, soprattutto di sera e di notte, la pubblica quiete. Ne sanno qualcosa gli aderenti al “Comitato danni da movida”. Centinaia di iscritti per una città a misura di residenti.
Ultima annotazione: le edicole dei giornali. Si sono trasformate in piccoli tempietti di paccottiglia. Per intravvedere i quotidiani semi-nascosti occorre una lente di ingrandimento. E anche questo é un segno dei tempi. La carta stampata sembra più un ricordo del secolo scorso.