Il trattato oceanico, oggetto di uno storico accordo, vede la luce dopo due decenni di negoziazioni e, finalmente, alle Nazioni Unite è stato siglato un documento che ha ad oggetto la protezione di quell’area dell’alto mare che si trova oltre le acque nazionali e che accoglie il più grande habitat sulla Terra, popolato da milioni di specie animali e vegetali. Il trattato è figlio, ma anche strumento, dell’accordo di Kunming-Montreal, il primo vero accordo globale di ampio respiro per garantire la stabilità dei servizi ecosistemici fondamentali per la sicurezza umana, lo sviluppo economico e la tutela della natura che, tra l’altro, prevede di arrivare ad almeno il 30% di protezione degli oceani del mondo entro il 2030.
L’alto mare?
L’alto mare copre circa due terzi degli oceani e identifica e limita l’area di acque internazionali a 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa. Aree dove gli Stati hanno diritto di svolgere attività, come pesca, navigazione o ricerca, ma da effettuarsi con grande cura e attenzione, perché sono cruciali per la biodiversità e la tutela del clima. L’accordo raggiunto si propone di mantenere l’obiettivo di proteggere il 30% degli oceani del mondo entro il 2030 e creare aree completamente o altamente protette negli oceani del mondo. Il testo è attualmente ancora sottoposto alla revisione tecnica e alla traduzione nelle varie lingue e sarà immediatamente dopo adottato ufficialmente in una sessione dei lavori dedicata.
Come si è arrivati al trattato ONU sull’alto mare
La High Ambition Coalition – che comprende Ue, Stati Uniti e Regno Unito – e la Cina sono stati i soggetti determinanti nella mediazione che ha portato all’accordo; ma, com’è ovvio immaginare, non tutti sono pienamente soddisfatti: “Ci sono ancora difetti nel testo e i governi devono garantire che il Trattato sia messo in pratica in modo efficace ed equo affinché possa essere considerato un Trattato veramente ambizioso” commenta Greenpeace, pur riconoscendo che il trattato “è una vittoria monumentale per la protezione degli oceani e un segnale importante che il multilateralismo funziona ancora in un mondo sempre più diviso”.
Rebecca Hubbard e l’alto mare
“Dopo due settimane di trattative e sforzi da supereroi nelle ultime 48 ore, i governi hanno raggiunto un accordo su questioni chiave che promuoveranno la protezione e una migliore gestione della biodiversità marina in alto mare”, commenta Rebecca Hubbard, direttrice della High Seas Alliance, partenariato di organizzazioni e gruppi che vogliono costruire una forte voce comune per la conservazione dell’alto mare. L’Alleanza è attualmente composta da oltre 40 Ong più l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).
Naturalmente, la questione del reperimento di finanziamenti sufficienti per l’attuazione del Trattato e le questioni relative alla equa condivisione dei benefici derivanti dalle risorse genetiche marine ha costituito il principale motivo di discussione e, in qualche momento, di scontro tra i governi coinvolti; tuttavia, alla fine i governi sono riusciti a concludere un accordo che prevede l’equa condivisione di questi benefici derivanti dal mare profondo e dall’alto mare.
L’importanza dell’alto mare
L’applicazione di quanto previsto dal trattato per la protezione dell’alto mare è indispensabile se vogliamo finalmente fornire la doverosa (adeguata) protezione alla vita marina, considerando il fatto che ne va della vita del nostro unico oceano, senza dimenticare quanto lo stato di salute dei mari sia indispensabile anche alla buona salute climatica, al benessere socioeconomico e alla sicurezza alimentare di tutti noi.
Laura Meller
“I Paesi devono adottare formalmente il Trattato e ratificarlo il più rapidamente possibile per metterlo in vigore, e quindi fornire i santuari oceanici completamente protetti di cui il nostro pianeta ha bisogno. Il tempo stringe ancora per consegnare 30×30. Abbiamo ancora mezzo decennio e non possiamo essere compiacenti” ma “è una giornata storica per la conservazione e un segno che in un mondo diviso, la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica“, commenta Laura Meller, attivista di Greenpeace Nordic. “Lodiamo i Paesi per aver cercato compromessi, messo da parte le differenze e consegnato un Trattato che ci consentirà di proteggere gli oceani, costruire la nostra resilienza ai cambiamenti climatici e salvaguardare le vite e i mezzi di sussistenza di miliardi di persone – prosegue Meller – ora possiamo finalmente passare dalle chiacchiere al vero cambiamento in mare”.
E l’Italia?
“L’accordo raggiunto alle Nazioni Unite per la protezione dell’alto mare è motivo di soddisfazione per l’Italia. Gli oceani sono lontani da noi, ma dal loro stato di salute dipende la vita del Mediterraneo e delle specie che lo popolano. Gli obiettivi europei di salvaguardia della biodiversità affermati alla Cop15 di Montreal sarebbero irraggiungibili senza la consapevolezza comune che gli oceani sono parte ineludibile di questa partita, in cui salvaguardia ambientale, questioni climatiche e sviluppo economico sono unite in un comune destino” afferma il nostro Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto.
“Anche l’Italia – ha ricordato inoltre il ministro- ha condiviso la necessità di avere a livello globale nuovi e più ambiziosi obiettivi di tutela, col 30% delle acque dei mari ed oceani sottoposti a misure di salvaguardia, di cui almeno un 10% maggiormente stringenti”. Infine, ha concluso Pichetto, “attraverso il progetto MER (Marine Ecosystem Restoration – Ripristino dell’Ecosistema Marino), il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha deciso di investire sulla salvaguardia della biodiversità marina con 400 milioni di fondi del Pnrr”.
Il progetto PNRR MER
MER (Missione MISSIONE_2 rivoluzione verde e transizione ecologica COMPONENTE_4 tutela del territorio e della risorsa idrica INVESTIMENTO 3.5 ripristino e la tutela dei fondali e degli habitat marini) è il più grande progetto sul mare nell’ambito del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, che vede ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) come attuatore e il Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica come amministratore del finanziamento di 400 milioni, stanziati per il 2022-2026. Il progetto prevede interventi per il ripristino e la protezione dei fondali e degli habitat marini, il rafforzamento del sistema nazionale di osservazione degli ecosistemi marini e costieri e la mappatura degli habitat costieri e marini di interesse conservazionistico nelle acque italiane con l’acquisizione di una nuova unità navale oceanografica, dotata di apparecchiature altamente tecnologiche in grado di sondare i fondali fino a 4000 metri di profondità.