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Se una banca fallisce cosa succede?

Roberto Tumbarello di Roberto Tumbarello
26 Mar 2023
Reading Time: 15 min
Se una banca fallisce cosa succede?
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Avete sentito delle banche che falliscono? Io stento a crederlo. Persino in Svizzera, dove un tempo il denaro era al sicuro. È per questo che ce lo depositano tutti quelli che ne hanno in abbondanza. Com’è possibile che oggi siano in crisi con tanti soldi in circolazione? Per la verità, io non ci capisco molto. Anzi, non ci capisco niente. Ma so che dove c’è denaro non è improbabile che siano anche corruzione e, quindi, imbrogli. Ecco perché ho il sospetto che sotto queste crisi e le conseguenti spiegazioni e giustificazioni ci sia la fregatura. C’è sicuramente tra voi chi pensa che gli sta bene a chi esporta soldi per nasconderli all’estero. Così impara e la prossima volta li lascerà in Italia, dove lo stato assicura i depositi fino a una certa entità e dove la sopravvivenza della banca è garantita a carico del contribuente.

Il caso banca Credit Suisse

Quello che deve preoccupare è che fino a una decina di anni fa la banca Credit Suisse era l’ottavo maggiore istituto quotato del mondo. Adesso ha chiesto alla banca centrale un prestito di 50 miliardi di franchi svizzeri – c’è la parità di valore con l’euro – per pagare i debiti e ricominciare daccapo. Vuol dire che anche i colossi che garantivano sicurezza sono diventati banche d’affari. Il banchiere sa che il più delle volte i depositi provenienti dall’estero sono di natura fraudolenta. Se no, li metterebbero nelle banche del proprio paese. Non che siano più sicure. Anche da noi, in Italia, c’è chi presta soldi a chi non li restituirà perché appartiene a un gruppo politico, non necessariamente egemone. Poi interviene in soccorso lo stato. Quindi, chiunque può reclamare il possesso del denaro. Esportare soldi, invece, è illegale.

In caso di scomparsa del denaro, non si può reclamare, se no, si denuncia l’illecito con cui se lo si è procurato. C’è anche chi ha la dabbenaggine di portare soldi, per lo più sporchi, nei paradisi fiscali. Lì ne so ancora di meno, ma – sempre per lo stesso principio che dove ce ne sono tanti c’è altrettanta corruttela – ritengo che la truffa sia ancora più facile. Ecco perché temo che, poi, sia improbabile recuperarli. Non si sa neppure dove si depositino. In banche, in istituti privati, in fondi d’investimento? Chi li garantisce? In quei paesi le banche non falliscono? Nessuno scappa col bottino? Che succede quando c’è una rivoluzione o un colpo di stato? Non se ne sa nulla, bisogna fidarsi. Non viene mai fuori alcuna notizia sui giornali. Infatti, le mafie non ci depositano i loro soldi in una banca del genere. Preferiscono correre il rischio di riciclarli in Italia.

Se la banca fallisce in USA e Svizzera

Se falliscono negli USA e in Svizzera banche importanti, figuriamoci in quei paradisi che prosperano grazie ai tanti Pinocchi che credono nel paese dei balocchi dove basta piantare zecchini d’oro per vederli poi crescere. Certo, pure da noi ci sono misteri e misfatti nascosti. Se no, non cadrebbero funzionari dal terzo piano che qualcuno probabilmente spinge al suicidio. Ma poi non se ne parla più. Tutto si mette a tacere, persino biechi delitti, quando ci sono di mezzo tanti soldi.

In circostanze come questa è inevitabile che torni alla mente il fallimento della Lehman Brothers, la quarta banca d’affari più importante degli USA – 15 settembre 2008 – che con 7 miliardi di dollari di debito, mise sul lastrico centinaia di imprenditori, risparmiatori e 26mila dipendenti. Ma la truffa finanziaria più clamorosa e recente – 11 dicembre 2008 – la organizzò Bernie Madoff, un banchiere molto stimato di New York che truffò 65 miliardi ai suoi clienti ai quali prometteva un interesse del 10% l’anno. Fu scoperto dopo diverso tempo perché sparivano gli investimenti ma corrispondeva puntualmente a tutti gli interessi. Scoperto, ne restituì la metà, e fu condannato solo a 150 anni di reclusione. Morì in carcere a 83 anni.

Proviamo a passare dalla crisi della banca a chi ha il potere non lo lascia mai

C’è stato il primo incontro-scontro alla Camera tra Giorgia Meloni e Elly Schlein, interessante ma come una partita amichevole, senza particolari emozioni. Sempre le stesse accuse da una parte e le medesime giustificazioni dall’altra. Comunque, secondo i sondaggi – per il valore che possono avere – dall’elezione della Schlein, che è una novità rispetto al passato, il PD è miracolosamente tornato al 20% e ci sono state migliaia di nuove iscrizioni, cosa che non succedeva più da diversi anni. Però, il vero problema del PD – chissà se la Schlein l’ha individuato – è la riunificazione della sinistra che non sarà di facile attuazione. Perché ormai, chi ha il potere non lo lascia nemmeno davanti al plotone di esecuzione. Se ne andarono dal PD Bersani, Speranza e altri al tempo della segreteria Renzi. Anziché cercare di mettere lui in minoranza, se ne andarono loro per formare un altro partito di sinistra e creare altre cariche di potere. Oggi parlano come se fossero rientrati nel PD, ma sono ancora membri di Articolo 21. C’è un presidente, alcuni vicepresidenti e tanti componenti del direttivo.

Ognuno ha una fetta di potere seppure il gruppo sia formato da quattro gatti. Ecco perché la riunificazione è sempre complicata. Non sono mica stupidi da lasciare cariche, che, seppure di minoranza hanno sempre un certo potere. Ormai Renzi se n’è andato da tempo per formare un altro partito, avendo la necessità fisica di essere sempre leader. Pochi lo hanno imitato. I suoi seguaci sono rimasti nel PD e magari gli sono ancora devoti. Lo hanno abbandonato solo coloro che avevano capito che non è di sinistra. Però, la logica avrebbe voluto che finita la segreteria Renzi, tornassero tutti nel PD. Chissà se la Schlein sarà capace di compiere il miracolo di riunificare il partito o di sputtanare i dissidenti perché gli elettori sappiano che più che affezionati alla sinistra lo sono al potere, per decidere delle liste elettorali e, qualcuno, per fare eleggere anche la moglie al parlamento, come Franceschini e Fratoianni. Quindi, combattono i privilegi altrui, ma non quelli che li riguardano.

Non sempre le colpe sono al vertice

Non sempre le responsabilità sono del vertice, talvolta – specie in politica – sono della base. Quando 40 anni fa andai a Buenos Aires per seguire la guerra delle Falkland – quattro isolotti gelati e improduttivi di cui il dittatore Videla aveva rivendicato la proprietà e dichiarato guerra al Regno Unito se non gliele avesse cedute – trovai un’inflazione che cresceva di giorno in giorno. Margareth Thatcher, anziché regalargliele – avevano tanto poco valore che gli abitanti non godevano neppure della condizione di sudditi britannici – partì, arma in resta, con una flotta armata per affrontare il nemico che dista da Londra 7 mila miglia, cioè 11 mila km. In Argentina, mi raccomandarono di non convertire in pesos i dollari, che avevo acquistato in Italia, perché l’inflazione li avrebbe divorati. Infatti, continuavo a pagare in dollari e vedevo aumentarne il valore. Oggi leggo che lì l’inflazione continua a crescere. E mi chiedo come sia possibile che con le ricchezze che possiede quel paese non riesca a superare la crisi ormai endemica, ma non fallisca neppure.

Dalla banca in crisi all’autonomia differenziata

C’entra sicuramente la politica che può essere incapace, ma, dopo 40 anni, forse anche disonesta. Noi, invece, che non possediamo nulla e che siamo persino corrotti, per fortuna, siamo ricchi. Piangiamo sempre miseria e ci lamentiamo continuamente, ma non ci manca nulla, tranne al Sud, povera gente, ma non ha importanza. Quelli sono ormai abituati alla miseria. Distratti dal bel tempo e da un clima particolarmente mite, credono di vivere in un paradiso terrestre e di fare invidia agli altri. Non so se è il destino di tutti i Sud del mondo. Infatti, l’Argentina è un grande paese del Sud America. Da noi, per illudere il Sud di credersi benestante come la Padania, ma, in realtà, per aumentare le difficoltà in cui tutti si dibattono, entrerà tra poco in vigore l’autonomia differenziata. Inutilmente politici, economisti e sindacalisti ne hanno spiegato i difetti. Persino Confindustria osteggia questa riforma, definendola un tema di divisione del paese.

Banca, soldi, Nord e Sud e in mezzo un ponte

Per addolcire la pillola si annuncia la costruzione di un’opera colossale – molto più delle Piramidi – al Sud, il Ponte sullo Stretto. Non è una novità. Si annuncia da decenni perlopiù in campagna elettorale. Tanto che la mafia non ci crede più. Finalmente otterrà la concessione. Forse, dopo i naufragi e l’aumento degli sbarchi, tanto bla bla bla e pochi risultati, il governo ha bisogno di un rilancio. E seppure non siamo in campagna elettorale annuncia la realizzazione del Ponte. Pare che questa volta sia fatta e persino in tempi stretti. I lavori dovrebbero cominciare entro la primavera del 2024.

E la mafia ringrazia. In realtà, questa è sempre stata la ragione dei rinvii. Investire otto miliardi di euro in un territorio controllato strettamente da Cosa nostra non era saggio. Ora sembra che lo sia. Siciliani e calabresi, però, che dovrebbero essere i beneficiari dell’opera, non fanno salti di gioia. In quelle regioni immerse nel mare mancano ferrovie, autostrade, ospedali, asili nido e tutto ciò che serve a una vita dignitosa. E soprattutto posti di lavoro, non solo per la durata della costruzione di un ponte che arricchirà solo gli imprenditori. Un altro dei motivi per cui se ne parla da sempre e non si è mai realizzato è la natura sismica della zona. Per quanto la tecnica delle costruzioni sia ormai progredita, è sempre un rischio, soprattutto per una costruzione talmente monumentale.

Per di più con le tensioni che l’aggressione della Russia in Ucraina ha creato e l’intenzione di destabilizzare l’occidente, non è molto saggio progettare una tale opera. Secondo Paolo Gentiloni, Commissario all’Economia dell’Unione europea – ed è d’accordo anche il Governatore della Banca d’Italia Visco – prima del Ponte sullo Stretto e della Flat Tax, che contrastano coi propositi del PNRR per l’incasso dei fondi europei, il governo dovrebbe preoccuparsi di perfezionarlo tenendo presente che gli obiettivi principali del Piano sono l’innovazione, la lotta alle disuguaglianze e la sfida ambientale.

Dalla banca che fallisce ai francesi che ancor s’incazzano

La rivoluzione francese – 14 luglio 1789 – non doveva essere molto differente dei moti che travagliano la Francia da un po’ di tempo. In questo momento, però, la reazione di questo popolo sempre incazzato mi sembra esagerata. Era raccapricciante la rivolta dei gilet gialli di qualche anno fa per l’aumento dei prezzi del carburante. Ma le proteste di oggi sono addirittura più esagitate solo perché Macron intende aumentare l’età pensionabile da 62 a 64 anni. È una saggia e indispensabile iniziativa, visto il notevole aumento dell’età media e il problema non indifferente di corrispondere le pensioni se, tra qualche anno, come in Italia, i pensionati saranno più numerosi di chi li dovrà mantenere.

Ma al popolo questi problemi non interessano. Vogliono andare in pensione a 62 anni e non un mese più tardi per poter poi lavorare in nero e mettere da parte più soldi. Ecco perché i francesi si stanno ribellando e mettendo il paese a soqquadro essendosi Macron avvalso del potere che il semi presidenzialismo gli conferisce – lo stesso sistema che la maggioranza vuole adottare anche in Italia – e ha decretato la legge senza l’approvazione del parlamento. Come la Roma di Nerone, oggi anche Parigi brucia, ma questa volta per un pretesto dei citoyens ai quali del bilancio dello stato non importa nulla.

Banca e bilancio? A chi protesta importa poco

Se il presidente, incaponito sui 64 anni, che è il minimo necessario per assicurare le pensioni, non è passato subito dal voto dell’Assemblea Nazionale – che corrisponde alla nostra Camera dei Deputati – è perché nessuno dei rappresentanti del popolo, compresi quelli della maggioranza, cioè della coalizione che ha confermato Macron all’Eliseo, voleva votare a favore, per non deludere i propri elettori, anziché convincerli che l’aumento dell’età pensionabile è una necessaria decisione in loro favore perché anche loro dovranno andare in pensione. Potrebbe finire male perché la Francia è un paese violento.

Non è detto che il grave incendio del 15 aprile 2019, che ha distrutto parte della cattedrale di Notre Dame de Paris, capolavoro di epoca medievale, costruita dal 1163 al 1344, non sia stato causato da fanatici politici. I lavori di restauro dovrebbero essere completati entro la fine della primavera 2024, cioè prima delle Olimpiadi. Meno male che noi non siamo così determinati e accetteremo senza discutere, né meno ancora creare incidenti, qualsiasi decisione prenderà il presidentissimo, che, essendo del partito che abbiamo votato. non dovremo sfiduciare, anche se non saremo d’accordo.

Questo non è più il gioco del calcio

Il povero De Coubertin si sta rivoltando nella tomba quasi ogni domenica vedendo com’è ridotto il Calcio. Ecco perché c’è una saggia corrente di pensiero che sostiene opportuno interrompere per un periodo di tempo le partite di Serie A prima che succeda qualcosa di irreparabile. Ci sono troppi soldi per tutti, dai dirigenti agli allenatori, dai calciatori ai loro impresari – chissà gli arbitri – e di conseguenza anche troppa corruzione e anche violenza, con cui si accompagna di solito il denaro in eccesso.

Non è più lo sport della domenica. Ma un covo di idioti che tifano più volte la settimana e litigano per mercenari che oggi giocano nell’Inter e domani nel Milan, senza più passione né agonismo. Per di più durante la carriera è successo che gli atleti vengano imbottiti di sostanze tossiche in modo da moltiplicarne le energie. Molti giocatori, persino dilettanti – altro che doping – sono incorsi in seri problemi di salute, qualcuno addirittura affetto da sclerosi multipla.

Non si parla più di calcio ma di azioni in banca, denaro e imbrogli finanziari

Il calcio – e comunque tutti gli sport in cui il denaro corre a fiumi – è diventato uno spettacolo immorale perché il traguardo non è più la sana contesa, ma il denaro, che viene addirittura prima della salute. Quindi, anche tanta violenza in campo. Lo stato non può essere complice di tanto degrado, quindi la politica deve intervenire. Dieci giorni fa Napoli è stata messa a soqquadro da tifosi tedeschi – ormai tutte le tifoserie sono formate da teppisti – la cui squadra aveva perso. Solo per miracolo non c’è scappato il morto. L’indomani sera a San Sebastian il pullman della Roma è stato preso a sassate dai tifosi spagnoli.

Qual è l’interesse di continuare queste sfide che non hanno nulla di educativo né di sportivo? Sospendiamo questi campionati che non sono – come lo sport dovrebbe essere – un esempio di lealtà ai giovani. Nel momento in cui siamo decisi a rivoltare il paese come un calzino, perché gli italiani possano essere i primi, si constata che tutti i campioni sono stranieri. Per di più i loro stipendi milionari sono scandalosi e incitano alla corruzione. Mentre un insegnante di filosofia esordisce con 1600 euro, c’è chi tra i giocatori a 23 anni guadagna 15 milioni al mese.

Qualcuno fermi questa carneficina

Anche se, poi, sarà messa sul tavolo della trattativa, se e quando ci sarà, non era necessario né opportuno che la Corte penale dell’Aja emettesse un mandato di cattura per crimini di guerra contro Putin. È segno che abbiamo mandato in Europa dei personaggi incapaci o che hanno la volontà di alimentare la tensione e fare in modo che questa guerra sia eterna. Proprio nel momento in cui la Cina è decisa a muoversi, avanzando una proposta di pace, l’Occidente risponde con un atto inconsulto. Si è mosso addirittura Xi Jinping di persona per cercare di rabbonire Putin. Ma Zelensky e l’Occidente non l’hanno preso in considerazione.

Se non si accetta di discutere una proposta di pace, come può finire la guerra? Seppure non infondata, l’accusa è molto grave. Oltre alle torture e alla persecuzione di civili innocenti, con la distruzione di scuole, ospedali e caseggiati di abitazioni civili, Putin è accusato di avere rapito e deportato in Russia migliaia di bambini e adolescenti ucraini. Il Cremlino non smentisce, ma si giustifica affermando che è stato un atto di generosità per salvaguardare migliaia di giovani rimasti orfani dalle sevizie del regime di Kiev. La verità è, invece, che la Russia ha gravi problemi di fertilità e natalità a causa dell’abuso di alcool e molte coppie sono sterili. Come spesso accade in tutte le guerre, molti giovanissimi vengono rapiti per toglierli al nemico ed essere adottati da coppie senza figli.

La banca europea può finanziare le armi ma nessuno ne uscirà vincitore se continua così

La Corte internazionale per i crimini di guerra dell’Aja fa il suo lavoro, ma la politica dovrebbe controllarla, soprattutto in un momento così delicato per il futuro dell’Occidente e del mondo intero. Se fossi in lei, Onorevole Premier, andrei subito a Bruxelles perché il piano di pace cinese sia almeno discusso, anche per non lasciare XI Jinping tra le braccia di Putin e non prolungare la guerra, le morti, la distruzione e il pericolo che il conflitto si allarghi ad altri paesi. Putin, infatti, sta provocando la Moldavia e la Georgia, paesi dove, per la lunga dominazione sovietica, il russo è una delle lingue ufficiali. Inoltre, non credo che sia opportuno, dopo 13 mesi di guerra disastrosa, incaponirsi sulla pretesa di vincerla.

Moriranno altri innocenti, crollerà quel poco che resta dell’Ucraina, mentre non si capisce come quel paese, nonostante il sostegno della comunità occidentale possa non essere sopraffatto, non potendo aggredire la Russia nel suo territorio. Certo, gli aggressori stanno subendo gravissime perdite. Ormai la riserva non basta più e Putin sta ricorrendo ai giovanissimi, come nelle tribù africane. Qualcuno deve fermare questa carneficina.

In ogni caso i bambini non c’entrano

Forse ha ragione lei, Signora Presidente. L’utero non si dovrebbe affittare. È immorale oltre che illegale. C’è chi specula sulle condizioni di chi non è in grado di mettere al mondo un figlio. Però, volerne avere è un diritto naturale. Mi rendo conto che non è facile coniugare i diritti umani con una giustizia gestita dall’ideologia. Il loro è un gesto di amore. È esattamente l’opposto dell’aborto, e loro l’opposto di chi biasimiamo perché del figlio vuole liberarsi. Ecco perché la carità cristiana suggerisce di essere meno severi e più comprensivi.

Inoltre, in un momento in cui scarseggia sempre più la fertilità e muoiono più esseri umani di quanti ne nascono, è benvenuta una creatura, comunque venga concepita. In ogni caso, i bambini non c’entrano. Non debbono diventare vittime dell’eventuale illecito. Hanno il diritto che gli si riconoscano almeno i genitori che li hanno messi al mondo. Non penalizziamo anche loro, che sono innocenti. Anzi, necessitano di maggiore protezione. Se la politica non gliela concede, li protegga lei, Signora, che sembra più umana.

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Roberto Tumbarello

Roberto Tumbarello

Giornalista, laureato in Giurisprudenza. Per tanti anni portavoce in Italia del Consiglio d’Europa, è esperto in Comunicazione e Diritti umani.

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