Pep Guardiola all’inizio della sua rivoluzione calcistica era stato chiaro: “il mio centravanti è lo spazio”. Eravamo, nel 2008, agli albori del tiki-taka e il Barcellona stava apprestandosi a vincere tutto per diventare non solo una delle squadre più forti di tutti i tempi ma anche un esempio da imitare. Poche squadre come quel Barcellona hanno influenzato il calcio, facendo proseliti in tutto il mondo. Una di queste è stata l’Ajax creata dal genio di Michels in panchina e guidata dalla classe di Cruijff sul campo all’inizio degli anni ’70. Col suo concetto di sostituire il centravanti con lo spazio, Guardiola volle dimostrare al mondo che la sua squadra era così forte da poter giocare senza attaccanti.
Gli attaccanti c’erano

In realtà, quella del bravissimo Guardiola era una colossale balla perché il Barcellona aveva oltre ai migliori centrocampisti degli ultimi 30 anni (Xavi e Iniesta) l’attaccante più forte di sempre: Lionel Messi (non consideriamo Maradona perché era così grande che non si può confinare in un ruolo). Sì, Messi non era e non è un centravanti ma in realtà è stato molto di più. Così, dietro a questa bugia, Pep Guardiola costruì il suo mito e il suo modello di calcio: una squadra che costruiva il gioco dal basso e che dopo una fitta rete di passaggi e passaggetti trovava la via del gol con qualche imbucata geniale per la pulce atomica.
La crisi degli attaccanti della Nazionale

Che c’entra questo discorso con la crisi di attaccanti dell’Italia? C’entra eccome. In contemporanea con l’ascesa di quel Barcellona molti allenatori nostrani iniziarono a copiarlo e ancora, purtroppo, lo copiano. Più erano belli i blaugrana più era brutto lo spettacolo offerto dalle squadre europee e italiane che l’imitavano. Così, in questa continua ricerca del possesso palla e del gioco che parte dai terzini i nostri attaccanti hanno perso l’identità e si sono smarriti. Gli attaccanti non sono stati più cercati con lanci profondi ma dovendo tornare indietro per partecipare all’azione, hanno smarrito la strada che conduce al gol.
Come distruggere gli attaccanti

Questo tipo di gioco ha distrutto un’intera generazione d’attaccanti, al punto che le migliori squadre del nostro campionato comprano punte straniere e i pochi prodotti nostrani rimasti sono in là con gli anni come Quagliarella, che non è stato toccato da questa involuzione perché appartenente ad un altro calcio. Per assurdo gli attaccanti migliori o più interessanti si trovano in serie B, dove il minor numero di stranieri dà spazio agli italiani e dove il gioco dal basso ha molti meno seguaci.
I primi segnali

Nel pieno di questa crisi che aveva già lanciato segnali inquietanti agli Europei del 2016, quando Antonio Conte portò tra gli attaccanti Pellè e Zaza (non ce ne vogliano i due ma la maglia azzurra non li donava molto) e alle qualificazioni ai mondiali in Russia del 2018, quando ci giocammo lo spareggio con la Svezia con Gabbiadini titolare.
E adesso?

La vittoria nello scorso Europeo deve essere considerata un miracolo di bravura di Roberto Mancini. Che, però, ha nascosto i molti problemi di un settore in grave crisi. Per non perdere il secondo mondiale di fila c’è chi invoca addirittura il ritorno in azzurro del figliol prodigo Balotelli, attualmente in Turchia sotto la guida di Prandelli. O la naturalizzazione del pur bravo Joao Pedro o la convocazione del giovane pisano Lucca direttamente dalla serie B. Qualcuno ha sorriso davanti a queste ipotesi ma se Mancini non s’inventerà qualcosa da ipotesi diventeranno titolari.