Dopo la Festa della Liberazione poco libera per i noti motivi, ecco il primo maggio, la giornata dei lavoratori. C’è un piccolo problema: non tutti hanno da celebrare o festeggiare. La pandemia ha visto crescere il divario tra categorie protette da catastrofi, cataclismi, evenienze di ogni genere e chi, semplicemente no. Ovviamente non si tratta di colpevolizzare o demonizzare i lavoratori dipendenti e chi è incardinato in realtà grandi a sufficienza da sopravvivere ed evolvere rapidamente, ma a cercare di immaginare cosa può diventare la nostra società senza un tessuto di partite iva, piccoli imprenditori, commercianti e professionisti.
Non solo grandi catene, grazie

Una caratteristica del medioevo – che, per la cronaca, ormai nessuno dipinge più come “epoca buia” di totale barbarie e regressione – è stato l’emergere dei poteri locali. Se l’impero non è più sicuro la vita delle persone ruota intorno a castelli murati che possono essere difesi. I proprietari di questi castelli diventano sempre più potenti e arrivano a farsi la guerra tra loro creando nuovi ducati e regni, forzando la politica ad essere basata sull’equilibrio dei loro diversi interessi. Certo, si tratta di secoli fa, non è qualcosa che si possa ripetere… Eppure se i singoli ristoratori non possono più farcela chi arriverà se non le grandi catene? Certamente ci sarebbero dei vantaggi: cibo di qualità mediamente valida e costi contenuti. D’altra parte l’idea di trovare gli stessi venti ristoranti dalle Dolomiti alla Sicilia non sarebbe una prospettiva così interessante. Stesso discorso potrebbe essere fatto per la distribuzione. Tutti conosciamo i vantaggi delle catene di supermercati e di Amazon, ma se il commercio passasse esclusivamente per i grandi aggregatori alla fine avremmo pochi prodotti di base uguali per tutti, scelti da una mano invisibile. Ed esempi simili potrebbero essere fatti in tantissimi ambiti: pensiamo a un mondo della cultura in cui Netflix Amazon e Disney producono e distribuiscono tutto ciò che si può vedere.
Non barattiamo la tradizione con la comodità

Ovviamente il discorso fatto fin qui varrebbe principalmente per le “classi inferiori” (la classe media si restringerebbe ancora di più fino a diventare invisibile). La massificazione rende accessibili alcuni beni al maggior numero di persone possibile ma non si applica a chi ha una forte capacità di spesa. Ristoranti caratteristici, boutique e atelier sartoriali, piccoli negozi di prelibatezze rare non scomparirebbero: diventerebbero solo ancora più rari e con prezzi più alti. Ma un meccanismo di divisione della società renderebbe tutto ciò accettabile, anche perché certi stili di vita diventerebbero molto presto percepiti dai più come “inarrivabili” e pertanto nemmeno oggetto di invidia sociale.
Diciamolo chiaramente: la massificazione dell’offerta non verrebbe percepita da tanti in maniera estremamente negativa per via della sua convenienza e comodità. Il minor numero di prodotti disponibili, la minore offerta culturale, le minori possibilità verrebbero compensate da una discreta sicurezza di standard minimi di qualità e prezzi bassi. E nel medio-lungo periodo una vita più varia, una maggiore possibilità di scelta, la possibilità di rimanere sorpresi da un ristorantino, da uno spettacolo teatrale, da una piccola bottega artigiana non sarebbero nemmeno più un ricordo. La società avrebbe barattato tradizioni e orizzonti con la comodità e la convenienza.
E allora festeggiamo il lavoro e tutti i lavoratori

La risposta a questo scenario è celebrare tutto il tessuto della società nella sua veste produttiva e creativa. Abbiamo bisogno dei grandi player dell’economia, che tengono prezzi concorrenziali e servono milioni di persone. Abbiamo bisogno di sostenere i piccoli, gli autonomi, le micro eccellenze perché loro arricchiscono la nostra società e la nostra vita. Siamo parte di un ecosistema millenario, è per questo che nonostante tutto siamo ancora ricchi. E quindi dobbiamo dare un nuovo significato al primo maggio, che (credo ormai si possa dire) bene o male è una celebrazione nata con una prospettiva “divisiva”: deve diventare sempre di più la giornata di tutta una società che lavora, che produce e che crea.