Con la parola “prosopopea”, spesso si identifica un atteggiamento improntato a una presuntuosa e talvolta ridicola gravità, mentre invece un altro suo significato, forse più interessante e meno usato, sta a indicare una figura retorica molto presente in letteratura e anche nel cinema (pensiamo per esempio ai cartoni animati): l’escamotage di dare la parola a persone assenti, o morte, ad animali o anche a oggetti o cose astratte. Nel libro di racconti La castagna matta – che da poco la giornalista e scrittrice Mitia Chiarin ha dato nuovamente alle stampe in un’edizione arricchita per Blonk Editore (la prima è uscita nel 2013) – la voce narrante che lega in una cornice i singoli racconti brevi che lo compongono è proprio ispirata alla prosopopea. A parlarci è un albero, un olmo per l’esattezza, e si chiama Alberto.
La vita di Alberto, l’albero
Vive da decenni lungo una strada trafficata, a Mestre, accanto alla pensilina di una fermata d’autobus dove passa a intervalli regolari il bus numero 9 e ogni giorno vede una moltitudine di persone, ognuna presa dai suoi pensieri, ognuna indaffarata a rincorrere la sua vita.
Una mattina di fine settembre accade un fatto strano: tutte le undici persone che aspettano l’autobus, non solo non gli fanno cenno di fermarsi, ma, quando arriva, non salgono, rimangono lì, ferme, mute.
La metamorfosi dell’albero Alberto
Un altro fatto strano è l’improvvisa metamorfosi che subisce Alberto: si trasforma in umano per stare accanto a ognuna di queste persone, per ascoltare la sua storia, riuscendo a farsi raccontare, o a scoprire, il motivo di quella imprevista e imprevedibile variazione dalla loro routine quotidiana.
A ogni storia l’autrice alterna le riflessioni di Alberto, “l’albero umano”, capitoletti intitolati “appunti”, foglie numerate come se fossero delle pagine di un diario.
Il lettore viene così travolto dalle vicende di un’umanità dolente, penetra nelle esistenze di uomini e donne, nei loro amori reali o immaginari, nella loro fatica di vivere, ma anche nelle loro piccole o grandi gioie, sorprese, delusioni, cattiverie, meschinità e buone azioni.
Le storie
Undici storie, dunque, anzi, dodici, perché c’è anche quella dell’autista che guida l’autobus. E rispetto alla prima edizione della raccolta, troviamo un racconto nuovo, molto più lungo degli altri, Sostanze, che Mitia Chiarin ha voluto dedicare “a tutti quelli che si sono persi”.
Stiamo anche noi ad ascoltare queste storie, accanto all’olmo Alberto, nell’alternanza di una narrazione che passa dalla prima alla terza persona.
Conosciamo l’autista Gildo, orgoglioso per l’orologio che gli ha regalato Martina, la sua morosa; Dario, al telefono con l’impiegato della sua banca che lo minaccia di chiudergli il conto perché è in rosso da troppo tempo; Mario, vittima del cloruro di vinile monomero; Pallina, una maniaca del fitness ossessionata dal grasso che si abbandonerà all’autolesionismo più folle; Suor Saracca, creatura alla quale vengono negati perfino i sogni, perché licenziosi.
I racconti dell’albero Alberto ormai uomo
Come nel libro Centuria di Giorgio Manganelli, Mitia Chiarin riesce in poche pagine, alle volte addirittura in poche righe, a restituirci una vita intera, alle volte anche due vite che si incrociano, come quella di Gino, che azionando il suo camion per svuotare un cassonetto scopre che dentro c’è un ragazzo nero, salvandolo da una brutta fine, oppure quelle di Otello e Annalisa e del loro tenerissimo amore. Ci racconta il razzismo attraverso il delirio di un vecchietto ossessionato da quelli che chiama i “barbanera”; la riscoperta del sesso da parte di una donna di mezza età; la timidezza di un uomo che non riesce a dichiararsi a una biondina della quale si è innamorato; la crudeltà manipolatoria di un depresso bipolare che scarica il suo “buio” imponendo un’esperienza sconvolgente a una donna che lo ama.
Tra realtà e fantasia
Sono storie sospese tra realtà e surreale, dosate sapientemente da una penna esperta ed evocativa che ci conduce attraverso le mille sfaccettature dell’animo umano, con le sue luci e le sue ombre, senza giudicare, ma con uno sguardo ricco di compassione.
Mitia Chiarin. Giornalista professionista, è cronista del quotidiano “La Nuova di Venezia e Mestre”. Ha iniziato la professione nel 1989 in radio e Tv private.
Per la case editrice Blonk ha pubblicato: Ottanta lettere (2011), La castagna matta (2013) e I pesci sono indifferenti (2014- terzo posto al premio Affini).
Grazie Annalisa per le tue parole. Alberto vive e lotta assieme a noi spero anche che “Sostanze” consenta di riflettere su una emergenza vera.
Un libro di narrativa che affronta temi importanti con intelligenza e delicatezza, anche se, giustamente, in certi momenti le parole diventano forti e dure. Brava, Mitia!
Grazie, ancora