Il Festival di Sanremo è con le partite della Nazionale di calcio la punta della nostra cultura nazionalpopolare. Non è una cosa della quale vergognarsi, siamo fatti anche così, di pallone e di canzonette. Un gol e un ritornello spesso raccontano la nostra vita meglio di tante pagine. Fissano un momento, un avvenimento, mettono a fuoco un ricordo. Magari ci illudiamo tutti di saper cantare e saper giocare al calcio, che sono due categorie universali e senza sesso. Tanto che calcio e canzonette hanno condiviso una sorte comune in questi tempi drammatici: si gioca senza pubblico in uno stadio deserto; si canta senza pubblico in un teatro vuoto. Naturalmente c’è la televisione che moltiplica gli spettatori e riporta ogni aspetto nelle nostre case. A volte anche con lucidità impietosa.
Sanremo e la sua storia
Da 70 anni Sanremo ci accompagna nel bene e nel male, specchio della nostra società, capace di farci sorridere e di farci arrabbiare. Ottimista nella Ricostruzione, esplosivo negli anni del miracolo economico, velleitario in quelli della contestazione, triste negli anni di piombo. Pasticcione, presuntuoso, compromesso, guardingo nei tempi che sono seguiti. Ha strizzato l’occhio alla politica anche arrogante, messo a nudo la pochezza del sistema, condannato la mafia, esaltato i buoni sentimenti. Cantato amori appena nati e altri finiti, baci e carezze audaci; ha lasciato andare la barca e inseguiti trenini e calessi. Ha scoperto la luna nel rio e il paese dei cachi.
Gli inizi con la radio
Le prime edizioni erano soltanto alla radio, le canzoni il giorno dopo si sentivano dalle finestre aperte e da come la gente le ripeteva nelle strade si capiva subito quella che avrebbe avuto successo. Certo contava il ritornello, molto anche l’interprete – si parlava di regina e di reuccio della canzone – ma colpiva soprattutto chi arrivava al cuore. Poi è arrivata la televisione ed è stata un’altra storia, all’inizio in bianco e nero e tanti anni dopo a colori. Proprio come accadeva all’Italia
Sanremo è parte di noi
Se uno si prendesse la briga di rileggere le canzoni del Festival scoprirebbe davvero come eravamo e cosa siamo diventati. Da grazie dei fiori allo stato sociale, da “non ho l’età per amarti” a “giacesti bambina, ti alzasti già donna”. Anche donne in cerca di guai e altre con qualche idea in testa. C’è stato il tempo delle mamme tutte belle e buone e quello delle malefemmine. La canzonetta ha sapientemente accompagnato questa Italia, facendoci sognare volta per volta una casetta in Canada, vedere cemento dove prima c’era l’erba, vite spericolate e uomini soli. E quando non bastava, ecco anche l’orgoglio patriottico, quello di sentirsi italiani grazie a un Presidente partigiano che saltellava felice quando l’Italia del calcio diventava campione del mondo.
Certo, questo è stato un Sanremo particolare. Amadeus e Fiorello sono stati bravi a reggere la baracca e a tenerla a galla con dignità, anche per quanto riguarda gli ascolti, che poi, in tempi di legge dello share, sono quelli contano. Bravi a comportarsi come se di fronte avessero un pubblico capace di applaudire ma anche di fare pernacchie.
Sanremo 2021
E sono stati bravi anche gli italiani che in certi giorni hanno perfino dovuto scegliere tra una partita di calcio e la ribalta festivaliera. Magari qualcuno ha pure pensato di essersi sbagliato perché sul palco c’era Ibrahimovic e se lo aspettava sotto la porta avversaria. Anche questo è un segno dei tempi. Il Covid sta cambiando il nostro modo di vivere e speriamo ancora per poco. Abbiamo imparato a stare distanti, a portare la mascherina, a rispettare gli altri e noi stessi. Non tutti l’abbiamo capito bene, basta guardare a cosa accade, alla ressa dove non dovrebbe esserci nessuno, a questa povera Italia colorata di arancione e rosso, di gradazioni di colore che nemmeno i pittori inventano più.
Quando ci vorrebbe una canzone
Ci vorrebbe una canzone per cantare questa Italia rossa di paura e di rabbia. Non è il più il tempo felice del blu dipinto di blu, è più saggio guardare in faccia la realtà. E Sanremo ci ha, a modo suo, costretto a farlo. In casa, davanti alla tv, a sentire cantare finalmente tutti in italiano. Le canzoni sono belle e brutte, come la vita, regalano momenti di sorriso o di riflessione; aiutano per un momento a dimenticare quello che succede attorno. Ed è già un grande risultato. In fondo, il Festival è un settantenne ancora pimpante, se l’è vista brutta ma ha mostrato di avere gli anticorpi; lo davano per stremato, ha reagito alla grande. Ha trovato da solo il vaccino utile per andare avanti. Non l’ha nemmeno dovuto comprare in Russia o in Gran Bretagna. Era lì, alla portata di tutti, dietro l’angolo. Era la voglia di tornare a sorridere