Proseguendo nel viaggio dell’amarcord olimpico una “tappa” obbligatoria deve essere fatta per l’edizione di Berlino 1936, un’Olimpiade epocale per tanti aspetti che doveva svolgersi vent’anni prima nel 1916 e invece a causa del primo grande conflitto mondiale slitto di vent’anni. Un aspetto su tutti il film che venne girato per l’occasione dalla regista e fotografa Leni Riefensthal intitolato “Olympia”. Un lungometraggio fortissimamente voluto dal fuhrer Adolf Hitler e che doveva rappresentare in qualche modo tutta la forza dettata dalla gioventù della Germania dell’epoca. In quei Giochi Olimpici emerse indubbiamente la figura dello statunitense di colore Jesse Owens capace di vincere quattro medaglie d’oro nell’atletica leggera (100 e 200 metri, salto in lungo e staffetta 4X100). Ma ci fu una sorpresa tutta italiana. Annibale Frossi, l’occhialuto volante.
L’occhialuto e la Nazionale
L’Italia fu protagonista con l’ostacolista bolognese Ondina Valla (battezzata Trebisonda), oro sugli 80. il pugile Ulderico Segro oro nella categoria dei pesi gallo. E come sempre la scherma riservò ai colori azzurri altre due medaglie d’oro: Giulio Gaudini nel fioretto e la squadra di spada con il grande Edoardo Mangiarotti allora poco più che diciassettenne.
Il calcio
Però, l’oro più bello arrivò dalla nazionale di calcio guidata dal commissario tecnico Vittorio Pozzo che aveva già vinto i mondiali nel 1934 bissando poi il titolo anche nel 1938. Di quella nazionale faceva parte Annibale Frossi, classe 1911, nato a Muzzana del Turgnano un paesino di poco più di tremila anime in provincia di Udine, anche se in realtà visse per lo più a Flambro dove il padre svolgeva la professione di medico condotto. Frossi era un giocatore piuttosto esile, alto circa 1,70 metri per circa 65 chilogrammi. Giocò nell’Udinese, Padova, poi nell’Ambrosiana-Inter per sei stagioni dove vinse due scudetti. La Pro Patria e infine l’ultima stagione a Como nel 1945. Successivamente diventò allenatore fino al 1966 quando guidò la Triestina.
Chi era l’occhialuto
Fin da piccolo risultò miope, cosa che gli fece portare gli occhiali da subito e dai quali non si separava mai. Questa caratteristica l’ha contraddistinto anche nella carriera calcistica in quanto grazie ad un particolare elastico riusciva a tenere gli occhiali legati sulla nuca. Era dotato di grande velocità al punto che venne cronometrato palla al piede con un tempo di 11 secondi sui 100 metri. Il rimando alle Olimpiadi di Berlino è presto detto. Il commissario tecnico Vittorio Pozzo lo chiamò quando era appena passato in forza all’Ambrosiana-Inter per prendere parte alla spedizione azzurra in terra tedesca.
Tra l’altro Pozzo convocò per quella olimpiade tutti giocatori esordienti con la maglia della nazionale. Frossi, senza togliere alcun merito ai suoi compagni di squadra fu la vera rivelazione del torneo. Infatti vinse la classifica dei cannonieri con ben sette reti in quattro partite disputate. Un goal agli Stati Uniti, tripletta al Giappone, un goal nei supplementari alla Norvegia e doppietta nella finale contro l’Austria vinta per 2 a 1. La cosa strana derivò dal fatto che in chiave futura Frossi venne convocato soltanto per un’altra partita contro l’Ungheria nel 1937 dove andò ancora a segno. Complessivamente fece otto goal in cinque partite, una media straordinaria, ma ciò non gli bastò per convincere Pozzo a convocarlo per i mondiali del 1938, dove andò al suo posto Piero Pasinati.
La carriera da Mister
Appese le scarpette al chiodo nel 1945 (con 90 reti all’attivo in 312 partite tra serie a e B) ed iniziò la carriera da allenatore, trovando anche il tempo per laurearsi in giurisprudenza. Tra le affermazioni più famose di Frossi fa spicco la frase “lo 0 a 0 è il risultato perfetto”. Così spesso diceva sostenendo che si trattava della vittoria della tattica. Morì a Milano nel 1999.