Anche l’Arte, con la sua contagiosa potenza comunicativa, ci aiuta a celebrare gli eventi del presente e del passato, e lo fa occupandolo spazio della nostra vita consueta stravolgendone il ritmo, la consuetudine, la normalità. È come un crescendo che erompe in una musica…..Fuor di metafora: lunedì scorso, Giorno della Memoria, a Mestre è arrivata come un’ondata multicolore la doppia mostra di opere pittoriche di Giorgio Celiberti, il pittore-scultore friulano oggi ultranovantenne che ha fatto della memoria, e della storia, materia viva e dolorosa della sua ricerca artistica e della sua testimonianza civile.

La doppia mostra, curata da Massimo Manente, ha una specificità: in corte Legrenzi e in Piazzetta Malipiero, in pieno centro, i suoi lavori occupano due distinti “spazi per la memoria”, che furono un tempo luoghi di lavoro produttivo e oggi rinascono alla città grazie alla cultura e con l’arte. Il tutto per la cura di due dinamiche signore della Mestre storica, Silvia Fossetta Campesan, da una parte, e Francesca Caberlotto dall’altra.
Il profilo storico-artistico di Giorgio Celiberti è stato affidato alla critica d’arte Ileana Gava che ha rievocato la bella avventura creativa dell’artista. In particolare, la sua arte ha subito una cesura, anzi uno choc così forte, che ha determinato per sempre il suo stile. È accaduto dopo la visita al castello lager di Terezin dove i nazisti avevano deportato centinaia di bambini ebrei destinati all’eliminazione: in quel limbo, i piccoli avevano “giocato” con pennini, fil di ferro e altri oggetti graffiando sui muri dei cuori, delle farfalle e altri animali ma anche numeri e parole: era una fuga, li portava via la fantasia.

In quel luogo“grigio” che preludeva allo sterminio, Giorgio è cambiato nel profondo. Parlandone con Edoardo Pittalis, ha confidato che quel giorno“si è incartato tutto il resto della mia vita: non si doveva dimenticare” (Il Gazzettino).
Quei graffiti sui muri sono diventati,gli archetipi della sua arte: i disegni dei bambini senza futuro sono vivi: Celiberti li ha sublimati nelle tele che ricordano i muri grigi delle prigioni – di ogni prigione – le loro parole graffiate come Sos si intessono e si confondono con le immagini: una tecnica espressiva che possiamo chiamare pittoscrittura o anche scultura dipinta che in un ossessivo richiamare quei segni disperati rendono testimonianza di una tragedia incancellabile. L’arte si è fatta memoria narrante e la tragicità è stata trasformata in poesia civile.

Celiberti, il “mio” amico Giorgio, si è fatto mediatore di quei messaggi infantili, naif nella loro urgenza: sofferente ma combattivo con l’unica arma a sua disposizione, quell’arte visiva che si nutre di segni arcani e di parole radicata nel mistero più profondo dell’umano. Tutto questo è molto terrestre, infatti non si aprono cieli nelle sue opere. Ma, nonostante questo, la sua pittura è ascrivibile alla sfera del sacro,
Distilliamo i ricordi

Forse capita a molti, o forse no. Ma è sicuramente un fatto noto a tutti noi che le nostre esperienze – belle o brutte che siano state – diventano ricordi, vivono nel tempo e si fissano nella memoria come scene di un film di cui siamo stati attori più che registi. Si tratta di un ingente materiale del vissuto che si è accumulato senza il nostro intervento: provvede madre Natura.
Quel tipo di film mnemonico si può riattivare, all’ingrosso magari, cioè senza troppi particolari, propri del tempo andato, in cui quell’esperienza è maturata. Rimane comunque la sorpresa, e spesso la bellezza di quelle scene che emergono dal passato.

Proprio come è successo a me nei giorni scorsi, quando ho letto che sono stati celebrati i cinquant’anni del Premio Nonino Risìt d’aur, il primo che si festeggia in una distilleria: l’Anonimo l’ha visto nascere e trasformarsi. Nato da cose umilissime come le graspe delle uve friulane, con il proposito di salvaguardare i vitigni antichi autoctoni e, in fondo, la civiltà contadina, il Risit è diventato un forum della cultura internazionale e orgogliosamente – ha scritto Giannola Nonino –ha premiato grandi autori, alcuni dei quali “prima che diventassero premi Nobel”.
E così, l’amore della famiglia Nonino per la terra, per la natura e per le persone, ha sposato la letteratura e, con la forza della poesia,distilla valori che vanno salvati per noi e per le future generazioni.
Schegge del tempo

(poesia)
Guardi i nostri giorni volar via
E pensi a noi insieme a loro
in fuga perenne dal presente.
*
Il tempo non fa rumore
ma lacera, in silenzio,
l’anima dell’universo.
*
Si consuma il tempo,
e sempre altro da dietro
spinge le nostre storie:
*
Pensa, mi dici, che il tempo,
innocente e vorace,
si nutre del nostro respiro.
*
È vero, ma poi conserva
il nostro vissuto, i ricordi
che incidono i nostri cuori.
Anonimo ‘25
È vero . Il tempo incide i nostri cuori . Non solo! Le incisioni sono peggiori e più profonde per chi è vissuto oltre , perché durano tutta la vita . Essere stato bambino ai tempi delle duecento tonnellate di bombe sganciate su Montecassino significa soffrire per tutta la vita , significa paura della vita , significa che le incisioni bruciano ancora .
Entrare nella mostra di Giorgio Celiberti in un giorno così denso di significato è stato un viaggio tra memoria e bellezza. Mi ha sorpreso la leggerezza con cui l’artista è riuscito a trattare un tema così complesso, trasformando il dolore in segni, colori e forme che non opprimon ma invitano alla riflessione.
Un sentito ringraziamento ai curatori per aver reso possibile questo evento e un applauso a Celiberti, la cui presenza, a 95 anni, ha reso la mostra ancora più intensa ed emozionante