Chissà che cosa avrebbe scritto oggi Alicia Gallienne, se non se ne fosse andata, a vent’anni, nel 1990. Chissà se la sua poesia, lancinante, brutale, dolcissima avrebbe mantenuto, nei decenni, la medesima incandescenza. Quel bruciore vitale che ha fatto delle sue liriche, pubblicate postume da Gallimard in Francia nel 2020, un autentico caso letterario.
Il mondo di Alicia

Un mondo raffinato, colto, persino elitario, quello in cui la giovane Alicia appare come una meteora: la Parigi bene, una frequentazione meditata della poesia francese di ieri e di oggi; una famiglia affettuosa, anche se già segnata dalla tragedia: un altro figlio, Eric, morto sempre a vent’anni per la stessa terribile malattia, l’aplasia midollare, che si porterà via anche Alicia. Lei, che trascorre le giornate appuntando su quaderni i propri pensieri, di una lucidità spietata.
Lei, che conosce le scadenze del proprio vivere, senza rinunciare alla civetteria maliziosa della giovinezza, tra profumi alla moda ed occasioni eleganti. Alicia che nasconde agli amici la sofferenza cui le terapie la condannano; Alicia che scrive perché – lo ammette senza reticenze – vuole lasciare un segno, vuole essere letta.
La pubblicazione dei testi, postuma, per i tipi di Gallimard – fortemente voluta soprattutto dal cugino, l’attore Guillaume Gallienne e dalla curatrice Sophie Nauleau -, una selezione delle liriche e dei testi in prosa, sembra darle pienamente ragione: «Scrivo – afferma, con un candore non privo d’implicazioni filosofiche – per raggiungere una sorta di punto fermo che mi serva da ostacolo e da ideale».
La riscoperta di Alicia

Il successo di questa novità editoriale, anche se in Francia i lettori sono più avvezzi alla poesia rispetto al pubblico italiano, ha dell’incredibile. A spiegarne le ragioni, si potrebbe evidenziare quell’abbraccio di amore e morte che percorre i versi e appartiene, nel profondo, a ciascuno di noi; fino a farci dimenticare che Alicia Gallienne se n’è andata una vigilia di Natale di più di trent’anni fa, che la sua scrittura vibrante è figlia dell’urgenza, di un’ansia di futuro destinata a rimanere inappagata. Di lei, giovane, bellissima, ricordiamo la lucida coscienza, la dimensione particolare, più che intima, del suo rapporto con Dio, ma anche che le piacevano il salmone affumicato, i blinis e i macarons al cioccolato, che si mangiava le unghie, ma sapeva truccarsi e vestirsi con eleganza: «Il midollo osseo di una donna molto anziana – scrive Nauleau – in un corpo di ninfa con profondi occhi blu».
In Alicia, la morte è dimensione dell’amore, anzi, ne costituisce il gradiente.
Molesini porta Alicia in Italia

Oggi, gli splendidi testi di Gallienne, escono in traduzione italiana per i tipi di Molesini Editore Venezia, mantenendo il titolo originario L’autre moitié du songe m’appartient, appunto L’altra metà del sogno mi appartiene. Un appunto sibillino, di non facile interpretazione: è la conclusione di un testo in cui la poetessa racconta un sogno, la visione di una scala senza inizio né fine. «A dir il vero – commenta – non so bene se mai si riesca ad arrivare; però voglio giungere a tutti i costi in cima alla scala (…). Salgo perché il senso comune discende e probabilmente c’è ancora tempo per salvare ciò che resta. L’altra metà del sogno mi appartiene». Forse il resto è ciò che permane, che non si rivela o non si riesce a rivelare.
La versione originale di Gallimard, nell’edizione raffinata di Molesini Venezia, è stata ripensata in tre volumi. Il primo, appena pubblicato, contiene due sezioni distinte: le Dominanti e I Notturni. Nel secondo, si proporranno le due parti del Libro nero, nel terzo L’infinito meno uno. Già il primo volume, testi tradotti dal grande Francesco Zambon, professore emerito di Filologia Romanza all’Università di Trento, studioso di fama internazionale e poeta a sua volta, costituisce un dono prezioso. Un’opera a sé stante, dotata di una grazia e di un’armonia autonome.
La profondità della sua poesia

Profonda come un canto antico, la versione di Zambon mette in luce soprattutto la tensione al trascendente, l’umore mistico delle liriche di Alicia. Passione per la vita, attesa lucida, sincerità: E penserò a te Dio mio / Di cui avrò forse dimenticato il nome / Allora lascia che ti odi / Senza piangere /Come quest’acqua stupida / E mal suddivisa / Che cade dal cielo / Ma cade dove non è necessario / Lascia che ti odi / Per tutti quelli che non puoi / Liberare dal male / Lascia che ti odi a lungo / Per persuadermi che ci sei ancora / Per persuadermi che ci sono ancora …
In Alicia Gallienne, l’amore assume forme e destinatari diversi: scrive per la madre, per il padre perché solo i tuoi occhi sono inesauribili nell’amarmi. Dedica al fratello Éric, scomparso prematuramente nel 1977, sempre per aplasia midollare, versi meravigliosi: le cose belle di questo mondo, Éric, le avrei volute / conoscere con te … e ancora Non c’è Amore più bello di quello che mi hai dato, / È di quelli a cui nulla si può prendere / Non c’è Amore più bello di quello che mi hai lasciato.
Riesce anche a vivere due grandi storie di passione, ma il suo sentimento e, di conseguenza, la sua forza espressiva, danno sempre alle vicende un significato universale. È la fortuna di essere al mondo quella che Alicia, paradossalmente, riesce a trasmetterci. I suoi testi, più che mai nella versione di Zambon (ed è cosa rara per una traduzione), non lasciano spazio alla rassegnazione. Bruciano, ardono come le comete.