Per i 75 anni dalla fondazione, la Comunità di Villa San Francesco, a Facen di Pedavena ha dato alle stampe un volume di 528 pagine, contenente 586 articoli sulle attività svolte in questi anni. Un diario di viaggio di questa straordinaria Comunità, culturalmente la più attiva nella provincia di Belluno e in tutto il Veneto nel campo educativo a tutti i livelli, scritto esclusivamente dai giornalisti che ne hanno seguito i mille eventi. Il volume, edito dalla Linea Quaderni della Comunità diretta dall’avvocato Enrico Gaz, con in copertina un disegno del pittore Vico Calabrò è stato messo in vendita al prezzo di 20 euro. Può essere richiesto alla segreteria della Comunità in Via Facen 21- 32034 Facen di Pedavena (Bl) o all’indirizzo e-mail info@comunitavsfrancesco.it.
Il racconto delle formiche su Villa San Francesco
Questa storia me l’hanno raccontata le formiche di Fabio Vettori, che la sera, finito di lavorare, si radunano tutte a Villa San Francesco e lì si rilassano finalmente dopo una giornata snervante di lavoro. C’è chi legge il giornale, chi dipinge, chi scrive al computer, chi suona e balla, chi gioca a pallone, chi semplicemente prende il fresco affacciata alle finestre. Sono tutte allegre, ma sulla loro serietà non ci sono mai state discussioni. Perciò la storia deve essere vera. O almeno a me piace pensare che sia andata così.
Quando si bussa ma nessuno apre
Dunque, in una mattina d’inverno di tanti anni fa, sulla strada di ghiaccio che da Pedavena porta a Facen arrancavano due bambini. Erano fratelli ed il più grande lo chiameremo Toni. Ma attenzione a non far confusione, come esige la privacy avvertiamo subito che questo è solo un nome di pura fantasia. È stato scelto dal cronista perché è bello, ha solo due sillabe ed è facile da ricordare. Ma torniamo a loro, stavano cercando da tanto tempo un tetto che li riparasse, perché di casa non ne avevano mai avuta una. Da tutte le parti, ovunque fossero andati, non avevano mai trovato posto. Quando bussavano ad una porta e chiedevano aiuto, i più si limitavano a scuotere la testa; altri allargavano le braccia. Ma le porte per loro rimanevano sempre sbarrate e quando per caso si aprivano venivano subito richiuse.
Troppe domande prima di arrivare a Villa San Francesco
Da dove venivano, perché erano soli, chi li mandava? Alla larga! Così, al massimo, quando incontravano qualcuno (si fa per dire) di buon cuore, trovavano posto in una stalla. Ma da sgomberare appena fatto giorno. Adesso, comunque, erano troppo stanchi. Camminavano da tanto tempo, avevano freddo e fame, non ce la facevano proprio più. Ancora un poco e si sarebbero lasciati andare. E’ stato allora, come nelle favole, giusto all’ultima curva prima di Facen, che era apparso il loro angelo custode. Era fatto d’aria e di luce, identico a quello che Vico Calabrò ha dipinto per questo libro ed aveva tanta pena per quei due bambini abbandonati da fare uno strappo alla regola. Perciò era sceso dal cielo, dimenticando per una volta che poteva apparire soltanto nei sogni.
Ci vuole un Angelo per far trovare a Toni e suo fratello le porte di Villa San Francesco aperte
E adesso, senza parlare perché gli angeli non ne hanno bisogno, li incitava ad un ultimo sforzo. Quella era la strada giusta, non potevano sbagliare, ma attenzione: la casa che cercavano doveva avere il cancello e le porte spalancati. Lì avrebbero finalmente trovato altri ragazzi come loro ed uno più grande che tutti chiamavano Aldo, che faceva le veci del padre. Tutte le altre le lasciassero pur stare: non andavano bene. Fu così che stringendo i denti, dicono sempre le formichine di Vettori, Toni ed il fratello si ritrovarono finalmente davanti al cancello aperto di Villa San Francesco. Quella mattina gli altri bambini erano tutti a scuola e non si sentivano voci, non si vedeva nessuno. Loro però erano entrati sicuri lo stesso, era quello il posto indicato dall’angelo, perciò erano arrivati. Per il lungo andare avevano ormai tutti e due le scarpe rotte, ma non era importante: finalmente anche loro avevano una casa.
Sono passati quasi cinquant’anni da allora
I due fratelli ovviamente non sono più ragazzi ed è ormai un signore maturo anche Aldo, l’allora direttore ventenne che quel giorno li aveva accolti sorridendo. Però quello che conta in questa storia, che sa di favola ma è verissima, è che da allora sono sempre rimasti lì. Villa San Francesco per loro è diventata casa, chiesa, famiglia, comunità vera dove si scambiano gioie e dolori; dove chi ha più forza assiste il più debole e lo protegge; dove s’impara l’importanza dello studio e del lavoro. Soprattutto quello che fa sudare la fronte maneggiando la terra, che – come dice Aldo, fiero della sua ascendenza contadina – è la grande madre, capace di far nascere i fiori e colorare la vita. Queste però sono soltanto parole, la realtà – si sa – ha poi mille volti diversi, esattamente come quelli straniti di chi in 75 anni è approdato qui.
Villa San Francesco riesce a far riscoprire un sorriso
Dicono che sia difficile far riscoprire ad un bambino “dimenticato” la bellezza di un sorriso. I grandi da che mondo è mondo ci provano in tanti, ma anche se ce la mettono tutta non sempre hanno successo. E si capisce, perché è complicato sostituire un padre o una madre che non ci sono. Poi, un giorno arriva una bambina che non parla e non sa più camminare e ti accorgi di quanto può essere semplice. Lei è minuta e tiene gli occhi bassi. Quanti anni ha? Cinque, forse sei. I genitori non la volevano e viveva incatenata ad un termosifone. Adesso è qui, l’hanno portata in braccio e i ragazzi della Comunità la stanno guardando ad occhi spalancati. Come si fa a darle il benvenuto, a dirle che adesso non deve avere più paura? Con quali parole?
A Villa San Francesco un abbraccio vale più di mille parole
Maria Rosa che le sta di fronte (e anche questo è un nome di fantasia, ma lei è verissima ) non ha studiato psicologia, nessuno le ha insegnato niente. Ma è la prima a rompere il ghiaccio. Lo fa d’istinto : la abbraccia e la stringe forte. Lei che di anni ne ha appena dodici e tante ne ha sopportate di suo, intuisce cosa ha passato. Soprattutto quanto è sola. E le trasmette tutto il suo calore. La bambina capisce, sa che adesso nessuno potrà più farle del male. Alza timidamente il viso verso Maria Rosa e la guarda a lungo. No, non è ancora un sorriso, ma i suoi lineamenti si stanno già rilassando, sta tornando una bambina con un disperato bisogno di affetto. Il sorriso arriverà domani.
Dite che è un piccolo miracolo?
Può essere, ma da queste parti, in questo mondo di mezza collina, affacciato come un balcone di fronte al Grappa, ci sono abituati. Lo scriveva per primo il giornalista Cesare Piazzetta, grande e sfortunato amico di questi ragazzi. Che a dar retta ai registri, da quando è stata fondata la Comunità, dal 1948 ad oggi, sono giunti qui in più di quattromila. Arrivavano con la testa bassa, ma quando ne ripartivano, ormai uomini e donne, erano ormai pronti per affrontare il mondo. Avevano imparato che la prima regola per vivere insieme è rispettare gli altri come se stessi e che la solidarietà di cui si parla tanto non è fatta di parole, ma di atti concreti.
Detta così, sarebbe già una storia importante, ma quella di Villa San Francesco ci porta molto più lontano
Perché non ha niente a che vedere con quelle di un centro d’assistenza o di un collegio qualunque sia pur illuminato. Qui i ragazzi, prima sballottati come oggetti senza valore, sono diventati i protagonisti della loro vita e nel tempo sono riusciti addirittura ad arricchire il territorio con la loro presenza. Spesso anche a stimolarlo con le loro provocazioni. Chi ha detto poi, che i bambini non sanno autogestirsi come i grandi?
A Villa San Francesco o nella Cooperativa Arcobaleno, nello spicchio di realtà in cui ognuno vive, tutti hanno un compito preciso e le decisioni vengono sempre prese collegialmente come si fa nelle vere democrazie
È un metodo che qualche volta richiede un po’ più di tempo, ma ne vale la pena perché poi nessuno si lamenta. C’è perfino un sindaco che viene eletto regolarmente e se non si comporta come si deve non viene più riconfermato. Il segreto, come ben sa Aldo, direttore, padre, primo educatore, segreto confessore, grande animatore, uomo che non ha tempo per sognare perché dorme ad occhi aperti, è credere in quello che si fa e a non porsi dei limiti. A quelli ci pensano sempre gli altri.
Da Villa San Francesco una richiesta “bizzarra”
E allora, visto che parlare semplicemente di pace oggi come sempre non basta, si può prendere per esempio carta e penna – come hanno fatto loro – e scrivere ai Capi di tutte le nazioni del mondo pressappoco così: ”Potete mandarci un pugno della vostra terra più cara? Lo mescoleremo con quelli di tutti gli altri Stati e con il fuoco ne faremo dei mattoni. Serviranno per costruire la pace”.
Dite che siamo nel campo delle utopie?
Da queste parti la gente è abituata ai fatti e non si spaventa di fronte a niente, è parso perciò normale che rispondessero tutti con il sigillo delle loro ambasciate. È finita così che, qualche mese fa, due di questi mattoni “universali” siano stati spediti anche ai presidenti di Russia e Ucraina, dove la gente sta piangendo migliaia di morti. Certo sono solo il simbolo di una difficile fratellanza da ritrovare, ma chi li ha mandati alla pace ci crede veramente. E sa rimboccarsi le maniche davanti ad ogni avversità. Anche quando – come è successo – la neve fa crollare le serre dei fiori costruite con tanta fatica e bisogna ricominciare tutto da capo. Loro però – anche questo è giusto dirlo – hanno in più un piccolo segreto: oltre a lavorare confidano sempre nella provvidenza. Che spesso ha i volti di chi si è avvicinato una volta a questa realtà e non se n’è più staccato.
Tanti, troppi i nomi passati per Villa San Francesco
Qualche nome? Sono in centinaia e anche a mettercela tutta si farebbe un torto a qualcuno. Ma come si fa a non citare Vico Calabrò, il grande pittore agordino degli affreschi che qui, in mezzo ai ragazzi ha scelto di vivere? E il cardinale Loris Capovilla, maestro spirituale della Comunità e per tanti anni ispiratore di Aldo? Come dimenticare monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, uomo e sacerdote di ferro, capace di sfidare camorra e mafia, che la Comunità aveva nel cuore? E don Gigi Ciotti, il coraggioso fondatore del Gruppo Abele e di Libera, che proprio qui è venuto ad ammonire i giovani di tutto il Veneto a non farsi tentare dal demone della droga?
A Villa San Francesco dagli arbitri ai Pontefici
Come dimenticare poi Luigi Agnolin, il grande arbitro internazionale di calcio, che di Villa San Francesco aveva fatto la sua seconda casa? E infine, visto che da queste parti gli angeli si trovano così bene, è doveroso citare chi con loro in cielo si da del tu e come loro a questa realtà è affezionato. Sì, proprio il Beato Albino Luciani, Patriarca e Pontefice. Tre mesi prima della sua elezione al soglio di Pietro era qui che scherzava in mezzo ai ragazzi e di sicuro continua a proteggerli.
Bellissimo veritiero commovente articolo !!!
Il racconto è avvincente. E’ la storia di una Comunità di 75 anni ,vissuti con straordinarie aperture, illuminate intuizioni, e una immensa disponibilità a capire, sentire, aiutare chi è nel bisogno ed è più debole e svantaggiato .In questa Società che emargina e ignora le parsone che chiedono aiuto, tra cui famiglie e bambini abbandonati, Voi tutti e un grande ALDO , avete fatto un cammino encomiabile e di valore inestimabile , illuminati e spinti dalla grandezza del vostro cuore , veri interpreti del Vangelo di Cristo, alla ricerca di nuovi orizzonti per un mondo nuovo che dia sicura speranza al nostro futuro.