Con il prezzo del grano arrivato a livelli record, sfiorando e, qualche volta, superando i 400 Euro a tonnellata, la pasta (e non solo quella!) è destinata ad aumentare di prezzo; ma la domanda è: esiste una qualche relazione con la guerra tra Russia e Ucraina?
Il granaio d’Europa? Non per la pasta italiana


Corre voce che Ucraina e Russia siano il “granaio d’Europa”; ma cosa arriva davvero del loro grano nell’Unione europea? I due Paesi sommano circa il 30% delle esportazioni mondiali di grano ma, in realtà, quasi completamente verso Africa, Asia e Medio Oriente. Secondo dati ufficiali del 2019, oltre il 90% del grano della Russia viene venduto in Africa e Asia, con Egitto, Turchia e Bangladesh a rappresentare più del 50% delle esportazioni.
L’Europa importa meno del 5% e il nostro Paese la “ridicola” quota dello 0,28%. Idem per l’Ucraina, che esporta quasi esclusivamente verso Africa e Asia, in particolare in Egitto e Indonesia, con il mercato italiano fermo all’1,3%. Questo equivale a dire che la somma delle nostre importazioni dai due paesi è inferiore all’1,6% del fabbisogno nazionale.
Le importazioni italiane. Per la pasta il problema Ungheria


Il nostro fabbisogno di grano tenero si soddisfa per il 30% con le importazioni dall’estero e per il resto con la nostra produzione. L’Italia, come il resto dell’Unione Europea, non dipende dalle importazioni dei due Paesi in guerra, a differenza di quanto avviene con gas e petrolio. I nostri maggiori fornitori di grano sono Francia (19,9%), Canada (14,4%) e Ungheria (13%).
È proprio quest’ultimo Paese ad avere causato i maggiori scossoni a livello europeo, quando ha deciso pochi giorni fa di sospendere le esportazioni di cereali, a seguito dello scoppio delle ostilità tra Russia e Ucraina.
La mossa di Viktor Orban


La scelta del premier ungherese non è piaciuta ai partner europei, che lo accusano di violare gli accordi sul libero scambio, tanto più visto che l’Ungheria non ha problemi mancanza di grano, dato che non ne importa nemmeno una spiga da Ucraina e Russia: la sua produzione è pari alla nostra, ma con una popolazione sei volte inferiore. Quindi: perché Orban e il suo governo vogliono abbandonare un business così redditizio? I motivi potrebbero essere due: l’instabilità dell’attuale situazione geopolitica e il borsino dei futures.
Speculiamo sulla pasta? Ma sì, dai: speculiamo!
Secondo l’Economist, la quantità di grano attualmente in circolazione non sarebbe in pericolo, dato che viene di solito raccolto in estate, mentre a febbraio (quando è iniziata la guerra) la maggior parte delle navi che lo trasportano era già partita dal mar Nero verso le destinazioni. Oggi, entrambi i Paesi in guerra hanno vietato le esportazioni di cereali, ma quello che preoccupa è il futuro. In Ucraina quest’anno il raccolto potrebbe non essere piantato affatto, mentre le scelte militari e l’atteggiamento di Putin stanno disincentivando Stati e investitori dall’acquisto di grano russo, oltre che di altri prodotti essenziali. In pochi, almeno all’inizio, vorranno correre il rischio finanziario e la perdita di reputazione di comprare da lui.
La pasta e la Borsa alimentare di Chicago


Questi scenari poco rassicuranti hanno scatenato la reazione della Borsa alimentare di Chicago, dove per il grano è stato rilevato un ulteriore balzo del 7% dei futures (gli strumenti finanziari derivati, che garantiscono la possibilità di acquistare beni o azioni o di venderli in futuro ad un prezzo fisso). Per il grano è stato raggiunto l’incremento maggiore degli ultimi 14 anni, raggiungendo oltre 400 Euro per tonnellata. L’ultimo evento che aveva scatenato un tale panico era stata la crisi finanziaria esplosa negli Stati Uniti nel 2008.
L’effetto domino
Più si rimane nell’incertezza delle sorti della guerra Russia-Ucraina, più investitori e Stati provano ad accaparrarsi rifornimenti per il futuro, creando un effetto domino che sta già mettendo in pericolo le forniture globali mondiali.
La pasta, il grano e la richiesta all’Europa


I commercianti di materie prime agricole rilevano che all’Unione europea vengono richieste sempre più esportazioni, per compensare il blocco dell’export in Russia e Ucraina.
La Cina ha già venduto 526.254 tonnellate di grano nel corso di un’asta di riserve statali, ad un prezzo medio di vendita di 3.054 yuan (circa 483,32 dollari) per tonnellata. A giocare un ruolo chiave sono i grandi speculatori che stanno puntando inoltre sui futures del mais, altro prodotto chiave esportato dall’Ucraina in modo massiccio.
La società Agritel ha sottolineato in una nota che c’è una domanda “senza precedenti” di grano in consegna ravvicinata, ” dovendo affrontare gli acquirenti inadempienze di consegne” per i carichi provenienti dal mar Nero. Per compensare, l’Algeria si starebbe rivolgendo di nuovo ai francesi, mentre l’Egitto dovrà attingere alle sue riserve.
La pasta e il gioco in borsa


Secondo Dan Cekander, amministratore delegato di Dc Analysis, prima dell’invasione dell’Ucraina, la scommessa di alcuni speculatori è stata che il prezzo del grano sarebbe sceso. E quindi, ora sono costretti a comprare in fretta per coprire le proprie esigenze. Inoltre, “un sacco di investitori al dettaglio stanno affollando il settore del grano” per cercare di trarre profitto da questo evento storico, sembra che abbia dichiarato l’esperto a FoodNavigator. E tutto questo non risparmia anche altre materie prime, come mais, orzo e oli vegetali.
Conclusioni
L’aumento del prezzo del grano e, a cascata, dei suoi derivati, prima tra tutti la pasta, in Italia non è dunque legato alle importazioni da Russia e Ucraina. Così come l’annuncio dell’Ungheria di sospendere le esportazioni, d’altro canto, non sembra che possa incidere più di tanto sulle scorte reali del nostro Paese. È più probabile invece, che i rincari degli ultimi giorni siano voluti da speculazioni, queste sì alimentate dai rischi derivanti dal conflitto Russo-Ucraino.
La pasta come il gas


Come per il gas, dunque, potrebbe essere necessario per i governi dell’intera Unione Europea fare quello che l’Italia sta facendo sul fronte energetico. Ossia fermare le speculazioni.
L’Unione Europea lo può fare, dato che è il primo produttore mondiale di grano insieme alla Cina. Potrebbe aiutare anche un incremento economicamente sostenuto della produzione interna.
Invece, trasformare in emergenza una situazione tutto sommato agevolmente gestibile per fare appello alla sovranità alimentare e chiedere all’Unione europea di ridurre alcune misure chiave per la sostenibilità ambientale previste dalla nuova Pac, la Politica Agricola Comune, sembra anch’essa una speculazione: non finanziaria, ma politica.