Questa guerra non ci voleva! Specialmente dopo la “guerra” invisibile e subdola contro la quale anche il mondo dell’economia continua a combattere da due anni, vale a dire il Coronavirus. Ma il conflitto innescato dalla Russia è ancora benzina su un fuoco che non accenna a spegnersi. A “piangere” ancora una volta è il mondo dell’agricoltura che proprio da un appuntamento nazionale come Fieragricola in corso a Verona ha voluto lanciare il grido d’allarme. Abbiamo intervistato alcuni importanti personaggi del mondo agricolo per sapere cosa ne pensano.
Quanto pesa sull’agricoltura questa crisi?
Valerio Nadal presidente di Condifesa TVB: “Il mercato dei Paesi dell’Est Europa da anni è diventato fondamentale per molte nostre imprese. Sia per i prodotti agricoli che per il vino. Ucraina, Romania e Russia tre ottimi clienti soprattutto per il vino rosso. Ora tutto è bloccato e chi stava per intravvedere la fine del “buio” causa periodo Covid si ritrova in un tunnel dove la luce appare lontana. Questo conflitto non ci voleva”.
Il problema del grano
Sale ancora il prezzo del grano e raggiunge i massimi dal 2008 su un valore di 37,5 centesimi al chilo ma valori in aumento si registrano anche per le quotazioni di mais e soia che stanno mettendo in crisi l’alimentazione degli animali nelle stalle mentre le industrie della pasta e del pane lanciano l’allarme scorte. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulle quotazioni mondiali al Chicago Board of trade, punto di riferimento per le materie prime agricole.
Un’emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia peraltro che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 20% ma garantisce anche il 5% dell’import nazionale di grano.
Questa guerra è un brutto colpo per l’agricoltura
Andrea Colla, presidente di Coldiretti Venezia. “Nel Veneziano a preoccupare è anche il balzo dei costi per il riscaldamento delle serre per la coltivazione di ortaggi e fiori che risente dell’impennata della bolletta energetica. La guerra in Ucraina fa esplodere il caro concimi con aumenti fino al 170% che pesano sulla filiera agroalimentare Made in Italy mettendo a rischio le forniture alimentari e aggravando la dipendenza del Paese dall’estero. Il nitrato di ammonio viene, infatti, a mancare proprio nella fase decisiva per la crescita delle spighe, diminuendo inevitabilmente la produttività con il taglio dei raccolti”.
Continua Colla
“La preoccupazione maggiore riguarda però il settore zootecnico. L’aumento di mais e soia sta infatti mettendo in ginocchio gli allevatori che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l’alimentazione del bestiame (+40%) e dell’energia (+70%) a fronte di compensi fermi su valori insostenibili. Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse, ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori.
In difficoltà ci sono anche i pastai che lamentano di avere scorte solo per poche settimane e annunciano chiusure impianti a causa dei problemi di rifornimento dall’estero per il blocco delle spedizioni determinato dalla guerra.
Le conseguenze della guerra sull’agricoltura italiana?
Sempre Colla risponde. “L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni. Durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti. E quest’anno sono praticamente raddoppiati in Italia i costi delle semine per la produzione di grano per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni ma ad aumentare sono pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare.
Rimane l’alta qualità
Nonostante questo il grano duro italiano è pagato agli agricoltori nazionali meno di quello proveniente dall’estero da paesi come il Canada. Dove è coltivato peraltro con l’uso del diserbante chimico glifosato in preraccolta, vietato in Italia. La produzione italiana è di alta qualità come dimostra il moltiplicarsi delle linee dedicate da ormai quasi tutte le principali industrie del settore a pasta e biscotti garantiti con grano nazionale al 100%, per rispondere alla forte domanda dei consumatori”.
Che soluzioni per l’agricoltura?
Ettore Prandini, Presidente Coldiretti. “La guerra in Ucraina ha dimostrato la necessità improrogabile di garantire la sovranità e l’autosufficienza alimentare. Come ha scelto di fare la Francia con Macron che ha annunciato un piano di sostegno per proteggere gli agricoltori. Mentre la Cina ha inserito il settore agricolo nelle linee di investimento programmatico dello Stato insieme all`industria meccanica e all`intelligenza artificiale. Ci sono le condizioni produttive, le tecnologie e le risorse umane per ridurre la dipendenza dall’estero. La pandemia e la crisi ucraina ci stanno dando un grande insegnamento. Produrre cibo è un tema strategico di sicurezza nazionale”.
“La determinazione dei fabbisogni alimentari di un Paese e la messa in campo di investimenti per garantirli deve tornare ad essere una priorità. La chiave è la costruzione dei bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, ed aumentare i raccolti. Ma bisogna anche contrastare l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni. Senza dimenticare di investire nell’agricoltura 4.0 per aumentare la produttività e garantire la sovranità alimentare. Ma nell’immediato bisogna fare di tutto per non far chiudere le aziende agricole e gli allevamenti sopravvissuti con lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr. Ma anche incentivare le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole. E fermare le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali”.
La questione latte
Giorgio Polegato Presidente di Coldiretti Treviso. “Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea. Un costo molto superiore rispetto al prezzo di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori”.