Il dubbio comincia a serpeggiare in più di qualche persona a seguito dell’aumento dei contagi in Italia e in Europa. Certamente si tratta di qualcosa impossibile da escludere, esattamente come durante l’inverno nello svolgimento delle normali attività. In questo periodo, però, entrano in gioco due componenti che prima erano inesistenti o marginali: discrezionalità e svago. Queste due caratteristiche di luglio e agosto rendono il periodo, per alcuni, difficile e stressante. Le ragioni risiedono nella percezione di sé e in quella degli altri, in altre parole nella nostra cultura.
Il rischio di comportamenti irresponsabili

La discrezionalità, parzialmente riconquistata da poche settimane, è un diritto ma comporta dei doveri. Finché le restrizioni sono molto severe, i locali sono tutti chiusi ed è in vigore il coprifuoco il problema si pone soltanto relativamente: le possibilità di scegliere cosa fare sono poche e non bisogna pensare troppo, ma adesso non siamo in quella condizione. In un periodo in cui la sensibilità della popolazione riguardo alla salute pubblica è così sensibile, l’aderenza a comportamenti che tutelino se stessi e gli altri è importante. Allo stesso modo, l’avere comportamenti “irresponsabili” comporta il rischio di sanzioni sociali, quando non giuridiche: almeno una parte del popolo social è pronto a scagliarsi con aggressività verso chi è percepito come un pericolo. Quindi gli assembramenti, la socialità, gli spostamenti sono una facoltà individuale, una scelta di cui ciascuno è responsabile. La possibilità di scegliere genera in alcune persone una grande dose di ansia: andare all’aperitivo, a vedere la finale degli Europei, farsi vedere in situazioni al limite dell’assembramento sono tutte scelte individuali e sono percepite come foriere di conseguenze molto concrete
Se non soffro sono in torto

La seconda fonte di disagio è il fatto che la bella stagione e i giorni di vacanza permettono di dedicarsi ad attività ricreative. Il problema è che in caso di contagio non abbiamo una “giustificazione” interna né una sociale. Contrarre il covid nello svolgimento del lavoro, specialmente se di utilità sociale, avrebbe potuto permettere ad alcune persone di percepirsi e presentarsi agli altri con un ché di “eroico”. La malattia diventa una ferita di guerra che si esibisce. Questa narrazione, interna ed esterna, renderebbe più accettabile il rischio, il disagio e lo stigma associati all’essere stati contagiati (e contagiosi). Ma se il contagio avviene in una spiaggia, in un locale, in un evento pubblico, non esiste la possibilità di appellarsi al dovere. La responsabilità diventa tanto più personale ed evidente quanto decade la componente di produttività e operosità che poteva schermarci. A ciò si aggiunge la possibilità di andare, per divertimento e turismo, all’estero. La pandemia ci ha reso più sospettosi rispetto a ciò che è distante e più chiusi, è normale: l’idea che qualcuno porti sul territorio un quantitativo di virus che poteva rimanere distante, magari un ceppo mutato e pericoloso, è difficilmente accettabile. Sento tante persone che scelgono l’Italia anche per questa ragione: il nostro Paese è meraviglioso, mi augurerei che la scelta di trascorrerci le vacanze non fosse figlia di paura e disagio.
Educare le persone alla responsabilità

La verità è che il problema è da un’altra parte, risiede nella nostra percezione. Certo, stiamo combattendo tutti una battaglia per la salute pubblica e per costruire un futuro. Dall’altra non possiamo pensare che tutti abbiano una resistenza infinita a condizioni di restrizione: dobbiamo considerare che un po’ di possibilità di spostamento e di svago sono necessarie. I contagi ci sono e ci saranno, dipendono soltanto relativamente dalle scelte dei singoli. C’è bisogno di educare le persone a riconoscere i rischi e a comportarsi quanto più responsabilmente possibile e nel contempo è fondamentale che tutti noi cerchiamo di vivere con benevolenza, tolleranza e pazienza questo periodo. L’alternativa è una società controllante e oppressiva, portatrice di disagio psicologico e insostenibile a lungo termine.