Intervista esclusiva a Renzo Minella presidente ANEF (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari) delle 170 funivie del Veneto. I controlli sono rigidissimi e puntuali, la sicurezza è testa ogni giorno. In Italia 2200 impianti con 11 mila dipendenti, un fatturato di oltre un miliardo. Dopo la tragedia di Stresa, abbiamo intervistato in esclusiva per www.enordest.it il presidente ANEF Veneto per fare il punto sulla situazione impiantistica nella nostra regione.

Quanti sono gli impianti di sciovia in Veneto?
“Ad oggi abbiamo in tutto 170 impianti sparsi nel Veneto. La provincia di Belluno la fa da regina con l’80% degli impianti di tutti i tipi. Seguono lontane Vicenza e Verona. Certamente Belluno con le sue montagne non ha rivali”
Quanto ha influito il Covid nel fatturato degli ultimi mesi?
“Tanto, tantissimo. Noi abbiamo fatturato zero fatta salva la parentesi di luglio e agosto scorsi in cui hanno aperto il 30% degli impianti, ma è un dato assolutamente irrilevante dal momento che incide molto poco sulla nostra attività. Senza dimenticare che molti impianti non hanno proprio aperto per cui possiamo dire che la ricaduta economica sulla nostra attività è stata totale”
Come si gestisce un impianto?

“Tutti gli impianti in base alla tipologia (funivie, sciovie, seggiovie, seggiovie chiuse etc.) hanno una loro vita e una scadenza rigidissima delle revisioni con controlli annuali prima che vengano messi in funzione. Poi ogni 5 anni ci sono interventi sempre più importanti in caso di revisioni generali dopo 15/20 anni di vita dell’impianto con cambio anche di pezzi generali, funi comprese, fino anche al cambio generale di tutto l’impianto. In Veneto ci sono controlli serrati puntuali e obbligatori. Ogni intervento anche quotidiano viene registrato su un nostro “giornale di bordo” e comunicato. Si fanno le corse di prova quotidianamente in base alla tipologia di impianto e in caso di anomalie bisogna intervenire immediatamente. La vita dell’impianto è una sorta di “scatola nera”. In un impianto di risalita prima del pubblico ci sale il nostro personale (anche sul tetto, imbragato secondo le norme di sicurezza) per cui mettiamo a rischio la nostra stessa vita per prima. Il tecnico sul tetto della funivia controlla tutta la parte superiore durante una corsa di prova, ovviamente a velocità ridotta”.
Presidente Minella, quello che è successo può causare un calo nella fiducia dei turisti?

“Solo il tempo ce lo potrà dire. Molti si pongono e si porranno domande, ma noi cerchiamo di paragonarci anche ad altre mobilità come quella aerea e ferroviaria con la differenza che chi sale su una filovia lo fa per divertimento. Quello che dobbiamo far passare in questo momento è che la casistica è sicuramente a nostro favore. Dobbiamo risalire al 1976 con il disastro del Cermis per ricordare un altro incidente simile. Ma vorrei far notare che sono incidenti avvenuti sempre per errore umano, non per un errore meccanico. Manomissione, manovra sbagliata, superficialità portano a questo: riferendosi all’incidente di Stresa, il sistema frenante era stato manomesso. La funivia era a posto dal punto di vita meccanico. Dietro c’è la mano dell’uomo. Poi bisognerebbe entrare nel tecnico spiegando che quell’impianto frenante era datato 1972 e non avrebbe senso usarlo oggi perché le nuove tecnologie impediscono di manometterlo. In Francia ad esempio quel tipo di impianto frenante è anche vietato”.
Come si fa a tenere sempre sotto controllo la sicurezza degli impianti?
“C’è un ingegnere di esercizio e poi abbiamo la verifica degli impianti dei tecnici del Ministero per cui i controlli sono sempre attenti. Diciamo che c’è “chi controlla il controllore”. Quando arriva il tecnico del Ministero dei trasporti controlla il lavoro del direttore di esercizio. Le normative nazionali sono molto più rigide rispetto a Svizzera e Francia per gli impianti di risalita. In questi paesi gli interventi di fine vita non vengono nemmeno contemplati. Con gli impianti attuali noi abbiamo in Veneto un parco impiantistico molto rinnovato e parliamo di un fine vita attorno al 2040. Gli impianti sono tutti sicuri, a patto che l’uomo non intervenga sul manuale d’uso e non manometta l’impianto”

Quanti posti di lavoro danno gli impianti?
“Noi abbiamo 2.200 impianti di risalita in tutta Italia, con 404 società di capitali più le società di persone. Facevamo in periodo pre- Covid oltre un miliardo di fatturato diretto in Italia grazie a 11.000 dipendenti. Insomma da 7 a 10 volte l’indotto generale della filiera con una media da 5 a 7 volte superiore rispetto ad altri comparti per posti di lavoro generati”
Cosa comporta un’apertura di questo tipo?

“Seguire la prassi normale della rimessa in esercizio degli impianti attraverso i collaudi di cui parlavo prima. Prima la verifica e poi il collaudo. Il ruolo di tutto il personale, altamente qualificato e specializzato in questo, è fondamentale. Soprattutto con gli impianti moderni dotati di tecnologia di avanguardia e controlli digitali. Per questo investiamo tantissimo anche nei corsi di formazione del nostro personale anche con l’aiuto delle aziende che fabbricano gli impianti. Dal macchinista a quelli che hanno i patentini tutti devono sottoporsi all’aggiornamento. Se poi arrivano nuovi macchinari allora bisogna anche formare e certificare”.
Cosa significa l’efficienza in vista delle Olimpiadi di Cortina?
“Per noi non cambia nulla. Non c’è una maggiore attenzione o aumento del livello di guardia. Per noi è una quotidianità. Certo le Olimpiadi potranno portare un rinnovamento e un aumento del carico di lavoro, ma non cambiano il modo di lavorare con attenzione che abbiamo qui in Veneto”.
