E’ il 12 novembre del 1994. Viene rinvenuto il cadavere di una donna sul ciglio della strada numero 5, detta “dei Lessini”, in località Cancello, in provincia di Verona. La donna è morta strangolata, l’autopsia confermerà, inoltre, che alla donna è stata precedentemente somministrata una dose di ansiolitici probabilmente per ridurne le capacità di difesa. Il cadavere è quello di Eleonora Pierfranceschi. Un paio di giorni dopo viene sentita dalle forze dell’ordine la figlia della vittima, Nadia Frigerio, che dichiara di averla vista qualche sera prima della sua scomparsa e racconta che la madre era in realtà solita sparire anche per più di 24 ore, e per tale motivo non si era preoccupata non vedendola rientrare. Viene interrogato anche il compagno di Nadia, Marco Rancani, che afferma di aver cominciato a convivere con la fidanzata subito dopo la morte della madre, evidenziando che quest’ultima non lo vedeva di buon occhio. Non solo. Marco riferirà anche che il rapporto tra Nadia e la madre era altamente conflittuale: “le due si odiavano a morte…Nadia ambiva a entrare in possesso esclusivo della casa perchè la madre le era d’impiccio”.
Le indagini e l’arresto di Nadia e Marco
Nelle settimane successive gli inquirenti intercettano i telefoni di Nadia e Marco e le registrazioni porteranno all’arresto della coppia per omicidio volontario aggravato da abietti motivi e occultamento di cadavere. Il movente dell’omicidio sembra corrispondere ad un desiderio, da parte di entrambi, di liberarsi della vittima per poter vivere liberamente la loro relazione, e per poter usufruire della casa.

Al momento dell’arresto gli indagati presentano, però, due versioni opposte dei fatti: ognuno ammette di aver partecipato attivamente all’occultamento del cadavere, ma attribuisce all’altro l’esecuzione materiale del delitto. E il primo a fornire la sua versione dei fatti è Marco che afferma come fosse stata Nadia, stufa della situazione, a ideare l’omicidio della madre mescolandole nel caffè dei potenti ansiolitici che la donna abitualmente assumeva. Racconta che fu a lei a strangolarla dopo che la madre aveva perso i sensi a causa dei farmaci assunti. La vestono in modo da far credere agli inquirenti che la signora fosse una prostituta (all’interno della borsetta di pelle nera ritrovata a pochi metri dal cadavere viene infatti trovata una confezione ancora integra di preservativi), la caricano in macchina e abbandonano il corpo sul ciglio della strada.
La versione di Nadia smentisce quanto affermato da Marco. Ella dichiara che era stato lui ad ideare il delitto pensando di utilizzare inizialmente i farmaci per stordirla, con lo scopo poi di strangolarla. La stessa Nadia dirà infatti che Marco le avrebbe detto di andare nell’altra stanza: “L’ho fatto e lui l’ha uccisa”.
In carcere Nadia e Marco si inviano quelle che all’apparenza sembrano essere lettere d’amore e dove condividono le modalità di azione e di gestione della vicenda giudiziaria che li coinvolge. Ma alcuni mesi dopo lo scambio epistolare si interrompe e i due ammettono di aver utilizzato quelle lettere per controllarsi a vicenda. Marco, che in quelle lettere aveva scritto “ti amo” a Nadia, poco dopo confesserà ai periti che in realtà “dentro il mio cuore mi fa schifo…la dovrei odiare e invece sulle lettere le scrivo di amarla, perché dentro di me la odio perchè tutti questi guai me li ha portati lei”.
Nadia Frigerio: emarginazione, manipolazione e dominio
Nadia Frigerio è nata nel 1961, i genitori si separano quando lei è poco più che adolescente. Gli insegnanti testimoniano alcuni comportamenti definiti “strani” da parte della ragazza che ha un carattere cocciuto e a tratti oppositivo-provocatorio, mostrando tuttavia una particolare intelligenza. L’instabilità delle relazioni familiari e l’alta conflittualità genitoriale la portano infatti ad avere un basso rendimento scolastico e un carattere difficile. Nadia confesserà inoltre di aver subìto, attorno agli 11-12 anni, degli abusi da parte del padre.
Dopo essere tornate dalla Germania, dov’era stata a lavorare per 6 mesi, a Verona conosce un uomo in attesa di divorzio, con cui, ancora 21enne, inizia una relazione ed una convivenza, e da cui avrà 2 figli, che lascerà spesso da soli per andare a lavorare all’insaputa dell’uomo che invece, per gelosia, la costringe a rimanere a casa. A causa del fatto che il primogenito era stato visto affacciarsi ad una finestra, quasi in procinto di cadere, gli Assistenti Sociali affidano i bambini al padre.

La vita di Nadia prosegue all’insegna di totale instabilità, all’insegna di una nuova convivenza e di mal celati tradimenti. Comincerà poi a prostituirsi nel 1994, l’anno del delitto della madre, con cui aveva all’epoca tagliato qualsiasi tipo di rapporto. Si trova però costretta a rivolgersi a lei per trovare una momentanea sistemazione, sia pure in un clima di intensa conflittualità.
Nadia conosce Marco in un locale in cui egli lavora come barista; è un ragazzo affascinante, all’epoca tuttavia già fidanzato con un transessuale, Sonia, con cui coabita. Ma Nadia lo vuole per sé e progettano di sposarsi. Quando Nadia rimane incinta di un altro uomo, confessa a Marco il tradimento e il suo desiderio di abortire, ma egli si dichiara disponibile a sposarla e a fare da padre al bambino. Ma la madre, Eleonora, le vieta di portare in casa sua Marco, e ciò li costringe a vivere nel segreto la loro relazione. Nadia tuttavia non ha sufficiente denaro per emanciparsi economicamente dalla madre ed è costretta, suo malgrado, ad accettare la situazione.
Marco Rancani: emarginazione, povertà, solitudine e dipendenza affettiva

Marco, nato nel 1965, è cresciuto in una condizione familiare di estrema povertà e con un padre in carcere. Dopo il collegio, si unisce per qualche anno ad una famiglia di giostrai, che gli assicurano vitto e alloggio e una misera paga. Marco è una persona passiva e con una scarsa intelligenza, “è come se avesse imparato l’arte parassita del sopravvivere, dipendendo sempre da qualcuno, incapace di gesti e di scelte autonome”, come scriveranno i periti. La sua passività si associa a freddezza e al demandare agli altri anche le minime decisioni quotidiane. Ed è proprio su questo che si basa la relazione prima con Sonia, il transessuale dal quale dipende, e poi con Nadia: non tanto sull’amore e sulle caratteristiche della persona, quanto su una dinamica profonda e a tratti perversa di assoluto dominio da parte di Sonia e Nadia nei suoi confronti. Gli altri per lui sono “buoni o cattivi”, santi da beatificare oppure demoni da condannare. Marco è cosciente di dipendere affettivamente dagli altri, ha un’immagine di sé molto bassa. Per lui il denaro rappresenta il limite tra il vivere e il morire.
La coppia criminale Nadia-Marco: le due personalità a confronto
Cos’ha portato Nadia e Marco all’omicidio della madre di lei? Cosa ci raccontano le vite di ciascuno dei due protagonisti di questa triste e terribile vicenda e perchè una coppia criminale si struttura come tale?

Le personalità di Nadia e Marco risultano in un certo senso quasi speculari: i dissidi all’interno della coppia, per Nadia, nascono e sono centrati su due aspetti fondamentali, ovvero sul denaro e sulla libertà, e sul bisogno profondo di eliminare qualunque cosa ostacoli il raggiungimento dei propri obiettivi. Nadia mette in atto un atteggiamento ambiguo e a tratti manipolatorio e impositivo, da personalità dominante, segue la logica della sopravvivenza al fine di risolvere i problemi legati solo ed esclusivamente al qui e ora. Marco invece ha una personalità dipendente, è timoroso e bisognoso di una guida, e la sua relazione con Nadia è caratterizzata da una profonda ambivalenza: da un lato le rivolge parole dure e minacciose, ma dall’altro la teme. In un certo senso odia Nadia tanto quanto odiava Sonia, poiché ne era totalmente succube e la temeva. Mentre Nadia cerca il protagonismo e l’ammirazione degli altri, Marco è incapace di stare da solo e agisce sempre “parassitariamente”, come sottolineeranno i periti.
Nadia e Marco: un disfunzionale incastro di bisogni
Pochi giorni dopo il delitto della madre Eleonora, Nadia si impossessa del suo appartamento per andare a vivere con Marco e per portare avanti tutta una serie di attività, alcune di discutibile legalità. Sembra quasi che Nadia non risenta della morte della madre poiché probabilmente ha considerato il fatto come l’eliminazione ultima di un ostacolo per il raggiungimento dei suoi bisogni e desideri, ovvero di un appartamento dove poter vivere liberamente. La sua partecipazione al delitto in qualche forma colloca Nadia nell’agire per evitare le difficoltà, il dolore, con il massimo rendimento e il minimo sforzo: raggiungo il mio personale piacere evitando ad ogni costo il dolore. Vuole tutto e subito. Questo emerge anche quando in carcere lo scambio epistolare con Marco si interrompe: l’appartenente protezione e tutela di quest’ultimo si trasformano immediatamente in contrapposizione e odio.

Analizzando la dinamica di coppia che ha portato poi all’omicidio della madre di Nadia, si evince come l’elemento primario attorno a cui ruota l’intera vicenda è il denaro: Nadia avrebbe voluto che Marco mettesse a segno un colpo, lui che conosceva bene i sistemi di allarme e già in precedenza aveva rubato in favore di quelle che Nadia definisce “le altre puttane”, come Sonia. Se avessero avuto più denaro se ne sarebbero andati e avrebbero ricominciato una nuova vita. Ma Marco fa lavori saltuari, ed egli stesso si prostituisce nel piazzale antistante la stazione di Verona. E’ lo stesso che da 5 anni convive con un transessuale, Sonia, che abusa di farmaci e superalcolici, e che aveva organizzato un matrimonio con una donna rumena in cambio di denaro.
Nadia Frigerio e Marco Rancani: una coppia criminale animata dalla mancanza (e quindi dal desiderio) di denaro; una storia d’amore, la loro, che non parla in realtà né d’amore, né di fiducia, né tantomeno di calore e affetto, bensì di uno incontro-scontro tra bisogni individuali ben distinti, forti e profondi.