Sono cominciate le grandi manovre: ancora una volta il Veneto come laboratorio per il cambiamento degli assetti associativi confindustriali. Sono ripartite a spron battuto le fusioni o “con”-fusioni” come qualcuno le ha ribattezzate. Ma la partita in gioco è piena di insidie. A fine marzo le già fuse Confindustrie Assindustria Venetocentro (che comprende Treviso e Padova nata nel 2018) e Confindustria Venezia Area Metropolitana Venezia-Rovigo (che comprende Venezia e Rovigo, nata nel 2014) si sono incontrate per porre le basi del futuro colosso che appunto le “fonderà’” diventando la seconda Confindustria d’Italia con oltre 5mila imprese associate e 230mila dipendenti. Un Veneto che a Roma finalmente potrà dire la sua, non sarà più accusato di essere “Nano politico e gigante economico ma di poco peso nelle stanze che contano”. In futuro potrà far valere una forza, almeno sulla carta, devastante.
Ma non tutto sembra finora andare liscio.
Dalla patria del baccalà i primi mal di pancia al colosso

Vicenza per anni ha occupato il quarto posto a livello nazionale per potere economico e valore della sua associate. Nel 2017 quando si arrivò al matrimonio Treviso-Padova vennero contattati anche gli imprenditori berici per rendere ancora più forte e blindata la grande alleanza trevigiano-patavina. Ma i vicentini, dopo aver valutato le condizioni di salute dei due “sposini”, presero tempo. Qualcuno disse che si sarebbero messi alla finestra in attesa di vedere come sarebbero andate le cose non volendo fare le “crocerossine”.
Dalla patria del pandoro voglia di espatriare
Da tempo si vocifera, anzi, ormai la notizia è di dominio pubblico che Vicenza e Verona vorrebbero unirsi. Calcisticamente veronesi e vicentini si sono sempre odiati, questo si sa. Ma un eventuale “matrimonio” tra le due Unindustrie darebbe vita a quella che nel linguaggio calcistico viene definito uno “squadrone”, per lo più due città, Verona e Vicenza che da anni sono sedi di fiere rinomate a livello internazionale (Vicenza Oro e Vinitaly giusto per fare un esempio). Verona, però, guarderebbe più alla vicina Lombardia che alla più vicina provincia vicentina..

Vicenza isolata o asso piglia…quasi tutto?
Rimettiamo un po’ di ordine. Se Verona espatria in terra lombarda, Vicenza resterebbe di fatto isolata. A questo punto la dirigenza berica dovrebbe accasarsi con le due “famiglie” Venezia-Rovigo e Assindustria Venetocentro. Ma la sua entrata non sarebbe indolore. Questi sono matrimoni dove al di là delle dichiarazioni di facciata sul maggior peso a livello nazionale , i veri obiettivi sono le poltrone da occupare. Vicenza, infatti, chiederebbe la “poltronissima” di megadirettore galattico alla quale, però, punterebbe il post doroteo trevigiano Beppe Milan che, con l’entrata quindi di Vicenza, si ritroverebbe completamente all’angolo. Queste nozze a “5” inoltre comporterebbero un snellimento dei funzionari di almeno un terzo, meno rappresentanze sul territorio e più di qualche scontro fratricida.
Il colosso per Venezia. Nel bene e nel male

L’accoppiata Venezia-Rovigo porterebbe in dote soprattutto la grande industria. Ma Treviso sembra stia facendo melina perché non gradirebbe una famiglia con un “figlio” indebitato: un rospo da ingoiare per gli associati della Marca? Nel 2014 anno della fusione fra veneziani e polesani qualcuno sui media la definì come “l’unione dei debiti”. A consolare però gli scontenti potrebbe essere il fatto che a pandemia chiusa, su Venezia dovrebbe arrivare una enormità di denaro pubblico. Il premier Mario Draghi ha già annunciato “che dopo la pandemia affronteremo un altro dopoguerra. Servono investimenti e anche indebitamenti per far ripartire l’economia”. Venezia ha pur sempre una risonanza mondiale e riesce sempre a catalizzare ingenti risorse pubbliche.

Fusioni per incorporazione, unioni …un salto nel passato non guasta
Il Veneto non è nuovo a fusioni/incorporazioni/unioni tra associazioni di categoria. Ma mai provò a creare un colosso confindustriale di livello nazionale. Nel 1995, prima regione in Italia, andò in porto l’unione-fusione tra Confindustria e Api (associazione delle piccole e medie imprese). La prima ad aderire fu Treviso, poi Venezia, quindi Padova e qualche anno dopo Rovigo. Verona e Vicenza rimasero fuori. Ci fu un’ottima cabina di regia da parte degli allora direttori Francesco Borga e Mario Zambelli, anche se non tutte le realtà associative confluirono a nozze. I timori erano soprattutto legati allo strapotere, soprattutto politico, nei confronti degli associati di viale dell’Astronomia che in pratica avrebbero “ingoiato” i cugini più piccoli, gli “Apini”.

Naturalmente non mancarono gli oppositori, come l’ex presidente dell’Api Vicenza Renzo Belcaro che adottò come pretesto l’abusatissimo cavallo di battaglia dell’epoca il federalismo: “noi siamo federalisti, Confindustria centralista”. Poi Belcaro, una volta arrivato alla guida di Confapi Veneto, naufragò e con lui il “Progetto Confapi 2000”, più emblema del centralismo che del federalismo. Stessa sorte per il collega-alleato di Rovigo Natalino Allegro che definiva Confindustria come una “Buona Domenica” il programma tv dove entravano tutti, mentre l’Api doveva proteggere la sua identità. Una volta estromesso dall’ Api Allegro, i suoi buoni propositi furono prestissimo dimenticati grazie anche all’allora direttore Massimo Barbin.