
La vita semplicizzata per decreto: è questa la situazione che stiamo vivendo senza aver potuto sceglierla. La vita con il virus addosso è diventata una “compressione” del nostro spazio e soprattutto del nostro tempo, una draconiana diminuzione del dosaggio vitale al quale la normalità (una chimera…) ci aveva abituati. Dal limite della nostra “imprevista trincea”, gli spazi aperti sono un richiamo, un risucchio degli sguardi. E lì abita un silenzio freddo, minaccioso e neutralizzante. “Là fuori”, che è il mondo, non c’è soltanto Lui, il maledetto invasore, con le sue microscopiche e mortifere legioni. Là fuori – e lo scopriamo ogni giorno, fin dall’inizio dell’epidemia – c’è umanità, che significa impegno e sofferenza: ci sono gli indispensabili del fronte sanità e produttivo, e ci sono i superstiti: gente senza rifugio, clochard che nessuna casa protegge; sono gli ultimi che vagano sotto il cielo, indifferente nella sua spettacolare bellezza della chiarità invernale.
Annunci di pericolo

Qualcuno ricorda e dice: “Al tempo della guerra, noi c’eravamo – bambini, bambine, ragazzi – e sentivamo col batticuore l’urlo delle sirene che dilagava per le vie della città e si disperdeva nel vuoto della campagna: era l’allarme aereo”. Quel suono era l’avvertimento che iniziava un pericolo in arrivo, e si replicava a pericolo scampato. Ma adesso? C’è solamente il continuo stridente e sinistro messaggio delle autoambulanze, il continuo tam tam mediatico dell’allerta virus: niente inizio, niente fine, tutto ristagna nell’incertezza. La guerra, le fughe, le persecuzioni, la povertà come compagna quotidiana… E il pane quotidiano? Era più presente nelle campagne, impastato di notte e cucinato di mattina presto. Sapore di guerra!
Uomini e nuvole
“Ci sono cose…” attorno a noi, perfino dentro di noi (Freud insegna) che è difficile esprimere a parole, forse perché tutto cambia e si evolve (o involve…) comprese le parole. Parliamo di invisibilità del virus che ci vuole abitare, e non ci viene in mente lo spavento che abbiamo provato nell’86 con le radiazioni atomiche di Cernobyl. Un giorno ci sono arrivate addosso come nuvole portate dal vento, che soffiava dell’Est non troppo lontano. Un altro giorno se ne sono andate, assorbite dalla terra, trascinate dalla bora. Così ci accadono, e spesso a nostra insaputa, le cose.

Sogni, non progetti
Per i pessimisti, e ce ne sono tanti, un evidente segno di inadeguatezza italiana “pressata dal virus” è il continuo esibire in pubblico e proclamare da megafoni di ogni tipo visioni eroiche di ri-nascita e addirittura di Rinascenza che ci attendono “in fondo al tunnel”. Attenti, dice il pessimista della porta accanto (in compagnia, per altro, dei Piero Angela e dei Massimo Cacciari…), siete fuori di testa e scambiate sogni per progetti! Aspettate e vedrete tornare i corvi e li sentirete gracchiare dal video di casa. Pessimismo condiviso. Le cronache non mentono: Virus – creatura invisibile – ha avuto spazio e tempo per replicarsi e moltiplicarsi. E ancora, purtroppo, tiene la scena.
Citazioni
Da condividere o meno. “La scienza non è un’opinione. E non è nemmeno un oracolo”, firmato Angelo Panebianco. In tempi di vaccini… E poi: “Quando questa terribile crisi sarà finita, il mondo che ne verrà fuori sarà totalmente cambiato. Il nostro dovere è conservare la memoria atavica”: pensiero di Barbara Rose, storica dell’arte Usa.