Canaletto, vedutista con camera ottica, venne riconosciuto artista nel 1763 ed entrò nella Fraglia dei pittori veneziani a 66 anni. Francesco Guardi, artista, all’epoca “venditore di cartoline” per gli inglesi, entrò come socio nell’Accademia della pittura a 64 anni. Anche per Luigi “Gigi” Ferrigno, veneziano, 85 anni, fotografo c’è tempo. Non è ancora entrato nel gotha degli artisti celebrati della fotografia. Non è mai troppo tardi.
Eppure ha un archivio di 25 mila foto, a cominciare dal 1957, anno in cui si iscrisse al Circolo fotografico la Gondola. Un club esclusivo di artisti veneziani del calibro di Fulvio Roiter, Gianni Berengo Gardin, Paolo Monti, Manfredo Manfroi, Giuseppe Bruno, Carlo Mantovani, Gino Bolognini, Giorgio Giacobbi. Ci rimase fino al 1961, con l’adesione dei “separatisti” ribelli al Circolo fotografico Il Ponte.
La prima macchina fotografica di Gigi
E fu proprio Gianni Berengo Gardin, sempre nel 1957, a vendergli di seconda mano, la sua Leika portatile, costo 40 mila lire. Tanti soldi per un ventenne dell’epoca. “La fotografia era dentro di me – dice ora dalla sua casa di Cannaregio – sognavo di notte. Mi alzavo e avevo già gli scatti in testa. Da ragazzo avevo vissuto al sud d’Italia. Il sud come folclore dell’esistenza. Ma il tuo “sud” è dappertutto. Non serve andare via e viaggiare. Il tuo “sud” è qui, dentro di te”. E lo dice battendosi il cuore.
La vita di Gigi Ferrigno

Una vita abbastanza semplice quella di Luigi, classe 1935. I suoi genitori avevano un albergo a Mestre. Abitava in Campo S.Agostin, vicino alla chiesa dei Frari. Sua compagna d’infanzia Luciana Boccardi, la mitica giornalista di moda. “Nessuno di noi era ricco e vivevamo la nostra vita, nel dopoguerra veneziano, quasi sempre in strada, o meglio in calle”. A 16 anni, come spesso succedeva allora, l’inizio della vita adulta. Diventa “ascensorista”, oggi si direbbe lift, all’Hotel Europa, cinque stelle vicino a Piazza San Marco.
Gigi tra Roma e Napoli
“Nel 1952, il commendator Spada, figlio dì Nicolò, l’inventore del Lido della Belle Époque – ricorda Ferrigno – mi offre un lavoro a Roma, nel suo residence di Largo Chigi, a due passi da Montecitorio. Vengo assunto come segretario amministrativo. Avevo 17 anni. Nella capitale conosco un sacco di parlamentari, attori e attrici famosi. Guadagnavo 7 mila lire al mese! Ma soprattutto avevo teatro, cinema e concerti gratis.
L’anno successivo mi offrono un posto come cassiere d’albergo nientemeno che all’Hotel Londre di Napoli. 350 stanze, abitate soprattutto da ufficiali americani. Avevo la contabilità dei due ristoranti interni. Alla birreria Lowenbreu, questo il nome del secondo locale, pagavano tutto in dollari. Un dollaro, ricordo, 620 lire. Una pacchia. Napoli è una città bellissima e il calore dei napoletani lo conservo ancora nel cuore. Conosco una ragazza inglese che lavorava con me per pagarsi gli studi di archeologia. Con la macchina fotografica andavamo a Pompei, Posillipo, Ercolano.
Gigi torna a casa
Nel 1956, ormai uomo maturo, torno a Venezia, Hotel Monaco, con la qualifica di capo-ricevimento. E qui che inizia la mia vera passione di fotografo”.
Il circolo
E così Luigi Ferrigno si iscrive al Circolo fotografico la Gondola, un club ormai famoso che compiva i primi dieci anni di vita. Passa le serate con Giorgio Giacobbi e comincia a farsi notare nelle prime mostre, come quelle della Biennale, sezione fotografia, tra il 1957/59.
Il ricordo più bello con Giuseppe Bruno che abitava a Mestre, in via Forte Marghera “Un vero poeta veneziano”, ricorda ancora. Il suo primo soggetto lo dedica a Murano e alla tematica, tutta lagunare, “barche e lavoro “.
Il patrimonio di Gigi

Ora quelle immagini di oltre 60 anni fa, rappresentano un patrimonio etnografico non indifferente. Sono spariti del tutto mestieri e barche tradizionali. Ecco perché il prezioso archivio privato di Gigi Ferrigno diventa uno scrigno interessante per capire meglio la storia contemporanea.
Ci sono immagini di pescatori in Rio di Cannaregio, che vivono in barca, le “peate”, enormi barconi condotte da due soli vogatori, con remi impossibili. Una Venezia priva di turisti che ha molte analogie con quella di oggi, pandemica, ai tempi del Covid.
Seguono i giochi in campo dei bambini, anni Cinquanta, gli ultimi senza la schiavitù televisiva. Istantanee di vita di tutti i giorni, banali e semplici come l’arte povera. La Venezia di Luigi Ferrigno appare in tutta la sua ruvidezza e naturalità. Le turiste anziane del sud in visita a San Marco con i loro vestiti neri, retaggi medievali; la suora curiosa, in soccollo che ammira il modernissimo negozio Olivetti di Carlo Scarpa.
I bambini accanto ai mastelli di legno, visto che le lavatrici devono ancora arrivare, e piccoli seduti su improbabili valige di cartone. I lavoratori del vetro nelle fornaci centenarie. Immagini tanto care al fotografo Luigi Ferrigno che a Murano, ricreandosi come chimico del vetro per Aureliano Toso, passerà poi la sua esistenza lavorativa.

Le mostre
Numerose le mostre fatte negli anni da Luigi Ferrigno: alla Bevilacqua la Masa, alla Scuola di San Teodoro, a quella sulla tematica lavorativa organizzata dall’Iveser alla Scoleta di San Tomá nel 2007.
Una vita e 25 mila scatti. La curiosità di Luigi Ferrigno continua. Cammina ancora guardingo per le calli veneziane, il suo “sud” dentro di tutti noi.