Ritratti di donne: s’intitola così il libro di racconti, appena uscito per Terra d’ulivi edizioni, che la psicoanalista e scrittrice veneziana Elisabetta Baldisserotto regala ai suoi lettori. Lei, conosciuta in ambito letterario soprattutto per la trilogia gialla del commissario Jacopo Zambon (pubblicata da CLEUP), istruisce ancora una volta un’indagine: profonda, tutta dedicata all’animo femminile, a quella percezione analitica che ne pervade i moti; sfaccettata come un prisma, calata nella quotidianità più spicciola, eppure brillante di eccezioni.
Donne e metodo
Ci vuole metodo: una delle protagoniste – casalinga per forza, senza entusiasmi, memore dei propri studi di filosofia – applica il sistema cartesiano all’eterna ripetizione dei gesti di ogni giorno. Ci vuole metodo, pare suggerire l’autrice, anche per deragliare, in quel tessuto amoroso e folle di dolori che accompagna i pensieri.
Donne e segreti
Qualcuna fugge da sé e patisce la lontananza; qualcuna si lascia travolgere dai propri nascosti vizi, quasi fossero segni delittuosi. L’orchestrazione dei racconti si snoda sul filo di una pena sottile, quasi sezionata al microscopio: in una prosa attenta e chiara, molto efficace nella definizione delle ossessioni, Elisabetta Baldisserotto indaga, ben oltre il puro meccanismo letterario.
Ritratti di donne raccolti e premiati
Non è un caso che alcune di queste prose siano già state premiate singolarmente: i ritratti possiedono una feroce tridimensionalità, un’oggettività che coinvolge ogni senso, anche le pene passate, le cause del dolore. Il fiato grosso della fatica, sul bilico dei ricordi.
Così la Carmen, che canta e fa il bucato compulsivamente, di giorno e di notte, ritrovando nel profumo del sapone una specie di rivalsa emotiva e sociale; o la signora Bonetti che – ossessionata dalla figura di un anziano sconosciuto che sosta di continuo sotto le sue finestre – lo segue per strade che non le appartengono, per poi perderlo.
Ritratti di tutte le forme
È una forma ibrida – rimpianto e sogno; disillusione e speranza; mondo esterno ed intimità – quella che assumono le donne di Elisabetta. Tuttavia, il bello di questa raccolta sta, a mio parere, anche altrove. L’essere capace di cogliere ogni battito di ciglia, ogni rimorso non esclude, per l’autrice, l’individuazione di un ulteriore filo rosso – leggero, ma tenace – che percorre tutte le storie: una luce, un’eco. Tenerezza per ciò che i personaggi femminili patiscono, realizzano, sognano. Amore per quell’essere plurime, per quella sensibilità epidermica, antica come la terra, che le accomuna.
Perché leggerlo
La trasmissione del messaggio avviene per lo più senza metodo, per vie tangenti, in apparenza contraddittorie. Così, nella copertina del volume – una foto di famiglia tutta di donne, a circondare la sposa – si racconta la simultaneità degli affetti, l’importanza della vita ricevuta e trasmessa.
La dedica
Colpisce la dedica del volume: A mamma, / al suo senso della famiglia.
Altrettanto colpisce il ritrovare, in una silloge poetica di Vittoria Fonseca, madre di Elisabetta, quella stessa dedica rovesciata: Alle mie figlie. In fondo vale, come ci ricorda l’autrice, ciò che Marlow recita in un passo del Lord Jim di Joseph Conrad: dobbiamo trovare la strada tra opposti segnali luminosi, badando che ogni minuto può essere prezioso e irrimediabile ogni passo … Vale anche che, nella foto, la sposa e le altre ridano serene. Se c’è un senso, credo, sta tutto lì.
Brava, Francesca: hai colto, con la sensibilità che conosco bene, il significato più profondo di questi racconti.
Che penna profonda quella di Brandes! Una lama razor sharp che scava nei libri per offrirne al futuro lettore l’anima denudata. Leggere Brandes invoglia a leggere: un loop perfetto!