Francesco De Piccoli. Nel 1960 conquistò il mondo, vinse mettendo l’avversario al tappeto. Un’infanzia tra il lavoro di operaio a Porto Marghera e la pista da ballo di Spinea. Sette medaglie, una di bronzo, tre d’argento, tre d’oro. Questo il “bottino” mai uguagliato in seguito ottenuto dalla squadra italiana di pugilato nel corso delle meravigliose olimpiadi di Roma del 1960. Bronzo al mediomassimo Giulio Saraudi, argento per il gallo Primo Zamparini, il leggero Sandro Lopopolo, il superwelter Carmelo Bossi e medaglie d’oro per il piuma Franco Musso, il welter Nino Benvenuti e il massimo Francesco De Piccoli.
Francesco da Campalto


L’ultima, solo in ordine di tempo in un caldo pomeriggio del 5 settembre quella del gigante di Campalto (piccola frazione della terraferma mestrina), un vero “omone” alto 1,90 per 95 chilogrammi. L’inno di Mameli era rimbombato già due volte all’interno del Palasport romano e ora spettava proprio a De Piccoli ottenere il classico “non c’è due senza tre”.
Francesco e la finale
Andiamo per ordine e diamo “un’occhiata” al modo in cui era arrivato a quella finale. Nel primo turno si trovò di fronte il belga Venneman, non proprio quello che si può definire un “fulmine di guerra”. Detto fatto il campione di Campalto si sbarazzò del suo primo avversario in poco più di un minuto e mezzo, folgorandolo con una terribile combinazione diretto destro-gancio sinistro. Il successivo sorteggio per i quarti di finale fu estremamente severo in quanto mise sulla strada di De Piccoli il russo Valery Abramov, due volte campione europeo con circa trecento incontri al suo attivo e soprannominato “l’orso russo”.
L’incontro
L’incontro fu una vera battaglia, ma l’azzurro per nulla intimorito riuscì addirittura durante la prima ripresa a metterlo al tappeto con un montante devastante alla milza. Abramov venne contato fino all’8 e riuscì a riprendere il match. La seconda e terza ripresa furono al limite delle possibilità umane da parte di entrambi. Colpi pesantissimi e il pubblico romano in piedi quasi in estasi. Alla fine il verdetto premiò uno straordinario De Piccoli al quale si spalancarono le porte per le semifinali dove andò ad incontrare il cecoslovacco Josef Nemec. Fu un incontro quasi di routine, una passeggiata per sciogliere i muscoli. De Piccoli sempre avanti con accortezza, senza strafare e il ceco chiuso in clinch per tutte e tre le riprese. Vittoria netta ai punti e finale contro il sudafricano bianco Daniel De Bekker.
Francesco e Roma


Il Palasport di Roma pieno fino all’inverosimile, Franco Musso e Nino Benvenuti già campioni olimpici. Ora tocca a De Piccoli. Sale sul ring consapevole della sua forza e soprattutto di avere tutto il pubblico dalla sua parte, un pubblico che l’aveva già definito “l’ottavo re di Roma”. Suona il gong e l’azzurro parte subito a razzo, un autentico carroarmato che investe il povero De Bekker con una gragnuola di bombe, una in particolare al fegato lo costringe a piegare le ginocchia al tappeto. E’ il primo conteggio, riesce a rialzarsi ma De Piccoli intuisce che la vittoria è ad un passo. Lo aggredisce nuovamente e non c’è scampo se non per andare al tappeto nuovamente. L’incontro si chiude in 90 secondi e per De Piccoli c’è spazio solo che per il tripudio.
Dinamite pura


Una delle più belle pagine della storia dello sport italiano, scritta in quel magico 5 settembre 1960. De Piccoli era arrivato a disputare quella olimpiade dopo aver battuto nelle finali dei campionati italiani il lombardo Giorgio Masteghin che era in qualche modo il pupillo della federazione, ma in quel momento la forza e la determinazione di De Piccoli costituivano un vero e proprio “serbatoio” di dinamite.
Gli esordi


Si era avvicinato al pugilato quasi per caso nel 1955 quando un certo signor Emilio, proprietario di una balera situata a Spinea (Venezia) denominata da “Bagiggi”, gli propose di iniziare a combattere visto il suo fisico prorompente abbinato all’abilità nel ballo. Lo stesso De Piccoli racconta spesso questo momento della sua vita definendo la balera da Bagiggi “fondamentale” per la sua carriera che da quel luogo prese il via fino ad arrivare alla medaglia d’oro olimpica e ad una successiva carriera incredibile da professionista. I maestri Arturo Paoletti prima e Toni Caneo dopo, i due titoli italiani, il mondiale militare vinto contro l’americano di colore Price addirittura fatto volare fuori dalle corde sopra il tavolo dei giudici.
Il professionismo
Il passaggio al professionismo con 41 incontri e 37 vittorie delle quali 29 per k.o. La sconfitta contro lo statunitense Wayne Bethea a Roma in un incontro che non si sarebbe mai dovuto disputare con De Piccoli febbricitante e poi i guantoni al chiodo nel 1965 dopo aver riempito tutti i palasport d’Italia e soprattutto fatto incassare tanti soldi ai suoi manager. E’ stato un vero idolo, all’inizio degli Anni Sessanta lo era più di Nino Benvenuti con il quale in quella magica olimpiade romana divise la camera da letto nel villaggio olimpico.
Il ricordo più bello di Francesco


Però il ricordo più bello di Francesco per tutti Franco De Piccoli rimane legato a sua madre Uliana. “Mia mamma” dice sovente il campione “oltre a salvarmi la vita perché all’età di tre anni e mezzo mi avevano diagnosticato un fibroma alla nuca e lei con grande coraggio mi fece operare d’urgenza contro il parere di tutti, fu anche l’unica in grado di mettermi veramente k.o. con una tremenda ciabattata sul naso che in qualche modo mi porto ancora addosso.” In effetti il nasone di Francesco può competere con quello di “Ginettaccio” Bartali e Paolo Conte potrebbe inventarsi un’altra canzone…
..grande pugile…troppo modesto, non invadende, umile e sottovalutato dalla federazione… della FPI NAZIONALE, tutta presa dal mito di Benvenuti, dimenticandosi delle altre medaglie d’ora ed argento conquistate in quella memorabile olimpiade. Ingrati!…Meritano tutti, una riabilitazione da vivi non post morte…