Un bollettino quotidiano, una giornaliera sconfitta contro la prevedibilità che lascia una scia sempre più insopportabile di morti e sofferenze. Questo è diventato il confronto con la sicurezza sul lavoro, nonostante i decreti e gli accordi sempre più numerosi ed incalzanti. Difficile anche ricostruire precisamente il succedersi degli eventi, ricordare nomi e circostanze, comprendere le dinamiche ed immaginare le angosce e le sofferenze di chi è vittima in un istante e di chi, rimanendo, lo sarà per sempre. Possibile cercare un filo comune? provare a mettere ordine traendo una lezione, ed un insegnamento utile e fruttuoso? Dall’incidente al ragazzo al primo giorno d’impiego alla morte del pensionato-lavoratore per compensare la perdita di reddito del suo nuovo status, che invece d’essere il raggiungimento di una meta agognata e meritata diventa una trappola d’angoscia.
La sicurezza sul lavoro in Veneto

Il Veneto registra 21 vittime sul lavoro nei primi tre mesi del 2025, 13 dei quali in itinere, che rappresentano il triplo dell’anno precedente; è la seconda regione dopo la Lombardia, con la provincia di Padova in vetta a questa triste classifica. La nostra realtà, fatta di piccole e micro imprese e di una imprenditorialità diffusa sul territorio, flessibile e capace ma anche stretta da vincoli economici e da uno scenario internazionale passivamente subiti, caratterizzata da un’operosità del lavoro che salda insieme imprenditori e lavoratori, più di altre spinge ad una profonda riflessione. Come si può interrompere questo andamento? Con quali mezzi ed attraverso quali processi? La pesantezza della situazione e la sua invariabile negatività fanno presumere che le misure finora utilizzate siano insufficienti per qualità prima ancora che per quantità; che si debbano cercare risposte metodologicamente diverse, che si debba cambiare lo schema di gioco.
Parlare di sicurezza sul lavoro

Quando si parla di sicurezza, tutte le sicurezze quella sul lavoro come quella di camminare per strada, l’approccio deve essere pieno, a tutto tondo, non limitandosi ad utilizzare strumenti e dispositivi che con capacità taumaturgiche e risolutive. La sicurezza va vissuta, partecipata, fatta propria e custodita da tutti e da ciascuno, perché sia effettiva e tutelante, altrimenti rimane un’aspirazione, un tentativo. Fornire le misure di protezione, stabilire procedure e decidere modalità di lavoro, non risulta più sufficiente in un mondo del lavoro cambiato, pressato da tempi e richieste nuove, composto da lavoratori che spesso non si conoscono tra loro, non parlano la stessa lingua e con esperienze ed abitudini diverse
Verifica dei dati e dei progetti

Un elemento di comprensione può essere la verifica dei dati relativi ai progetti, finanziati dall’Inail ed avviati dalle imprese per il miglioramento della sicurezza in azienda; si verifica che nel 2023, ultimo anno per il quale vengono forniti dati, l’87% dei progetti sono stati realizzati nelle imprese piccole e micro, quelle che innervano il tessuto produttivo del triveneto, un dato che porterebbe ad attendersi risultati positivi per la nostra realtà.
Verificando però la tipologia dei progetti avviati, si riscontra un elemento di criticità che induce a riflettere ancora perché si nota come la maggior parte degli interventi siano stati indirizzati per circa il 50% alla riduzione del rischio infortunistico attraverso la sostituzione di macchine e circa un terzo all’eliminazione del rischio amianto mediante la bonifica delle coperture dei luoghi di lavoro, obbligo di legge al quale le imprese sono tenute ad adeguarsi. Solo percentuali minori hanno riguardato la riduzione dei rischi da movimentazione manuale dei carichi (5,5%) che è tuttora una delle ragioni principali di infortunio e di malattia professionale, e la riduzione del rischio chimico (8,5%), ossia rischi correlati fisicamente alle attività del lavoratore.
L’adozione dei sistemi di gestione e la sicurezza sul lavoro

Progetti che tendevano a migliorare la sicurezza attraverso la sostituzione dei macchinari sono stati la principale richiesta di finanziamento; indicativo della propensione ad intendere le risorse relative alla sicurezza come un’occasione di ammodernamento delle proprie strutture fisiche ed operative, più che il punto di partenza per l’assunzione di procedure ed atteggiamenti di lavoro nuovi che comportino una nuova gestione del lavoro stesso. Ma considerazioni ancora più amare sorgono dall’analisi del dato relativo all’adozione dei sistemi di gestione della salute e sicurezza o dei modelli organizzativi e gestionali (6,4%) che costituirebbero la risposta più coerente e risolutiva rispetto alla gestione della sicurezza aziendale. Questi tendono infatti ad organizzare l’intera azienda integrandola in un sistema unico di sicurezza e certificazione, che includa tutti i settori e tutti i lavoratori, con le previsioni di apparati di verifica, di formazione e di adeguamento dinamico.
Un riscontro statistico

Ma il riscontro statistico certifica che simili progetti sono stati attivati dalle imprese del settore metalmeccanico (28,4%), della lavorazione delle pietre ornamentali e dei materiali lapidei (23,3%) e della fabbricazione di mobili (15,7%). Tutte attività con alto rischio di indicente ma, soprattutto, di responsabilità per i vertici aziendali. Che possono essere attenuate dall’adozione dei modelli di gestione della sicurezza. Modelli che richiedono un impegno economico ed organizzativo notevole e sono previsti da una legge del 2001, che stenta ancora ad avere effetti se non tra le imprese che ne valutano la convenienza rispetto ad eventuali responsabilità penali ed amministrative ben più gravose.
La sicurezza sul lavoro come dato di fatto di vita quotidiana

Oramai risulta evidente che la sicurezza del e sul lavoro non è questione riservata agli addetti ai lavori ma un dato di vita quotidiana. Che impatta, purtroppo spesso drammaticamente, sull’intera società e che deve essere assunto a tema di uno sforzo condiviso e costante. Assumere mentalità nuove e diverse che entrino nella prassi quotidiana. Come è avvenuto per la coscienza ambientale che è passata da sensibilità di minoranze a normale elemento di vita, pare essere la sola possibilità per risolvere il problema. Attraverso la partecipazione ed un dibattito aperto questi temi possono assumere una diversa importanza. Che consenta soluzioni diverse e migliori. Un’opportunità viene offerta, al di là dell’esito e delle opinioni, dalla partecipazione al referendum di giugno. Che vede uno dei quesiti direttamente legato alla sicurezza sul lavoro
La questione referendaria

In questo scenario di grande difficoltà e preoccupazione, si inserisce la scadenza referendaria. Che, come spesso accade, mette assieme diversi quesiti riguardanti materie e questioni diverse ed eterogenee. Il referendum numero quattro, per quanto con una formulazione criptica ed incomprensibile, tende comunque a limitare indirettamente il rischio infortuni nell’ambito dei subappalti.
Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Abrogazione questa la formulazione del quesito che certamente non aiuterà nella comprensione del tema e della sua rilevanza.
Bisogna tener presente che, anche qualora venisse raggiunto il quorum dei votanti e dovessero prevalere i si all’abrogazione, sarà necessario un nuovo intervento normativo. Che certamente avrà toni accessi e dibattuti.
Un appunto sul referendum e la sicurezza sul lavoro

In sostanza, si tratta di esprimersi sull’abrogazione – come noto unica possibilità prevista dall’istituto referendario – della previsione introdotta nel 2023. Che ha escluso la responsabilità delle stazioni appaltanti. Cioè di coloro che chiedono l’appalto, dagli infortuni che possono verificarsi per il personale delle imprese appaltatrici. Ossia quelle che svolgono il lavoro per conto dell’appaltatore.
Nota e condivisa è la particolare delicatezza del sistema degli appalti. E la connessa debolezza economico organizzativa delle imprese subappaltatrici che svolgono la maggior parte dei lavori quasi sempre quelli più gravosi e pericolosi. Risulta evidente come il percorso verso una realtà lavorativa più sicura e meno lesiva passi attraverso una maggiore responsabilizzazione della stazione appaltante. Ossia la ditta madre, che ha la maggior solidità organizzativa ed economica. Lavoratori, imprenditori, sindacati, amministratori e cittadini, tutti devono sentirsi coinvolti ed impegnati a cercare soluzioni, senza retropensieri e scorciatoie. Forse l’occasione referendaria ci fornisce l’occasione di uscire dall’indignazione e dallo sgomento provocati da questa catena di lutti. Per cercare di dare un volto nuovo alla sicurezza sul lavoro.