Voce di uno che guarda una gara di sci alla televisione e mormora: “Quando anche da noi c’era la neve, era tutto diverso“.
Sbaglio, o c’è una vibrazione emotiva in quelle parole? Così osservo, scherzoso: “Ma eravamo diversi anche noi solo dieci anni fa!”
“No”, precisa l’altra voce, “parlo di prima, di una volta, quando anche in pianura avevamo delle belle nevicate, e qui in città la fontana diventava tutt’un fiore di ghiaccio…”
“E avevamo i bambini alle elementari…”
Il dialogo riportato sopra non è inventato, è vero: come lo è il sentimento che molti di noi provano semplicemente ricordando gli inverni in cui la neve non rivestiva solamente le montagne….

La frase “Quando avevamo anche noi la neve” indicava una forma di possesso, e suonava quasi come un diritto a godere di quel fenomeno atmosferico oggi diventato una rarità in pianura, che era atteso e addirittura necessario per la cultura contadina, e tutti noi cresciuti in campagna sapevamo che “sotto la neve, pane; sotto la pioggia, fame”. Oggi,riconosciamo che la crisi climatica ha allontanato dai campi e dalle piazze paesane la bianca visitatrice e dobbiamo accontentarci di vederla su Geo e Geo.
Ah, la gioia di quelle nevicate che hanno accompagnato i nostri inverni “d’una volta”. Confesso che non penso alla neve ferma, al paesaggio sepolto dalla coltre di silenzio ma al turbinare delle nevicate in Polesine che oscurava il sole e giocava con noi.
P. S.

Avevo scritto questa nota quando ho letto (IlSole24Ore) la recensione di Giuseppe Lupo al libro La nevicata del secolo. L’Italia nel 1985 (Il Mulino ed.). Riporto la frase finale dell’articolo: Quella famosa nevicata “fu l’ultima rivincita della natura, che imponeva i suoi ritmi sugli indici della produttività. Poi la neve si sciolse e si spensero le polemiche. Gli orologi ricominciarono a correre, ma rimasela nostalgia” –
Sulla via delle stelle

Il titolo è attraente: “Sotto i cieli lontani” e allude a mondi immaginati, comunque diversi dal nostro e dai suoi abitanti che ”chiamano” lo spazio con i loro potenti impianti radio e con i radiotelescopi. Almeno da cento anni, cioè dall’agosto 1924, gli umani sfruttano la scienza del proprio tempo nella speranza di captare eventuali “segnali tecnologici” inviati dai… marziani. Non è fantascienza, ma ricerca scientifica: il sottotitolo del libro citato, scritto da Graziano Chiaro (Mondadori ed.) è appunto “Alla ricerca di civiltà extraterrestri”.
Una avventura che cerca gli Alieni ascoltando lo spazio a cominciare dagli ipotizzati abitanti del pianeta Marte che, cent’anni fa, si trovò in una straordinaria opposizione con la Terra. Nel vuoto fra le stelle si cercò allora di organizzare tecnicamente la ricerca di una voce aliena: non ci fu contatto, ma l’attesa continua; anzi siamo noi umani che inviamo piccole astronavi ai confini del cielo con un messaggio studiato per essere capito da intelligenze di altri mondi.
Tanti sforzi, si dirà, porteranno ad un risultato? Dice il saggio: “In fondo, navigare e scoprire sono due verbi nati con la nostra specie. La Ricerca dei Fratelli cosmici è già un risultato in sé.”
La strada

(poesia)
Vardo ‘na strada de la mia cità,
che ghe sarò passa domile volte,
e no’ me par de averla vista mai.
Le fazza de zalete, le boteghe,
un bar, dei àuti,e el fiatin de viavai.
Come la nostra vita, sì: vissuda,
finida ormai, e mai ben conossuda.
Virgilio Giotti
(Trieste 1885-1957)
Da Poesia italiana del Novecento, Einaudi 1999
Traduzione dal dialetto. Guardo una strada della mia città, che ci sono passato mille volte e non mi pare d’averla vista mai. Le facciate gialline, le botteghe, un bar, delle automobili, e quel po’ di vivai. Come la nostra vita sì vissuta e finita ormai, e mai ben conosciuta.