Grande artista e mostra alla sua altezza. Ecco tanti motivi per andare a vedere all’M9 di Mestre la mostra BurtynskyExtraction/abstractionche propone oltre 80 fotografie di grande formato, dieci murales ad altissima definizione, più un’experience di realtà aumentatae un’inedita sezione, chiamata Process Archive, che espone gli strumenti e le fotocamere usate da Burtynsky in tanti anni di peregrinazioni a caccia delle tracce non visibili del “progresso” e delle sue scorie. Sarà possibile visitare la mostra fino al 12 gennaio
Le immagini di Burtynsky

Tetri paesaggi industriali e fumiganti raffinerie che sembrano patchwork, esperimenti di pollockiani drip painting; saline sgargianti che richiamano le tele mosaicate di Gustav Klimt; siti minerari che assomigliano a opere cubiste. L’orribile che diventa sublime. E il sublime che smaschera l’orribile.
E’ il marchio di fabbrica che ha reso note in tutto il mondo le potenti immagini di Edward Burtynsky, celebrato fotografo canadese che da oltre un quarantennio ha scelto di immortalare col suo obiettivo quanto l’impronta devastante dell’uomo nell’epoca della sua massima volontà di potenza produttiva (e distruttiva)abbia segnato indelebilmente il pianeta: non c’è angolo della terra che il fotografo non abbia visitato per cercare d’illustrare l’impatto dei processi delle industrie pesanti, siano esse giacimenti petroliferi o cave di estrazione, cantieri navali o agricoltura intensiva, dighe o raffinerie.
Senza tralasciare gli stravolgimenti del paesaggio causati dalla concentrazione degli agglomerati urbani. Le sue foto aeree, su ampia scala, di luoghi al di fuori della nostra abituale frequentazione, hanno creato uno straordinario “racconto” visivo di“Antropocene”, (azzeccato titolo di uno dei suoi più importanti e visionari progetti fotografici), cioè l’era della specie umana, che ha sconvolto l’ecosistema mettendone a repentaglio l’equilibrio in pochi dissennati decenni.
La mostra più completa

In questa che è la più completa mostra sull’artista mai presentata in Italia sono presenti foto di rara suggestione e perfezione tecnica che inchiodano l’occhio del visitatore e che creano in lui un voluto effetto straniante: sembrano frame tratti da un distopico film di fantascienza o da riprese satellitari da lontani pianeti inospitali; e invece sono i fiumi avvelenati dalle scorie del nichel che rosseggiano le desolate lande vicino Sudbury, nell’Ontario; sono i bacini di decantazione delle miniere diamantifere del Sud Africa.
O ancora le piramidi di materiale accumulate nei pressi di Shanghai, dalla Bao Steel, la più grande acciaieria del mondo; oppure gli ossari a cielo aperto di ulivi secolari sterminati dalla Xylella in Puglia (le foto di questi ultimi si possono vedere nel corridoio del secondo piano di M9 e rappresentano una parte della campagna fotografica commissionata a Burtynsky dalla Fondazione Sylva nel 2022 per testimoniare gli effetti della malattia e il conseguente disastro ambientale).
Le immagini dall’alto di Burtynsky

Sono tutte immagini prese dall’alto: una precisa scelta estetica, ma anche “di campo” che diventa anche il suo motivo-firma; come lo è la conseguente opzione per la grandissima scala, che trasforma l’artista da topografo in geografo. E per far questo Burtynsky usa elevatori industriali, torri, alture, aereo e, infine, il drone, che libera l’apparecchio fotografico dalla forza di gravità. Una scelta estetica innovativa, estrema, che permette all’artista-fotografo di “dilatare”il fotoreportage: spesso le foto di Burtynsky possono essere lette come quadri in cui i colori sono “materici” nel senso pittorico del termine e le geometrie terrestri tirate da ingegneri e architetti sembrano tracciate dal pennello di Mondrian.
C’è del bello nel terribile, si diceva. Certo, quasi come nella tragedia greca, in cuisi mette in scena l’impresentabile, l’orrore, trasformandolo in sublime per lo spettatore e la sua catarsi, come ben spiegava Aristotele. E proprio come nella tragedia greca, il dramma presentato dal fotografo canadese è datoda un dissidio, lo scontro tra due valori in antitesi: il progresso e la salvezza del pianeta.“Queste mie immagini credo funzionino come specchio riflettente del nostro tempo – ha spiegato Burtynsky – e sono intese come metafore del dilemma dell’esistenza moderna; esistenza segnata da un dialogo tra attrazione e repulsione, tra seduzione e paura. Siamo umanamente sempre tesi allo sviluppo, alla possibilità di vivere meglio, eppure siamo anche più o meno consapevoli che per il nostro sviluppo stiamo danneggiando il pianeta. La terra fornisce beni e combustibili per il consumo quotidiano e allo stesso tempo questo sfruttamento la pone in una posizione di pericolo”.
Le straordinarie immagini di Burtynsky attirano lo sguardo, ma anche il cuore e la mente dell’osservatore sulla vera posta in gioco

Questa è la potenza del sublime che calamita i nostri sensi sull’orribile in scena. Questo dicono le fotografie esposte a Mestre, che sono il frutto di un lavoro realizzato in anni di campagne in giro nelle periferie del mondo, nei tanti “Sud” del nostro pianeta.
L’altra intuizione dell’artista che diventa oggetto privilegiato della sua osservazione è quella che lui stesso definisce “l’architettura rovesciata”, cioè l’attività estrattiva dell’uomo quale premessa per qualsiasi edificazione. La cava è all’origine della città, o meglio, il suo rovescio: da lì si toglie scavando quello che poi si usa altrove per inurbare un luogo. L’origine della civiltà, dell’Antropocene, è riassunto in questa titanica e instancabile operazione di scavo ed erezione, estrazione ed edificazione. Non c’è edificazione senza asporto. Un po’ come non c’è montagna senza valle scavata dall’acqua. Da qui l’interesse per Burtynsky per cantieri di riciclaggio, miniere sterili, cave di estrazione e raffinerie, tutti luoghi che sono al di fuori della nostra normale esperienza, ma i loro frutti fanno parte della nostra quotidianità.
Le sue parole

Perché l’artista ha scelto Mestre e l’M9 come tappa italiana per questa bellissima mostra-riassunto di un’intera carriera e che girerà i musei di mezzo mondo? Lo ha spiegato bene lo stesso Burtynsky: “Mestre è perfetta per questa esposizione:iniziai fotografare nel 1983, dopo aver studiato a Toronto. I cantieri navali di Fincantieri e le industrie di Marghera mi ricordano da vicino quelleche conobbi nella mia giovinezza.
Ho avuto la fortuna di trascorrere l’infanzia e la prima adolescenza nelle terre selvagge dell’Ontario, in Canada, dove ho esplorato il mondo naturale in un momento storico in cui gran parte di esso era ancora incontaminato. Quando sono cresciuto, ho visto mio padre lavorare alla General Motors nella mia città natale di St. Catharine, Ontario. La giustapposizione tra questi due mondi è diventata così inevitabile per me. Dal punto di vista tematico però, l’impatto dell’industria umana sul mondo naturale non mi si è rivelato fino ai miei studi alla Toronto Metropolitan University”.
Immagini che tagliano il fiato

La gigantografia della carena di una nave in un cantiere cinese sovrasta il visitatore all’inizio del percorso espositivo quasi per avvertirlo che l’uomo ripreso da Burtynsky diventa lillipuziano rispetto alle sue stesse opere ingegneristiche, alla sua prometeica attività. Si riduce a termite in un termitaio.Nelle immagini ad altissima definizione esposte alla mostra, curata da Marc Mayer, già direttore della National Gallery of Canada e del Musée d’Art Contemporain de Montréal, l’essere umano si perde, infatti, nella protiforme vastità delle bidonville africana come nella cava di Carrara o nel cimitero di navi bangladese; kafkianamente, sembra addirittura mutare in pollo d’allevamento, con la sua tuta rosa nella smisurata azienda avicola cinese. Immagini che colpiscono sotto la cintura, che tagliano il fiato, ma che catechizzano più di mille prediche sulla sostenibilità e la crisi climatica.