Tutto in una notte, quella dell’8 Settembre 1943, la notte dell’Armistizio. Una delle pagini più tristi e squallide della storia d’Italia. Ottant’anni fa in una notte i nemici del giorno prima diventarono i nuovi alleati e gli alleati i nuovi nemici. In una notte il re e il suo governo fuggirono a gambe levate per raggiungere il Sud dell’Italia occupato dagli angloamericani; lasciarono senza ordini milioni di soldati e abbandonarono il Nord e il Centro ai nazisti che in poche ore invasero città e paesi. Oltre 600 mila militari furono fatti prigionieri e deportati.
Un’Italia che si spacca dopo l’Armistizio
L’Italia in pochissimo tempo si spaccò in due, nel giro di un mese nacque un governo collaborazionista con a capo Mussolini che era stato liberato da un commando nazista, si gettarono le basi della Resistenza, si alimentò la frattura che porterà alla guerra civile. Seguiranno i due anni più terribili della storia italiana, tra bombardamenti, condanne a morte dopo processi sommari, rappresaglie, stragi di civili massacrati a centinaia per volta.


Scrive Luigi Meneghello: “L’Italia in realtà non si spacca, si spappola, si decompone in 24 ore l’unità nazionale che era stata fatica di un secolo e tormento di più generazioni”.
Si sapeva da mesi che i Savoia e il governo di Pietro Badoglio stavano trattando per un armistizio con gli angloamericani che avevano invaso la Sicilia e il Sud sino a superare Napoli. Si sapeva ma doveva essere segreto, anzi Vittorio Emanuele III faceva professione di fedeltà all’alleato tedesco assicurando che non l’avrebbe mai tradito. Ma non c’era spazio per la trattativa, si dovevano prendere ordini e basta. Gli italiani cercarono di tenere il segreto ancora per qualche giorno, ma furono gli americani e il generale Eisenhower ad anticipare tutti proprio l’8 Settembre. A quel punto era impossibile negare. Così re e Badoglio furono costretti a rendere pubbliche le condizioni dell’Armistizio.
Badoglio annuncia l’Armistizio all’Italia


Ci pensò controvoglia il maresciallo Pietro Badoglio che alle 19.42 fece irruzione, in abiti civili, Borsalino calato sulla pelata, nella sede dell’Eiar – la Rai di allora – in via Asiago a Roma. Stavano trasmettendo la canzone di Nella Colombo “Oh mamma, mi ci vuole un fidanzato…”. La voce solenne del presentatore ufficiale Giovanni Battista Arista interruppe il ritornello: “Se volete questo cuor, giovanotti con ardor. Accorrete tutti qua con me…”.
Non è più tempo di sospiri d’amore, Badoglio ha fretta di andarsene: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione…”. Le forze armate smettono di sparare a quello che sino a pochi minuti prima è stato il nemico, ma “reagiranno a eventuali attacchi da qualunque parte provengano”. Ha scritto Indro Montanelli: “Badoglio non ebbe una politica. Ma un’ossessione: uscire dalla crisi vivo e ancora seduto sulla sua poltrona”.
Si capisce poco o niente, la parola Armistizio è affidata ai giornali che usciranno all’alba del 9 settembre, un giovedì. A quell’ora il lungo corteo di auto che si è mosso da Roma col re, Badoglio e molti ministri, generali, ufficiali di stato maggiore, attendenti, mogli e amanti, è già al sicuro sul molo di Ortona al Mare per imbarcarsi su tre navi che devono portare tutti al sicuro a Brindisi, dietro le linee alleate, per il nuovo Regno del Sud. Nei giorni precedenti il re aveva provveduto a mettere al sicuro in Svizzera i gioielli della Corona, qualcosa come 2 milioni di dollari del tempo, e 40 carri ferroviari carichi di quadri, sculture, argenteria.
Quell’8 settembre in cui re e ministri mostrarono il loro volto peggiore




C’è modo e modo di fuggire, quello scelto dal re e dai suoi ministri è stato certo il peggiore, con parentesi grottesche come quando la gente si aggrappa all’ancora delle navi per paura di restare a terra e sul molo volano calci, spintoni e pugni. Il re con la famiglia e Badoglio sulla corvetta “Baionetta”, gli altri sull’incrociatore “Scipione l’Africano” e sulla corvetta “Scimitarra”. Indubbiamente la commedia degli inganni ha avuto gli interpreti adatti.
Il solo che esprime un giudizio negativo su quella torma che fugge è il principe Umberto, l’erede al trono: “Che figura!”. Ma finisce con l’adeguarsi agli ordini.


C’è anche il generale Mario Roatta, è lui il responsabile della sorte di milioni di soldati italiani sparsi in mezza Europa. Il sovrano ha scelto la soluzione più facile, ha sciolto l’esercito. C’è il ripudio vero e proprio dell’esercito. Il governo che fugge lascia ordini equivoci, ognuno si arrangi come può. In Italia ci sono un milione di soldati dispersi e male armati e 400 mila tedeschi. Oltre frontiera ci sono 300 mila militari tra Francia e Corsica, 300 mila in Jugoslavia, 53 mila nelle isole greche, 300 mila tra Grecia e Albania.
In pochissimi giorni l’Italia del Nord e del Centro cadono completamente in mano ai tedeschi che disarmano 51 divisioni e catturano quasi 600 mila prigionieri, compresi 35 mila ufficiali, sequestrano armi, automezzi, cavalli, aerei.
Cosa accade in Veneto con l’Armistizio


L’occupazione del Veneto incomincia la sera stessa dell’8 Settembre e in cinque giorni in tutte le città sventola la svastica. I prefetti segnalano: “Le strade si sono affollate di popolo che commenta animatamente l’evento”. Nessuna segnalazione di disordini, il solo episodio di resistenza si registra a Vicenza. Dentro Padova i carri armati tedeschi sono subito in Prato della Valle e alla stazione. A Verona impiegano quattro ore per prendere possesso. Venezia e a Treviso con un comitato interpartitico cercano contatti con i militari per azioni di resistenza, ma senza esito.
A Venezia i fascisti occupano la sede del Gazzettino, devastano la tipografia, condannano in contumacia il poeta Diego Valeri che aveva diretto il giornale dal 25 luglio: trent’anni di carcere, uno per ogni giorno di direzione. Il letterato si era messo in salvo in Svizzera. Sempre in laguna nella giornata dell’11 settembre una nave tedesca affonda un cacciatorpediniere affollato di militari e di civili che cercano di allontanarsi dalla città: le vittime sono più di duecento. Il “Quintino Sella” cola a picco in meno di un minuto.
Dopo l’Armistizio i nazisti occupano Friuli e Trentino e non risparmiano i “traditori” italiani


I tedeschi scendono da Tarvisio e occupano Udine, Trieste e Pola senza trovare la minima opposizione. Il Friuli italiano cessa di esistere, diventa Zona d’operazione litorale Adriatico con a capo un governatore del Reich con pieni poteri. Stessa cosa per il Trentino e la provincia di Belluno trasformati in Zona d’operazione delle Prealpi.
Ovunque chi resiste viene massacrato. Come nelle isole dell’Egeo, a Corfù e a Cefalonia dove muoiono a decine di migliaia. Ci sono 16 mila fanti della divisione Acqui agli ordini del generale Antonio Gandin che, combattendo accanto ai tedeschi, era stato decorato con la Croce di Ferro. La divisione rifiuta di farsi disarmare, resiste per settimane, i soldati uccisi sono 9640, vengono chiusi in una scuola, sterminati a raffiche di mitragliatrice. I prigionieri sono caricati su un piroscafo che salta in aria sulle mine inglesi. Altre centinaia di morti. Cefalonia può passare alla storia come la prima forma di resistenza organizzata al nazismo.
Il “caso” Istria


Sul confine orientale si abbandonano alle vendette i partigiani jugoslavi di Tito: una colonna in fuga da Trieste scopre due foibe piene di cadaveri di soldati italiani. Dopo l’8 settembre l’Istria è terra di nessuno, i fascisti scappano, le vendette si scatenano contro gli italiani, spesso sui civili, non si lasciano testimoni, in una sorta di quella che poi sarebbe stata chiamata pulizia etnica.
Intanto l’Italia in grigioverde abbandonata e rimasta senza ordini fugge disperatamente da ogni parte, con ogni mezzo, trova complicità nella popolazione. Ormai è il caos di “tutti a casa” nel quale nascono anche le prime formazioni partigiane costituite da militari reduci dai fronti europei e da coloro che si sono sottratti all’arresto da parte dei tedeschi.
E’ l’inizio della pagina più buia, ma anche della pagina luminosa della liberazione. E della Repubblica che verrà.
Splendido questo articolo.