“Fingeva di prendere il suo lavoro alla leggera. Era una posa”. Citando il grandissimo John Steinbeck si può entrare nel mondo enigmatico di Robert Capa, osservatore per professione, non sempre in linea con la “giusta distanza” che il giornalismo richiede, empatico per indole profonda. Robert Capa, di origine ungherese cambia il suo vero nome, Endre Ernő Friedmann, in quello più internazionale di Capa su suggerimento di Gerda Taro, compagna fotografa e anche lei in fuga dalla Germania nazista, la stessa fuga che anima Endre-Robert. Uomo senza patria, apolide per scelta, cittadino del mondo per documentare, fatalmente, la fuga di tanti altri esseri umani: dalla guerra, dalla miseria, dalla fame.
Robert Capa in mostra

Il peregrinare di uno dei più grandi fotografi e fotoreporter del Novecento è racchiuso in una mostra che espone le opere dell’artista dell’immagine in presa diretta dall’inizio della sua carriera. “Robert Capa, L’opera 1932 – 1954” a cura di Gabriel Bauret è visitabile a Rovigo a Palazzo Poverella fino al 29 gennaio 2023. L’esposizione promossa da Fondazione Cariparo con il Comune di Rovigo, Accademia dei Concordi e il sostegno di Intesa Sanpaolo, rappresenta la summa dell’opera omnia di Capa. Suddivisa in 9 sezioni tematiche, la mostra esplora gli esordi di Capa, passando attraverso la Guerra Civile spagnola, la Cina sotto il fuoco del Giappone. Ma anche le splendide immagini a fianco delle truppe alleate durante il cammino verso la Liberazione, dal D-day all’ingresso in Italia.
Robert Capa e le immagini finali di una vita troppo breve

E, nell’ultima parte della sua breve vita, Robert Capa racconta l’est Europa, la Berlino in macerie, il viaggio degli ebrei verso la Terra Promessa tra il 1948-1950 e, infine, l’Indocina per documentare una guerra, quella del Vietnam, che diventerà la trappola degli Usa, ma che Capa non potrà vedere perché una mina lo ucciderà nel 1954 mentre scatta le sue ultime immagini.
Chi era

Robert Capa era nato nel 1913 a Budapest, si trasferisce a Berlino dove inizia la sua carriera di fotoreporter. Nel 1947 fonda con Henry Cartier-Bresson la celebre agenzia fotografica Magnum.
E’ una vita avventurosa, quella di Robert Capa, fatta di coraggio e anche di una buona dose d’ incoscienza

Un uomo che ama il gioco d’azzardo, che dissipa tutto ciò che guadagna alle corse dei cavalli, un fotografo che si fa beffe della morte ma la sa raccontare con sensibilità acutissima. Documenta lo sguardo disperato delle donne che perdono figli, mariti e onore a causa della Guerra. Mantenendo il suo ruolo di osservatore, Robert Capa riesce comunque ad esprimere la sua visione, nelle sue immagini si riesce a capire che il fotografo embedded sta sempre dalla parte dei più deboli, fossero anche i tedeschi fatti prigionieri, o le donne che intrecciano relazioni con le truppe occupanti e ne pagano le conseguenze.
Lo scatto di madre e figlia rasate a zero per spregio lascia senza parole

Capa intercetta la vergogna delle “colpevoli”, la più giovane col il piccolo frutto dell’amore tra le braccia contrasta con lo scherno della gente che le circonda insultandole. A Rovigo sono esposte 366 fotografie selezionate dagli archivi Magnum Photos che ripercorrono le tappe principali della carriera del fotoreporter. L’esposizione di Rovigo non si limita alla rappresentazione della guerra. Nei reportage di Capa, ci sono quelli che Raymond Depardon definisce i “tempi deboli” contrapposti ai tempi forti che caratterizzando le azioni. I tempi deboli riportano all’uomo André Friedmann, alla sua sensibilità verso le vittime e i diseredati.
La capacità di “fermare” l’attimo

La domanda che sorge spontanea guardando le immagini è come Robert Capa riesca a cogliere l’attimo e, al contempo, restituirci oltre allo stato d’animo di chi sta immortalando, anche il suo personale sentire. Probabilmente la macchina è un prolungamento della sua anima che entra in connessione con l’ambiente e l’umanità ferita che lo attornia. Visitando la mostra a Palazzo Roverella ci si rende anche conto di come la dinamicità di Capa fosse un tutt’uno con la sua arte di fotoreporter. I soldati che lo hanno avuto al loro fianco, raccontano di un uomo che correva in avanti o rimaneva indietro o si spostava di lato per raggiungere prospettive e inquadrature altrimenti impossibili. Una capacità di narrazione che è servita ai grandi registi coi quali Capa ha collaborato, per realizzare splendidi lungometraggi sulla guerra ma anche ai contemporanei per narrare cosa accadde esattamente durante lo sbarco in Normandia. Basta guardare con attenzione le fotografie di Capa, e lo storyboard è fatto.
L’anima e gli amori di Robert Capa


Eppure nella vita dell’ungherese fuggito dalla sofferenza della suo paese, il dolore non è mancato. A cominciare dall’amore con la collega tedesca Gerda Tardo che perderà la vita nel 1937 documentando la Guerra civile di Spagna. O la tormentata e passionale storia d’amore con Ingrid Bergman.
Il fascino

Il fascino di Capa è magnetico come il suo obiettivo implacabile che tutto vede e tuto registra. Capa era con Gerda e David Seymour in Spagna a documentare l’orrore della guerra civile e, solo molti anni dopo, furono ritrovati quegli scatti fondamentali. La “valigia messicana” che conteneva tutti i rullini dei fotografi era scomparsa nel 1939 per poi ricomparire nel XXI secolo. Oggi abbiamo la fortuna di poter ammirare questo patrimonio di immagini sulla storia più dolorosa del secolo scorso. Robert Capa ha vissuto troppo poco ma ha posto una pietra miliare nella storia della fotografica documentale del “secolo breve”, breve come la sua vita.