Il parlare figurato qualche volta ruba concretezza alle nostre parole, mutandone o rovesciandone il significato. Capita nella foga di un discorso, così come nella meditata scrittura di una lettera o di un articolo di giornale. Di recente ho letto questa frase: “Ti riempiono di vuoto la mente”, sottinteso, i venditori di fumo, i politicanti, gli azzeccagarbugli manzoniani (elenco da implementare ad libitum).
Sembra paradossale che il vuoto riempia uno spazio qualsiasi, però non è paradossale che la nostra mente, che non ha corpo, si riempia di vuoto: spesso, almeno per taluni, il vuoto è la sua condizione migliore… Ma se diciamo vuotaggine, allora quella frase è meno strana di quel che sembra.
Infatti, sappiamo che il vuoto si crea togliendo il pieno, cioè svuotano il contenitore per riempirlo di altro, come appunto la vuotaggine. Succhiandoci il pieno di idee, di progetti, di ricordi ecc., i vampiri della coscienza si trovano a disposizione un guscio da riempire: cosa che fanno con tutti i mezzi illeciti a disposizione.
Il vuoto mentale, inteso dunque come vuotaggine, ha un nome, anzi ne ha molti e diversi: gli imbonitori più o meno occulti iniettano nelle nostre menti valanghe di sottocultura, di pseudo verità, di verbosità, di striscianti ideologie, di visioni deliranti, di vischiosi al passato remoto ecc.
E noi? Con il ragionamento, possiamo azzardare una considerazione: il vuoto dentro di noi, insinuato nei nostri pensieri, è, forse, un riflesso del vuoto che sta fuori?
Ce lo suggeriscono i giornalisti più allarmati dalla decadenza del pensare odierno e, soprattutto, i poeti che, come gli artisti al cui rango appartengono, sono “più veggenti degli scienziati”, parola di Gillo Dorfles). Meditiamo, amici, meditiamo.
L’orizzonte “tempestoso”
C’è di che meditare dopo la recente azione dimostrativa, o blitz, davanti al dipinto La tempesta di Giorgione custodito all’Accademia di Belle Arti di Venezia: due ragazze, attiviste di Ultima Generazione, cioè di un gruppo di pressione ambientalista, sono riuscite a incollarsi, letteralmente, con le mani al dipinto famosissimo nonché misteriosamente bellissimo. Il tutto per proclamare una verità ormai assodata e cioè che la Terra è in pericolo (non a causa di una collisione cosmica con un meteorite “ma per colpa dei suoi abitanti umani, inclusi i presenti”, dice il saggio).
Non erano, quelle due, teppiste trinariciute: niente di terroristico, insomma, solo persone disarmate ma acculturate che hanno deliberatamente “aggredito” un bene culturale per difendere un bene ambientale: l’arte è stata usata al servizio del pensiero ecologico gridato così: “C’è una tempesta all’orizzonte!”, cioè il disastro ambientale, e il blitz cosa doveva essere? “Un monito all’umanità!”
A posteriori possiamo notare che qualcosa di positivo, quel gesto, l’ha ottenuto: ha rivelato, infatti, l’inefficienza, o comunque la fragilità, del sistema di sicurezza della Tempesta e degli altri capolavori.
Noi siamo (nelle) parole
Forse non ce ne rendiamo conto, non spesso almeno: ma è un fatto che noi siamo i nostri pensieri, così come siamo riconoscibili nei gesti, e siamo tanto nelle nostre parole. La recente campagna elettorale ha documentato questo rapporto fra noi e quello che diciamo: i candidati hanno usato tutti i mezzi – leciti, come no – attingendo fra l’altro a un inesauribile “serbatoio di parole d’ordine tossiche”.
In negativo, tutti ci hanno intronato le orecchie. Non per qualche settimana, ma continuamente (quasi con crudele acribia). Viene spontaneo, in questa nube di violenza verbale, in questi spazi della comunicazione avvelenati da pandemia, guerra, truffe, stupri…, salutare parole nuove, come per esempio la personale scoperta di “bianchezza” (della pelle) o come “afrodiscendente” (per un figlio adottato da una famiglia europea).
Ma soprattutto mi è piaciuta la parola nuova “altista”, detta di un atleta che pratica il salto in alto. Altista è parola fresca e pulita, che ci parla di altezze da raggiungere con volontà e fatica, di slancio, direi anche di bellezza del gesto atletico.
Siamo nelle parole che usiamo, e ascoltando Yoda, dovremmo acquisire “la buona abitudine di abitare le parole al fine di una buona igiene mentale”.
Quelle tue mani
(poesia)
Quelle tue mani a difesa di te:
mi fanno sera sul viso.
Quando lente le schiudi, là davanti
la città è quell’arco di fuoco.
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
e avrò perso per sempre
quel sapore di terra e di vento
quando le riprenderai.
Vittorio Sereni (1913-1983)