Mestre è una città “non comune”, ma anche “non Comune” da sempre vittima di giudizi sommari derivanti dal suo gonfiarsi di palazzi condominiali quando è stata catturata nella trappola del boom industriale a Porto Marghera. Da allora le sono state appiccicate etichette più o meno false come brutta, come Grande Lego in cemento armato, come informe periferia …. Invece basta attraversare un ponte e sei a Venezia, basta superare un cavalcaferrovia e sei collegato a tutti i porti del mondo.
Per sua fortuna, c’è stato e c’è chi l’ha amata e la ama ancor più oggi, come i soci dei vari gruppi, comitati, fondazioni che cercano di disegnare una sua identità e, insomma, trasformarla (trasfigurala?). Di recente, il comitato civico popolare Progetto Comune (presieduto da M. Laura Faccini) ha sottoposto la città all’esame di personalità variamente competenti in vista di una “progettazione partecipata” cioè pensata oggi per il futuro.
La presidente ha lamentato “il male che possono fare i luoghi comuni”: ha ragione. A questo proposito, proviamo a parlare di una Mestre che tende al green? Ha tre grandi parchi pubblici, un Bosco in espansione, un anello di antiche fortificazioni; e io aggiungo un’oasi chiamata Campi del Sole: prati e alberi d’alto fusto ai limiti della città, là dove arriva sfocato il ruggito della famosa Tangenziale. Ricordo di una domenica ospite degli scout e dei loro famigliari: canti, preghiere, giochi, pranzo al sacco: un modo gioioso di essere città
Intermezzo (favoletta)

Un giorno, un uomo ricco camminava in città quando gli è venuto incontro un uomo povero, un vagabondo dai piedi gonfi e la mano tesa. D’impulso, il ricco si è fermato e, contro ogni consuetudine, ha invitato l’altro a seguirlo: lo ha condotto nel suo palazzo e lo ha affidato alla servitù perché lo pulissero e lo rifocillassero. Lo portarono poi da lui che gli offrì un lavoro: avrebbe fatto il custode delle sue stalle ricche di animali selezionati. Molto confuso, il vagabondo ha accettato, esprimendo riconoscenza con inchini e mani giunte.
Passato qualche giorno, riferiscono al padrone che il custode se n’era andato. Si doveva cercarlo?
“No, aspettiamo, forse torna” ha risposto.
E infatti è tornato, è stato perdonato e ha ripreso il lavoro. Ma qualche giorno dopo è fuggito di nuovo.
Per la seconda volta il padrone lo ha accolto: “Forse ha difficoltà a adattarsi” ha detto.
Invece, il custode è partito per la terza volta. A questo punto, il padrone si è arreso: “Adesso ho capito” ha spiegato ai suoi: “Non tornerà più tra noi”.
“Ma perché?”
“E’ un fuggiasco speciale. Quell’uomo sta andando alla ricerca di qualcosa per lui vitale… Ci sono altri uomini come lui: hanno smarrito l’anima, e vagano nel vasto mondo per rintracciarla.”
Gadda, non solo l’eroismo

Nel recente fascicolo della rivista L’Immaginazione n. 329, si trovano echi della guerra “alle porte d’Europa. Fra gli altri, il critico letterario Filippo La Porta dedica parte della sua rubrica alla guerra nel teatro di Shakespeare, da Enrico VI a Falstaff, suggestionato dal libro Il linguaggio della guerra curato da Valerio Magrelli (Edizioni Spartaco 2009). Mi ha colpito il passaggio a Carlo Emilio Gadda, del quale il critico ricorda il servizio militare vissuto da ufficiale degli alpini durante la Prima guerra mondiale, e le pagine sulla guerra “necessaria” vissuta per amore della patria (fino alla morte “utile e bella”).
La nota si chiude con un pensiero non certo “eroico” del grande autore della Cognizione del dolore: “Eppure, dopo pagine e pagine in cui elogia l’eroismo militare, la disciplina etc. (Gadda) si abbandona a un ‘oblio’ quasi liberatorio di se stesso dentro la vita cameratesca del reparto, improvvisamente annota: ‘talora vedo in questa guerra un pervertimento di alcuni valori, che sembravano conquiste sicure dell’umanità’”.
Parole che vengono da lontano: e le porta il vento della Storia.
Frammento

(poesia)
Così che suono a parlamento
per le balbuzie e le più ardue rime,
quelle si addestrano e rincorrono a vicenda,
io mi avvicendo, vado per ossari, e cari stinchi e teschi
mi trascino dietro dolcissimamente, senza o con flauto magico
Sempre più con essi, dolcissimamente, nella brughiera
Io mi avvicendo a me, tra pezzi di guerra sporgenti da terra,
si avvicenda un fiore a un cielo
dentro le primavere delle ossa in sfacelo,
si avvicenda un sì a un no, ma di poco
differenziati, nel fioco
negli steli esili di questa pioggia, da circo, da gioco.
Andrea Zanzotto
Da Il galateo in bosco, Mondadori editore