….aberrazione, aberrazione, aberrazione….Non ho mai sopportato questa parola. Tanto più quando, uscito dal Liceo Artistico di Venezia, sapevo si disegnare, ma non parlare! All’ Istituto Universitario di Architettura, fu detto da un docente: Rosa Salva, non parla, quindi merita meno voti degli altri del gruppo, che non avevano disegnato. Alle considerazioni in mia difesa, dei compagni di studio: i disegni li ha fatti Rosa Salva, non veniva dato alcun ascolto. Vigeva la negazione del “progettare” con mezzi grafici, serviva solo parlare, argomentare, verbalizzare, verbigerare in modo il più’ possibile imperioso e ridondante! Era anche quella una “aberrazione” anche se all’ epoca non ero certo in grado di definirla così! La trasposizione in parole delle idee è frutto dell’ esperienza e dell’ esercizio, tanto quanto per il disegno. Date alcune caratteristiche di base essenziali e intrinseche al singolo individuo. La singolarità ovvero l’ identità specifica.
Venezia e la sua “aberrazione”

Venezia, ha la sua identità specifica, nell’ essere una città’ “in aquis fundata”. Città costruita in una laguna, sul filo dell’acqua. Appena sporgente dal livello delle acque salmastre di una sua laguna. Quella originaria di 1600 anni fa. Un laguna che non è più’ quella attuale, completamente assolutamente diversa. La laguna cambia, la città cerca di adattarsi alle nuove configurazioni, conformazioni ambientali. Opera difficile e complessa, in una complessità ambientale, territoriale, urbanistica ed architettonica sempre crescente. Venezia ha quindi una “diversità'” che va rispettata, tanto quanto quella umana.
Aberrazione? Chiamiamola così
L’ omologazione di Venezia alle altre città ne eliminerebbe alla fine i caratteri intrinseci e sostanziali. La città di Venezia è vissuta è stata abitata sino al 1797, anno di caduta della omonima Repubblica, senza segnalazione dei canali lagunari le “briccole”, senza spallette sui ponti, senza muretti o ringhiere sulle fondamenta. Una città’ la cui popolazione viveva appunto isolata e la città praticata attraverso i suoi canali a mezzo di barche a remi o a vela.
Aberrazione? Basta guardare la storia
Venezia è una città dove è sempre stato difficile spostarsi. A Venezia si andava a cavallo, in relazione ai quali, cavalli, esiste il “ponte della paglia”. Fin quando chi andava a cavallo fece troppi danni a chi andava a piedi! Oggi i cavalli neanche più a vapore ma quelli dei motori a scoppio, sono di nuovo troppi ed andrebbero, controllati e regolamentati maggiormente. Speriamo in quelli elettrici o ad idrogeno…..! Ancora “aberrazioni” quindi, ancora questa parola un po’ inquietante.
Come eliminare a Venezia le barriere architettoniche

Eliminare tutte le “barriere architettoniche” a Venezia appare difficile, anche per lo snaturamento delle caratteristiche essenziali della città. Meglio sarebbe, come nelle altre città, fornire servizi e mezzi di trasporto acqueo ad uso delle persone che ne hanno bisogno e necessità, come avviene ad esempio negli aeroporti. Si prenota un servizio specifico e si ottengono i relativi mezzi di movimentazione per residenti e turisti. Vedere e conoscere Venezia muovendosi nei canali e nelle acque di bacini e specchi perimetrali è sicuramente il modo migliore. Non a caso palazzi ed abitazioni hanno la “porta d’acqua” ovvero l’ accesso dalla via maestra. L’ accesso da campi e calli è spesso di secondo piano se non limitato e talora oscurato.
La diversità

La “diversità e la disabilità” di Venezia verrebbe mantenuta e rispettata nel rispetto di quanti “diversamente abili” la potrebbero visitare e vivere in modo migliore.
Resta il nodo della “capacità progettuale grafica”, del disegno, della invenzione e della creatività formale, della composizione architettonica.
In nome di una conservazione spesso eccessiva viene affossata una innovazione che è sempre stata una costante nella evoluzione della forma della città.
Le “briccole” di legno legate da catene di ferro andavano bene nell’ ‘800 per l’ ormeggio dei “trabaccoli”, ma non più’ per gli scafi attuali di diversa fattura. La scienza e la tecnologia procedono incessantemente, ma spesso a Venezia sono ignorate. Nuovi materiali e nuove modalità operative maggiormente compatibili con un ambiente che muta e si evolve in continuità storica.
Ho detto una “aberrazione”???

Chi lo sa, forse per qualcun altro si, si tratta o si tratterebbe di aberrazioni. Una parola, un sostantivo difficile, spesso usato per darsi un “tono”. Un linguaggio, un modo di esprimersi complesso che può apparire ai più esclusivo ed escludente. Linguaggio da “azzeccagarbugli” di manzoniana memoria, che voleva apparire diverso per escludere i più’. Diversità fastidiosa, però, molto fastidiosa! Una diversa “diversità’, altezzosa e spocchiosa. Non già quella di Venezia, elegante e raffinata! La città acquea può e deve accogliere in modo consono quanti la vogliono visitare e vivere in modo compatibile e consapevole nel rispetto della sua “aberrante” storia, “aberrante” appunto, per chi non la sa capire.

Sono d’accordo con mio grande amico Paolo rosa salva , anche io vengo dal scuola di architettura, mi ricordo che c’era sempre questo argomento , La barrirà architettonica, dove prevaleva il senso morale rispetto al senso umanesimo, razionale,
C’era la timidezza, quasi paura per non cadere nella trappola razzista, quindi in questi 37 anni che vivo a Venezia ho visto diversissimi opera fatte sulle ponti senza un vero opportuno progetto adeguato alla bellezza di Venezia, in fine arrivano a fare questo davanti al palazzo Danieli ( Hotel Danieli ) che ha messo in prigione il palazzo simbolo della architettura cotica, con la sua rigidità estetica , senza una armonia architettonica senza nulla di melodia tra l’acqua e la morfologia architettonica.
Quindi aprivo la critica di Paolo Rosa Salva pienamente.