Se le genti che hanno progressivamente popolato ogni angolo di questo pianeta invece di scontrarsi per ciò che li dividevano, si fossero incontrate per condividere ciò che le rendeva così simili, oggi vivremmo diversamente e probabilmente più felicemente le nostre brevi, ma intense esistenze. Tranquilli, non ho cambiato “materia”, non mi sono dato alle filosofie dal tono più pessimistico e intimidatorio che spesso attraversano le nostre serate televisive. Parliamo sempre di musica, di suono che, se visti, o meglio ascoltati in successione descrivono un’umanità divisa nello spazio e nel tempo, ma fortemente unita nei percorsi, nelle esperienze, nelle scoperte culturali che, seppure seguendo percorsi talvolta persino opposti, hanno costruito grammatiche e sintassi del suono, del gesto, della parola che si sono poi largamente diffuse e compenetrate.
Cominciamo con un canto
Approfittando della vostra pazienza e della vostra attenzione (le dò entrambe per acquisite e a momentanea disposizione) vi chiedo di ascoltare insieme il brano e di condividere alcune osservazioni.
E’ un canto rivolto a Krisna, il dio di riferimento della corrente di pensiero
rappresentato in modo completo nel poema “visnuita”del Mahābhārata. (testo composto tra il IV secolo a.C. e il IV secolo d.C.).
Di Krisna sappiamo che fu adottato da una famiglia di pastori di etnia ābhīra che lo crebbe fino alla maturità quando il dio/eroe torna a Mathura per sconfiggere il malvagio Kaṃsa.
Il canto racconta una discesa delle tante discese sulla terra del dio
In questa occasione egli assumerà diverse forme al fine di poter ristabilire l’ordine cosmico. Come vedete stiamo incontrando una narrazione che, con qualche differenza narrativa, nella sostanza dei contenuti riprende racconti che verranno a costituire la sostanza del pensiero filosofico/religioso di tanti popoli. E’ una inconsapevolmente univoca risposta al primo approccio razionale/emozionale con il creato e le sue “leggi”.
Ma lasciamo pure da parte il contenuto di quanto abbiamo sentito, poiché non è materia specifica di queste rubriche e il merito va ben oltre una semplice comparazione di carattere gnostico.
La registrazione
Vorrei invece richiamare la vostra attenzione sulla registrazione che vi ho proposto. Si tratta di una registrazione effettuata in India nel 1933 ed apre la pubblicazione “Music! The Berlin phonogramm Archiv, una raccolta di 100 brani di folk music registrati in varie parti del mondo, con i mezzi progressivamente messi a disposizione dalla scienza, oggi raccolti in quell’archivio fonografico a cui hanno dato il loro contributo decine di ricercatori e studiosi di primo piano nel mondo.
Perché vi propongo l’ascolto di questo brano?
Il significato: ci propone una delle prime forme di polifonia di cui abbiamo non solo notizia, ma meccanica udibile.
L’epoca: la registrazione è la prima proposta dalla raccolta tedesca e raggruppa documenti e registrazione effettuate tra il 1893 e il 1954.
Come registrazione è sicuramente tra le prime poiché è stata effettuata con l’unico mezzo allora a disposizione dei ricercatori: il fonografo.
Lo strumento, era l’unico che permetteva sia la registrazione che il riascolto immediato di quanto registrato su un cilindro di cera. Quanto di più vicino ad un magnetofono si potesse pensare e realizzare in quel momento.
Il primo fonografo fu inventato e successivamente costruito anche per la commercializzazione, da Thomas Edison, l’inventore del telegrafo.
Come funziona un fonografo
Con questo piccolo esperimento Edison presentò ai suoi collaboratori la sua nuova rivoluzionaria invenzione: il fonografo. Era il 6 dicembre del 1877
Benché l’audio fosse di qualità scadente, a volte incomprensibile, e il costo dell’oggetto piuttosto elevato, l’attrezzo si diffuse dall’America a tutta l’Europa, sospinto dalla notevole produzione di dischi a 78 giri, sui quali veniva registrato ogni tipo di musica.
Il grammofono
Il mercato internazionale della registrazione meccanica diventava rapidamente una cosa economicamente molto seria e perciò si mosse immediatamente la concorrenza con l’invenzione, nel 1887 da parte di Emile Berliner del grammofono. Decisamente più valido dal punto di vista della qualità sonora, ma dedicato al solo ascolto di dischi. Questo fatto determinò la specializzazione dell’utilizzo dei due prodotti.
Il largo pubblico, consumatore affezionato all’ascolto di canzoni e di musica lirica dedicò un angolo o una stanza della casa a grammofoni stupefacenti per sonorità e per bellezza. Ho ancora vivo il ricordo del grammofono che dominava dall’alto dell’ apposito mobile, la camera da letto di nonno Gualtiero (proprio così. Gualtiero anche lui, o meglio Gualtiero anch’io, visto che sono stato il primo nipote maschio e che ho avuto la grande idea di nascere il giorno del suo riverito 72esimo genetliaco!) Nell’apposito mobile erano gelosamente raccolte opere intere su enormi dischi a 33 giri, accuratamente riposti nelle apposite custodie dopo l’ascolto e la regolare pulizia con l’apposito panno!!
L’uso del fonografo
Ricercatori, antropologi, giornalisti e tutti quelli insomma che per passione o per lavoro dovevano raccogliere le parole o i canti di altri per poi riascoltarli si dotarono di fonografi via via più puliti nel suono, più precisi e standardizzati nei comandi, più comodi da trasportare e da gestire.
Un punto debole che il fonografo ancor oggi rivela erano i cilindri di cera su cui veniva impressa la registrazione. Il primo problema era che per quanto resistenti potessero essere, l’incisione non poteva durare più di tre o quattro minuti. Quindi per registrare una lezione di storia o un’intervista ad una persona che abbia qualcosa da dire bisognava fare bene i conti per non rimanere con il lavoro a mezz’aria.
Anche per i discorsi
Oltre ad essere utilizzato come supporto per la commercializzazione di musica, vennero utilizzati per documentare discorsi e divulgare lezioni di storia ed economia, trattati di scienze e tecnologia. Molti personaggi storici hanno potuto lasciare la voce impressa su cilindri fonografici
Centinaia di questi cilindri ancor oggi racchiudono documenti sonori, memorie, emozioni che sono in grado di farci rivivere la storia.
Per fortuna un po’ alla volta i vari archivi fonografici, come molti altri, si stanno aprendo alla nostra curiosità. O al nostro intimo bisogno di conoscere.
Torniamo al canto
Esaurite, seppur rapidamente, alcune informazioni necessarie per proseguire nella nostra esposizione, torniamo al canto che abbiamo ascoltato all’inizio di questo incontro.
Sappiamo che si tratta di una preghiera dal titolo Krishna song rivolta al dio Krishna, affinché garantisca di ristabilire, con i suoi interventi, l’ordine cosmico. Una specie di richiesta preventiva. Prima che succedano guai seri, caro Krishna vieni un po’ qui a dare un’occhiata c’è non c’è qualcosa da ri-sistemare, da ristabilire.
Ora però lasciamo al suo lavoro il buon dio e ragioniamo su quello che abbiamo sentito. Perché siamo ad un passo, dal punto di vista della storia delle musiche corali. Da una grande rivoluzione che continua ad influenzare il confronto sulle “musiche” ancor oggi.
Un nome che dice tanto
Il brano che abbiamo ascoltato è stato registrato da un signore di nome Arnold Bake a Baroda in India. La voce, che poi si trasforma in una imitazione del suono del flauto, è di Rehana Tyabji. Un nome che ci dice poco di lei, ma per la storia registrata della musica racconta molto. Chissà da quanti anni, da quanti decenni veniva eseguito questo canto, ma possiamo osservare la ricchezza delle variazioni vocali che colorano la sua esecuzione.
In larga parte si tratta probabilmente di improvvisazioni che poi sedimentano nella memoria, diventano un’espressione culturale condivisa e distintiva. E’ anche da notare come la stessa interprete utilizzi la voce su due registri ben distinti. Probabilmente uno, quello più grave, per raccontare e il secondo per comportarsi esattamente come uno strumento a fiato. Un flauto alle prese con improvvisazioni/invenzioni testimonianza di un alto livello di virtuosismo.
Certo non siamo in un tempo particolarmente distante da noi e l’India, in quanto colonia britannica, aveva contatti con il mondo culturale europeo. Tutto vero, ma questo canto è un “reperto” prezioso che la memoria ha conservato fino al momento in cui siamo stati in grado di accoglierlo ed esibirlo con cognizione di causa e giusto rispetto.
(I- Continua)