In occasione del periodo natalizio dello scorso anno pubblicai su queste pagine un articolo dedicato alla diffusione dei canti di questua natalizio/epifanici nell’Europa, frutto di una prima pubblicazione di una trentennale ricerca del regista, musicista ed etnologo Renato Morelli di Trento. Nel frattempo il suo lavoro è continuato, ho avuto modo di incontrarlo e soprattutto ha pubblicato un secondo libro sul tema che approfondisce ulteriormente la materia avvicinandola anche ai tempi nostri. Ne ho approfittato per riprendere l’argomento e a mia volta approfondirlo poiché rende giustizia ad un repertorio e a una cultura che ha saputo resistere a numerose traversie e mistificazioni.
6 gennaio dell’anno 1 dopo Cristo.
Una lunga carovana di cammelli e asini visibilmente affaticati attraversa il pianoro. Scompigliano le greggi che compattamente brucano verdi macchie d’erba fresca comparse d’improvviso tra la neve. In pieno inverno, nella piana della Palestina!
La carovana si avvicina ad una capanna, qualcuno tramanda ad una grotta. Dai cammelli scendono tre persone che, per la foggia dei vestiti e l’autorità del portamento, mostrano d’essere i capi di quella strana spedizione.
Si avvicinano agli occupanti il rifugio; si inchinano davanti ad una mangiatoia sulla quale alitano un bue e un asino; finalmente si possono scorgere gli occupanti. Sono Maria e Giuseppe e il loro neonato bambino cui hanno posto il nome di Gesù.
A questo punto la storia più o meno la conosciamo un po’ tutti, o almeno pensiamo di conoscerla. E ci abbiamo messo del nostro per renderla una fiaba e continuare a far finta di crederci.
Chi sono i Re Magi
Ma chi sono questi personaggi, da dove arrivano, chi li ha condotti alla capanna (o grotta) del divino bambino? Attorno a queste domande si sono accesi dibattiti, scontri dottrinali e scientifici, aspri confronti tra religiosi e tra religioni.
Li chiamano re Magi ma non erano re, questo è accertato. Al massimo erano dei magi in tono minuscolo; cioè dei sacerdoti di un popolo, i Medi, antenati degli attuali Curdi.
Asserivano di essere giunti a Betlemme guidati da una cometa straordinariamente luminosa. Ma la scienza astronomica di allora fu subito in grado di escludere che in quel periodo per il cielo mediorientale fossero passate delle comete; per giunta così grandi da essere visibili ad occhio nudo. Anzi si dette conferma da parte degli scienziati di allora, tutt’altro che sprovveduti, che nessuna cometa visibile dalla terra era passata nei nostri dintorni in quegli anni.
L’unico evento eccezionale e mirabile fu la congiunzione di astri che effettivamente creò un fenomeno simile ad una cometa, se valutato ad occhio nudo. Ci fu un allineamento senza precedenti con Giove, Sole, Saturno e Luna tutti in fila nella costellazione dell’ariete, Venere nella costellazione dei pesci e infine Marte e Mercurio in quella opposta del toro. Un allineamento mai visto prima e mai più accaduto.
Lutero l’aveva capito

Tutto ciò però avvenne sei anni prima del 25 dicembre dell’anno in cui abbiamo fatto nascere Gesù, esattamente come sosteneva, con molti altri uomini di cultura, Martin Lutero. Ma, come vedremo, non era questo il punto di maggior dissenso di Lutero dalla chiesa e dalla gerarchia romana.
Attorno alle misteriose figure dei Magi e ai pochi versetti del Vangelo di Matteo che le citano si erano costruite fantasie e miti sostenuti dalla chiesa per far fronte ai numerosi attacchi dai quali nei secoli aveva dovuto difendersi: apostasie, scismi, scontri con altre religioni.
Lo scisma
L’ultimo grande scisma, sicuramente il più doloroso sia per la dimensione che acquisì in un tempo relativamente breve, che per la qualità e la consistenza delle critiche rivolte alle gerarchie cattoliche, Papa, Cardinali, Vescovi e Sacerdoti fu proprio quella del monaco tedesco.

Le 95 tesi di Lutero scritte in Latino
L’attacco della Chiesa riformata di Lutero (e di Calvino) non si rivolse soltanto al livello “gestionale, morale ed organizzativo” dell’immenso patrimonio umano ed economico della Chiesa Cattolica. Avviò anche una profonda revisione dei contenuti religiosi e dei modi attraverso i quali manifestare la propria partecipazione ai riti collettivi.
Uno degli aspetti che connotò profondamente la riforma protestante fu il rifiuto di riconoscere i santi, gli atti di devozione ad essi rivolti, la possibilità che da parte loro o di altre figure, che non sia Dio padre, possa essere concesso di fare qualunque sia miracolo.
I sacramenti furono ridotti a due, il battesimo e la sacra cena, togliendo così funzioni di relazione diretta con i fedeli importantissime ai sacerdoti quali il matrimonio, la confessione, la cresima ed altre spesso fonte di potere personale e sociale. Da tale potere derivava anche il diritto di rivolgere al popolo richieste di denaro in cambio di esose indulgenze plenarie, elemento sempre più esplicito nelle proteste del popolo cristiano ridotto alla fame.
In considerazione di tutto ciò appare evidente come fosse inaccettabile per il mondo protestante che si chiamassero devotamente Santi i Magi. Dei personaggi quanto meno di oscura provenienza e religione. Contro queste figure, dichiarate false, frutto di un’invenzione del clero romano, Lutero riportò il 6 gennaio al suo significato antico di giorno del battesimo di Gesù.
Il Concilio di Trento

Per rispondere all’attacco luterano, il papa Paolo III nel 1545 convocò a Trento un Concilio per varare la sua Contro-riforma. Tale Concilio durò ben 19 anni sotto la guida di 3 papi diversi. Durante i lavori dello stesso fu istituita una commissione di sacerdoti musicisti, guidata da San Carlo Borromeo e da padre Serafino Razzi, con lo scopo di redigere un accurato elenco di “laudi a travestimento spirituale” e, probabilmente, di prevederne la diffusione. Le musiche, in seguito alle indicazioni del concilio, sono diverse a seconda delle regioni e delle lingue parlate. Nel tempo più persone ci hanno certamente messo le mani, per contribuire a creare delle “laudi a travestimento spirituale” più facilmente comprese ed eseguibili dalla popolazione.
Nel 1534 il prete basco Ignazio di Loyola, canonizzato quale santo alla morte, e un gruppo di confratelli ispanici iniziarono un percorso che li portò a costituire la Compagnia di Gesù e l’ordine riconosciuto dei Gesuiti. L’ordine crebbe rapidamente fino a superare i 10.000 membri. I teologi gesuiti svolsero un’importante attività come consiglieri di cardinali durante il Concilio di Trento e accompagnatori di nunzi durante le diete imperiali o i colloqui di religione. I missionari della Compagnia ebbero un ruolo determinante nel contrasto alla diffusione delle dottrine protestanti e nella “ricattolicizzazione” dell’Europa centrale dove si era diffuso il luteranesimo. Fu così che i membri della Compagnia di Gesù divennero i naturali propagatori, con gruppi di giovani, dei canti della stella, attraversando paesi, montagne e confini e scendendo così dall’Italia fin nei paesi dell’Austria, della Germania, della Svizzera, in una discesa irrefrenabile che durò lunghi anni.
In una delibera del Consiglio Comunale di Innsbruck del 30 dicembre del 1568 si legge
“Innsbruck: Studenti dei gesuiti chiedono il permesso di andare in giro a cantare con la stella. Consiglio: non dev’essere concesso né a loro né ad altri, ma soltanto agli studenti della nostra scuola comunale. Tuttavia questo Consiglio non può certo impedir loro di cantare davanti a Sua Altezza il Principe”
Questo fatto apparentemente banale accadde nel 1568. Nel 1563 a Trento era terminato il Concilio, convocato dal papa Paolo III nel 1545, con lo scopo di far fronte alla Riforma protestante varando la sua Contro-riforma, Concilio che durò ben 19 anni, sotto la guida di 3 papi diversi.
23 anni dopo l’inizio del Concilio, dunque, un gruppo di studenti dei Gesuiti chiede di propagandare con i suoi canti la storia della stella, dei magi e della nascita di Gesù, proprio in quel territorio, la montagna austro-tedesca, in cui la parola e l’azione di Martin Lutero si stava radicando .
Nel corso del Concilio fu dedicata una notevole attenzione alla diffusione della dottrina attraverso la musica, attenzione per altro molto presente anche nei repertori corali e musicali della Chiesa riformata. All’interno di quel vasto movimento musicale-spirituale promosso dal Concilio presero forma delle “laudi a travestimento spirituale” cioè dei canti di contenuto rigorosamente religioso, ma con un travestimento formale che ne permettesse una capillare diffusione, una semplice esecuzione da parte del popolo.
Sostanzialmente voleva dire che si poteva cantare nelle diverse lingue locali, che il latino non era d’obbligo, che si potevano utilizzare metri e strutture poetiche desunte da danze o canti popolari. Se ci pensate ha inizio a livello pubblico un percorso tra “le lingue” della Chiesa: quella ufficiale, il latino, e quelle nazionali o popolari che sono entrate a pieno titolo nella liturgia cattolica, non senza forti resistenze. Le stesse ancora presenti, anche dopo il Concilio Vaticano secondo, svoltosi a Roma tra il 1962 e il 1965. Un viaggio lungo quattro secoli che ancora crea dubbi e conflitti.
L’etnologo e musicologo

Renato Morelli, etnologo ed etnomusicologo, regista RAI con oltre 50 documentari raccolti in tanti anni di lavoro e autore di numerose ricerche documentate in altrettante pubblicazioni ha avviato la sua ricerca sui temi di natura etnomusicologica sinora accennati trent’anni fa, e finalmente è riuscito a mettere in fila tutte le informazioni e i documenti che gli hanno permesso di dare una precisa risposta alla domanda: ”Ma da dove provengono tutti questi canti della stella che sentiamo cantare nei nostri paesi tra Natale e l’Epifania?”.
Tradizione orale e scritta
Sostanzialmente Morelli stupiva di fronte ad alcune evidenze che affioravano nel corso della ricerca che coinvolse gradualmente buona parte delle regioni del centro Europa.
“E’ possibile che la gente si ricordi tante parole, tanti versi, tanti canti imparandoli solo tramite la trasmissione orale o esistono raccolte scritte libretti, foglietti con riportati i versi dei differenti canti?” si chiedeva.
La stampa era stata inventata già da un secolo, si era consolidata, perfezionata. Produceva non solo libri, comunque costosi per i più, ma anche fogli volanti per i Cantastorie e gli attori da strada, opuscoli di ogni genere per le fedi religiose o per le scuole, oggetti di pronta lettura popolare con figure e poche parole, spesso di contenuto religioso.
A Bassano

A Bassano si sviluppò l’attività della famiglia di stampatori Remondini che con un esercito di venditori ambulanti ricoprirono l’Europa di stampe colorate su carta e su stoffa, di giochi, come il gioco dell’oca, di immagini sacre e di libelli di ogni genere ed in svariate lingue. A loro furono affidate vere e proprie campagne di grande popolarità, anche se non sempre di specchiata onestà, come quelle che indussero a emigrare migliaia di nostri compatrioti con viaggi della speranza non sempre fortunati.
Ma anche i Remondini non bastavano a spiegare questa improvvisa proliferazione di canti in italiano (o dialetto), latino e tedesco, di gruppi di “stelari”, i cantori che attraversavano i paesi talvolta accompagnati da qualche strumento e guidati dalla stella luminosa, l’attesa sempre più partecipata che mobilitava i paesani dalla vigilia di Natale all’Epifania. Deve esserci qualcuno, qualcosa, pensava il nostro ricercatore.
Effettivamente c’era
“Finalmente, racconta Morelli, nel corso di una ricerca mirata in Val dei Mocheni era apparsa evidente e “sospetta” la singolare concentrazione, nel repertorio della Stéla di Palù, di testi che ricorrono -più o meno letteralmente- in altre località dell’Italia settentrionale. (…) A distanza di qualche anno, in seguito ad un’indagine puntigliosa, è stato finalmente possibile trovare il testo a stampa a lungo ricercato: un volumetto in 12° di 72 pagine che è risultato essere appunto i “Sacri canti” di don Giambattista Michi di Fiemme.
Il volumetto era conservato con devota e gelosa dedizione da Fiore Stefani, membro attivo, animatore convinto e solerte dei locali Stélari.”

La prima edizione di questo libretto fu stampata e distribuita dai Remondini. Successivamente l’opera fu ristampata anche dalla stamperia Gianbattista Monauni di Trento.
Un’ultima domanda può avere finalmente risposta con questo ritrovamento: da dove provengono i canti della Stella?
La raccolta
Con la datazione oggi possibile della raccolta Michi veniamo a sapere che i 36 canti che la compongono (18 dei quali in latino e 18 in volgare) sono tutti precedenti alla seconda metà del seicento e ben 17 di essi risultano essere documentati nella tradizione orale dell’arco alpino italiano, dal Ticino all’Istria Veneta.
Delle musiche non si parla. Michi stesso sembra ammettere di averci un po’ messo le mani, probabilmente per contribuire a creare delle “laudi a travestimento spirituale” nello spirito del Santo Concilio di Trento.
Dalle raccolte a stampa di canti comparse successivamente al Concilio appare evidente l’attenzione rivolta a semplificare e render familiare il repertorio di canti sacri, iniziando proprio da quelli relativi alla natività e all’arrivo dei tre re. Si usano indifferentemente arie di cantastorie o di danze popolari e lo stesso testo, come avviene per il repertorio popolare, subisce modifiche anche molto significative nella sua struttura musicale, risultando a volte irriconoscibile, passando anche solo da una regione all’altra.
Non ci addentriamo oltre
Renato Morelli ha tratto ben due libri da questa ricerca e un numero assai consistente di registrazioni. Ma per giungere a questo risultato (credo provvisorio conoscendo la sua creatività e tenacia) ha lavorato oltre trent’anni in Italia e in Europa.
Aggiungo soltanto che il repertorio dei 3 Re è una parte importante per storia e impatto culturale del canto non solo religioso, ma popolare d’Europa.
Altri canti sono sorti anche su temi analoghi in quei tempi e nei secoli successivi e continuano ad essere composti ancor oggi. Alcuni sono stati spinti da sincera emozione, altri da altre urgenze o speranze. Alcune sono rimaste preziosamente custodite dall’affetto di fedeli, altre riemergono ogni metà dicembre con nuove voci, nuovi suoni, nuove promesse formali.
Uno dei canti di Natale più noti al mondo è certamente “Tu scendi dalle stelle”

Non fa parte del repertorio che abbiamo preso oggi in considerazione perché è stato composto nel 1754 dal Vescovo napoletano Alfonso Maria de Liguori che dopo la morte fu fatto santo, immagino non solo per la canzone.
Essa in un primo tempo fu scritta in dialetto napoletano perché il popolo potesse cantarla, ma poi fu tradotta in italiano. Oggi viene eseguita in entrambe le versioni e anche in molte altre lingue.
Questo fatto testimonia di quale durata ebbe nella religiosità popolare la vicenda che abbiamo in queste pagine evocato.
All’inizio del secolo scorso, per un periodo piuttosto lungo, visto il momento storico che il mondo ha vissuto, l’attenzione per simili ricorrenze e consuetudini si era assai affievolita, riducendosi a qualche sopravvivenza in luoghi isolati di montagna.
Oggi, in epoca di super computer e di voli interplanetari, i cori stanno riprendendo forza, la voglia di cantare insieme storie di vita sembra voler riprender corpo per difenderci da altri anni di silenzio e di paura.
Nota.
Ritengo doveroso segnalare due libri a cui ho fatto riferimento nella stesura di questo articolo: Renato Morelli “Dolce felice notte” Provincia di Trento Assessorato attività Culturali anno 2001 e Renato Morelli “Stelle, Gelindi, tre re” con CD allegato edizioni Nota di Udine anno 2021 by Mira , 21 dicembre 2021