Il ritratto che in questi giorni i media hanno diffuso dell’alto magistrato Ennio Fortuna, scomparso a Mestre il 30 ottobre, a 87 anni, è quello di una personalità pubblica, di un professionista di valore che ha onorato la toga in tutti i gradi della carriera, da pretore a procuratore generale. Io vorrei richiamare qui l’uomo Ennio, così come l’ho frequentato e ammirato per la sua umanità e cultura, entrambe straordinarie e degne di un ritratto a tutto tondo.
Un magistrato, ma prima un uomo

Ora che la sua presenza si è trasfigurata in ricordo, è giusto rievocarne alcuni aspetti, più intimi, nascosti dall’ombra dell’ufficialità. Per esempio, il grande magistrato era visceralmente attaccato al suo paese, Atina (Frosinone) dove aveva chiesto di tornare per sempre, e là riposerà accanto al fratello e ai genitori, le sue radici. Particolare curioso: ci teneva a dire, orgogliosamente, che nella storia “Atina viene prima di Roma”.
Un magistrato che andava oltre

Era credente e praticante, insieme al suo alter ego, la moglie Paola prima della sua dolorosa scomparsa; la sua spiritualità era particolarmente legata alla figura di Cristo, “che ha lasciato/il seno del Padre/e ci ha amati/perdutamente” (Turoldo), di cui parlerò più avanti. Gesù, in effetti, lo affascinava e tormentava.
La toga
A Venezia, vestì con umiltà la cappa bianca dell’Arciconfraternita di San Rocco, l’antico saio indossato nelle occasioni solenni dai confrati: il guardian grando Franco Posocco ricorda ancora i dialoghi che ebbe con Lui, “molto intensi” su temi “alti” e quotidiani insieme.
Amante dello sport
Era appassionatamente sportivo: dal calcio all’automobilismo, dall’atletica leggera al nuoto, dal ciclismo al pugilato, tutto quel mondo lo coinvolgeva, senza sventolio di bandiere; lo interessava la pura sfida ai limiti propri dell’Uomo.
Un magistrato con una debolezza: i nipoti
In famiglia, è stato un nonno innamorato dei nipoti, da loro tutti riamato: posso aggiungere un particolare, e cioè che nel rapporto i protettivi erano loro.
Magistrato? No! Anche giornalista

Anche il giornalismo lo ha impegnato profondamente: in particolare, il Gazzettino lo ha avuto per decenni fra i collaboratori più prestigiosi, una “firma” che traduceva argomenti complessi in discorso colloquiale per i lettori del quotidiano: il dottor Fortuna ha saputo “interrogare” il presente, le cui vicende episodiche possono diventare tasselli della storia nel suo farsi.
Chiarezza, dottrina, etica
E ha risposto alla realtà sempre con passione civile: nei suoi “pezzi” giornalistici, chiarezza e dottrina, scienza giuridica e divulgazione convivevano in perfetto equilibrio in quella sua prosa chiara e pregnante che non si dimentica.
Un magistrato che metteva la parola al servizio della giustizia

La sua personalità, complessa e nutrita di un sapere senza limiti ideologici, ne faceva un umanista del nostro tempo, esemplare proprio di un umanesimo di frontiera. Il magistrato, in effetti, opera ai confini, per esempio tra libertà e legge, ovvero tra le istanze della persona e le superiori istanze della giustizia, tra fede e ragione, tra pubblico e privato ecc.
Praticando assiduamente una vasta e appassionata attività pubblicistica, con lavori monografici, relazioni congressuali, volumi e voci di enciclopedia, note a sentenza su riviste, possiamo dire che ha messo la parola al servizio della giustizia.
Quell’Ennio Fortuna nascosto ai più
Ma c’è un Ennio Fortuna poco o per nulla conosciuto. E si trova in un opuscolo del 2003, pubblicato dalle Edizioni Città solidale, e oggi raro o introvabile.
Prima di arrivare a scriverlo, il dottor Fortuna ha studiato i testi antichi e moderni. La sorte lo ha aiutato facendogli scoprire qualche particolare inedito di quell’evento miracoloso, di quella manifestazione del divino che sintetizzò nel titolo: “Quel terzo giorno”.
Quasi un segreto

Si tratta di una personale, sofferta meditazione pasquale sulla Resurrezione di Cristo. Il clamoroso miracolo da Lui ritenuto “non incompatibile con la storia” solo che la si consideri sotto un altro segno, quello di evento “razionale e verosimile” che è la radice e il seme del cristianesimo. Su questa ipotesi di vittoria sulla morte, viaggia l’inchiesta, o processo. Che Fortuna sviluppa in meno di trenta, intense pagine: un discorso “attraverso la fede, certamente, ma non senza la ragione o contro la ragione. E tanto meno contro la verità e contro la storia”.
Anche queste pagine, a rileggerle, arricchiscono la documentazione biografica del grande magistrato e scolpiscono la persona di Ennio Fortuna mentre ne rivelano l’anima.