Era il decimo anno di attività della Compagnia delle Acque, nelle sue diverse formazioni, con il giornalista Gian Antonio Stella quando nel 2012 realizzammo la rappresentazione di teatro-canzone “Negri, froci, giudei & C.”. Si tratta di un lavoro fatto di racconti e di canti, popolari e d’autore, che trattavano non solo il tema del razzismo in generale, ma quello più insidioso della paura del diverso, di qualsiasi diversità. Di come ciascuna di queste sia stata motivo di emarginazione, esclusione, violenza per singole persone, per popoli interi. E chi oggi era sopraffattore, domani poteva divenire un sopraffatto per gli stessi stupidi o ignobili motivi che in precedenza aveva addotto come inoppugnabili.
La canzone che ha aperto questa pagina apriva anche la nostra serata ed era eseguita da Giuseppina Casarin e da tutto il coro della Compagnia costituito da Maurizio Camardi, Rachele Colombo, Paolo Favorido, Domenico Santaniello ed io.

Il titolo è “Cara mare”e può essere facilmente scambiata per un brano di origine popolare. Per certi versi lo è, anche se in realtà l’ho scritta io, poiché la struttura a ripetizione incrementale dei versi è tipica di molte ballate popolare, così come lo sono il tema trattato e il linguaggio utilizzato. La supplica finale invece è un brano popolare raccolto a Chioggia e riproposto anche da Luisa Ronchini una trentina di anni fa.
Il motivo
Ho introdotto questo brano perché contiene in sé buona parte dei temi che affioreranno parlando del prima e del dopo il momento tanto atteso, non solo dagli sposi, del matrimonio. Quel momento stava (e talvolta ancora sta) “nel mezzo del cammin” della vita dei giovani, con particolare attenzione per le donne. E’ il momento dell’affrancamento dalla tutela genitoriale che specie per le ragazze, e il canto lo mette bene in evidenza, era il più delle volte asfissiante. Un affare di famiglia per il mondo dei benestanti e ancor più dei nobili; un problema di sopravvivenza economica per i poveri che speravano in un buon partito per la figlia, o quanto meno in una bocca in meno da sfamare.
Se il ragazzo poteva essere imbarcato da solo nell’avventura migratoria, lo stesso non si poteva fare per la sorella che, specie nelle zone più povere del paese, difficilmente avrebbe potuto trovare un’occupazione che le garantisse molto di più della personale sussistenza. E qui si scontravano le prime “divergenze parallele”. Per la famiglia (leggi madre) va bene una proposta rassicurante sul piano economico e sociale (leggi consistenza economica). Per la figlia.. anche, ma ancor di più che sia piacente e che le dia “ vita sociale” e visibilità, una volta che potrà affrancarsi dal controllo genitoriale.
La seconda parte della canzone dice chiaramente come talvolta poteva andare a finire
“Demelo nero, demelo bianco,/ drito o storto, demelo qua./
Demene uno anca imprestà/ ohi mama demelo , per carità.”
Il problema della dote
Uno dei problemi più complicati, quando si trattava di dare in sposa una figlia era quello della dote che, per quanto modesta, prevedeva comunque una spesa non sempre … compatibile con il magro bilancio familiare. A meno che non capitasse una situazione tale per cui … ascoltate un po’ questo canto che costituisce anche un elemento storico della ricerca etnomusicologica.
Il canto che avete ascoltato nella sua versione trentina, inizia così: ”La me nona l’è vechierela/ la me fa ciò, la me fa ciò, la me fa ciò, ciò , ciò/ La me manda a la fontanela/ a prender l’acqua per il desinar”. Fu raccolto a Trento nel 1965 da P. Guadagnolo come strofette di un canto infantile. In realtà, come spesso è accaduto e ancor oggi talvolta accade, i canti che accompagnano dei giochi infantili derivano da ballate talvolta molto diffuse in Italia ed anche in altri paesi europei. In questo caso si trattava della serie di ballate che hanno come riferimento comune “la bevanda sonnifera”. Altre sono raccolte sotto il nome di “la pesca dell’anello”, altre ancora come “la sposa morta” e così via.
La bevanda sonnifera in questo caso è quella che l’esperta nonna farà bere al cavaliere prima che vada a coricarsi con la nipote in modo da intascare il compenso senza che alcun atto venga consumato. Nella versione non infantile l’arguta vecchierella spiega che i soldini così ottenuti saranno preziosi per la sua dote. Ma quando, dopo qualche tempo , il cavaliere si ripresenterà alla fontanella e la ragazza si renderà disponibile per un’altra avventura galante, la risposta sarà:” Volentieri, ma la nonna non voglio neanche vederla perché mi ha già imbrogliato una volta” e non è chiaro come sia andata a finire la vicenda.
Il successo del brano
Ma non è a tutto ciò che il brano deve la sua fama. Il 1965 era anche l’anno in cui in Italia stava avendo un grande successo uno spettacolo teatrale fatto tutto di canti popolari italiani che per la prima volta raccontavano, con la loro testimonianza, le condizioni di vita delle classi popolari più povere del nostro paese. Il titolo dello spettacolo era Bella Ciao e la Compagnia che lo portava nei teatri italiani era il Nuovo Canzoniere Italiano composto da dodici cantanti e un chitarrista. Una fila di sedie impagliate sullo sfondo, dei microfoni in primo piano e una enorme tela di sacco come sfondo. Ma soprattutto una straordinaria colonna sonora proposta da voci che con i cantanti a cui eravamo abituati avevano poco a che fare.
Tra queste persone ci fu chi si accorse subito che quel canto infantile somigliava troppo a quello che dava il titolo al loro spettacolo e che veniva eseguito all’inizio e alla fine in due diverse versioni. “Assomiglia al Bella ciao!!!” “E’ vero. La me fa ciò, la me fa ciò, la me fa ciò, ciò, ciò….” Bella Ciao era arrivata in Italia da qualche anno incisa in un 45 giri da Yves Montand e sull’altra facciata aveva “Amor dammi quel fazzolettino”. Aveva avuto un grande successo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta nei numerosi festival internazionali per la pace che si tenevano specialmente nelle città dell’est europeo. A cantare la canzone erano gruppi di giovani comunisti e socialisti italiani. Il debutto dello spettacolo Bella Ciao del Nuovo Canzoniere Italiano era avvenuto al festival dei due mondi di Spoleto e aveva sollevato entusiasmo e sdegno nello stesso tempo.
Ne derivò un’interruzione che finì su tutti i giornali e in tribunale. Alcuni anni dopo vi fu la piena assoluzione e nel frattempo lo spettacolo, il NCI e il canto sociale in Italia e in Europa stavano occupando un posto di notevole rilievo culturale.

Daffini, Sandra Mantovani, Caterina Bueno, Hana Roth, Policarpo Lanzi
L’amore
Torniamo al tema che da oggi incominciamo ad affrontare: l’amore tra due persone e la nascita della famiglia. Appare subito evidente che oggi è un tema quanto mai scottante e divisivo. Ma noi ci stiamo occupando di mondo popolare tradizionale, seguendo prevalentemente la narrazione che ci deriva dai canti, dalla memoria orale, dalla ricerca antropo-culturale.
La famiglia, per nascere, ha bisogno del momento d’incontro. Se oggi tale problema nella nostra società sembra essere ampiamente superato, un tempo (ed ancor oggi in alcune culture) era un momento complicato da regole sociali che sembravano volerlo impedire: separazione tra i sessi, reclusione delle ragazze, sorveglianza asfissiante delle madre e dei fratelli, poche occasioni d’incontro e tutte sotto rigido controllo. Ma si sa, in queste cose l’ipocrisia è regina.
Tutto si può fare purché nulla traspaia o eventualmente sia sanato dal matrimonio riparatore. Alle signorine di buona famiglia si insegnava presto come procurarsi un buon partito “Cercando il merlo da sposar/ in piena estate vanno a mar/le signorine da marito/ oppure quando il mare è precluso In carnevale, la mammà, / le porta ai balli in società, /le signorine da marito…” Ma le ragazze che non vanno al mare, che non si possono permettere cinema e teatro, recluse tra casa e lavoro, come fanno? Approfittano di intermediazioni ufficiose, di sguardi rubati durante le feste patronali o in chiesa la domenica mattina, o di momenti di improvvida (o voluta) disattenzione della mamma.
Il corteggiamento
Il corteggiamento ha anche i suoi rituali espliciti: la serenata, il ballo e il canto che lo accompagna, lo stornello improvvisato che può comunicare, anche in forma anonima, l’attenzione di un innamorato per la sua bella, o l’irridente rifiuto, la perplessità e così via. Non ci si inganni però; i matrimoni d’amore sono un lusso che la ragazza del popolo spesso non può permettersi. E succede ancor oggi in molte realtà, anche dell’evoluto occidente.
(1/ Continua)