La pandemia e il conseguente lockdown hanno rappresentato anche per il made in Italy agroalimentare un percorso acceleratore d’innovazione. L’uso del digitale è uno strumento per rimanere vicini ai consumatori attraverso la comunicazione multicanale. E inoltre per l’individuazione di nuove traiettorie e canali per arrivare al mercato, nell’adozione dell’ecommerce. Ma la spinta innovativa è di fatto risultata presente solo dove c’era già un progetto strategico avviato. Mentre nei casi in cui mancava questa visione le aziende hanno continuato, e continuano, a muoversi a piccoli passi, talvolta maldestri.
È quanto emerge dall’indagine curata da AgriFood Management&Innovation Lab, il laboratorio di ricerca del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia. Nato poco meno di un anno fa ha l’obiettivo di supportare le imprese del comparto e accompagnarle nell’affrontare le importanti e complesse sfide del presente. Ancor più alla luce del nuovo contesto imposto dalla pandemia, che ha sollecitato anche le imprese dell’agroalimentare ad attrezzarsi diversamente. Nonché a definire nuove strategie e nuovi canali di promozione come di commercializzazione.
Lo studio sugli effetti del lockdown sull’agroalimentare
Questa prima indagine curata da Agrifood Management&Innovation Lab è focalizzata sul “Digital marketing&food”. E prende in considerazione le aziende agroalimentari di piccole e medie dimensioni del Triveneto. Lo studio ha analizzato la presenza digitale di tutte le aziende tra i 10 e i 250 dipendenti presenti nel database Bureau Van Dijk’s AIDA.
Obiettivo della ricerca è stato ottenere una panoramica della presenza digitale di questa tipologia di aziende.
I dati della ricerca
Dai risultati emerge come, di fatto, siano ancora poche le aziende che investono in modo strutturato nel digitale. Delle 520 aziende indagate (di cui 385 localizzate in Veneto, 65 in Friuli Venezia Giulia, 70 in Trentino Alto Adige), 445 sono presenti in internet con un sito web. Quanto alla presenza sui social, Facebook risulta essere il più usato, seguito da Instagram. I profili Facebook associati alle aziende del campione sono 320, di cui 6 nati nel corso del 2020, ma quelli realmente attivi, ossia con contenuti pubblicati nel corso dei sei mesi considerati (luglio-dicembre 2019), sono solo 272. I profili Instagram sono 209 di cui 158 quelli attivi. Tra i comparti maggiormente presenti nel web troviamo quelli della lavorazione delle granaglie, produzione di amidi e di prodotti amidacei, rappresentati dai molini (Ateco 10.6), produzione di prodotti da forno e farinacei (10.7) e produzione di altri prodotti alimentari (10.8).
Nel dettaglio, per quanto riguarda il Veneto, emerge che il 78,4% delle 389 imprese indagate è online con un proprio sito. In generale sono più presenti nel web le aziende più grandi (la media è di 38,7 dipendenti tra le imprese che hanno un sito e di 27,7 dipendenti tra quelle che non ce l’hanno). Solo il 13% delle aziende, invece, usa l’ecommerce, con una distribuzione molto varia a seconda del settore: si va dallo 0% del settore della lavorazione e conservazione di pesce, crostacei e molluschi, al 30,8% del settore dei molini.
Lockdown e agroalimentare, le conclusioni
«Tra le sfide da superare – commenta Francesca Checchinato, responsabile della ricerca – persiste l’assenza di un’ottica di marketing all’interno delle imprese. Questo soprattutto quando il mercato in cui l’azienda opera è B2B. Non viene percepita l’utilità di sviluppare un’immagine e un posizionamento che ne permetta la differenziazione rispetto ai concorrenti. In termini di percorso due sono i rischi. La visione del digitale come mondo/area a sé stante rispetto all’attività dell’impresa, da delegare completamente ad agenzie esterne, oppure una visione “fai-da-te” che induce le imprese ad occuparsene da sole anche in assenza di competenze e porta a risultati poco incoraggianti, nonché a un utilizzo quasi nullo dei dati».
«L’emergenza legata alla pandemia da Covid-19 – conclude Checchinato – ha fatto comprendere l’importanza dell’e-commerce quale nuovo canale distributivo, ma sembra che l’accelerazione verso investimenti dedicati riguardi prevalentemente aziende che già li avevano pianificati».