I commenti sotto qualunque articolo o intervista contenente parole del prof. Crisanti sono spesso, per dirla in maniera elegante, critici. Per essere più schietti c’è di tutto: dagli insulti agli auguri di poca salute, dalle critiche argomentate agli inviti a ritirarsi. L’inventario è vasto e colorito. Certamente il prof. Crisanti, negli ultimi mesi, è stato al centro del dibattito pubblico. Dagli appelli e alle attività di ricerca e intervento a Vo’ Euganeo, dalle non pienamente chiarite frizioni con il presidente del Veneto Luca Zaia alle predizioni su prossimi lockdown. Lo scienziato Crisanti è stato estremamente attivo nell’agire e nell’esprimere le proprie opinioni, è stato visibile ed è diventato riconoscibile.
Partendo dal completo e dovuto presupposto della sua buona fede come medico e accademico, le posizioni del prof. Crisanti sono tra le più allarmate e allarmanti. Questo lo ha reso – presso parte dell’opinione pubblica – una Cassandra. Le vicende hanno probabilmente favorito anche una parziale sovrapposizione di tale percezione con alcune posizioni politiche. D’altro canto esiste anche una parte della popolazione per la quale lo scienziato Crisanti è uno dei principali punti di riferimento scientifici.
Ma lo scienziato deve proprio parlare sui media?
La risposta non è affatto semplice e forse non esiste una risposta univoca. Nella prospettiva delle libertà individuali è semplice e non c’è dubbio: esiste la libertà di espressione, quindi il problema non si pone dal punto di vista pratico.
Nella prospettiva dell’opportunità, io individuo fondamentalmente due assi su cui impostare un ragionamento: gli effetti sulla salute psicologica e le ricadute sociali delle affermazioni di una figura autorevole.
La paura del futuro: i rischi per la salute psicologica della tensione prolungata
Una componente fondamentale in moltissimi studi di psicologia sociale è la legittimità della fonte. Se una persona priva di alcun titolo o di alcuna credibilità mi paventa la fine del mondo le mie probabilità di aumento dell’ansia sono piuttosto basse. Se d’altra parte una persona attendibile mi fa una previsione negativa riguardante il proprio campo di competenza, tenderò a prendere la cosa sul serio. Questo stesso principio è anche alla base di molte attività di marketing, ovvero della comunicazione finalizzata all’influenza sociale. Da questo punto di vista, ogni intervista in cui Crisanti parla della previsione di un aumento dei contagi e suggerisce un irrigidimento delle misure contenitive è un ulteriore peso per una popolazione provata da mesi di difficoltà e da una costante incertezza del futuro. Il perdurare di una situazione di incertezza può portare a disturbi ansiosi, depressivi, psicofisici e comportamentali legati allo stress.
E’ proprio una buona idea creare disagio nella popolazione?
Una seconda riflessione riguarda la consecutività tra atteggiamenti, comunicazione e azione. Se un’intervista dello scienziato provoca ansia e disagio in alcune persone, queste oggi lo possono esprimere tramite i mezzi social che ormai tutti abbiamo a disposizione. Da qui possono nascere effetti imprevedibili, anche perché alcune persone “normali” possono avere un seguito social pari o anche superiore a qualunque accademico/esperto e, tra i loro follower, possono avere anche una credibilità tale da parlare con un livello di autorevolezza che può essere creduto pari o superiore.
Molta ricerca in psicologia sociale può spiegare una particolare veemenza nel contrastare opinioni che non si vogliono accettare ma rispetto alle quali non si hanno dati contrari sufficienti o credibili. Quindi il professore rischia di fomentare un effetto contrario alle proprie tesi e ai propri suggerimenti.
Ma altrimenti le istituzioni non ascoltano…
Una tesi possibile, che ho sentito abbastanza spesso, è che oggi per avere ascolto da parte dei decisori serve un seguito. Non è tanto importante la bontà delle idee o la precisione delle previsioni, ma quanto si è graditi e supportati da un vasto pubblico (votante). In un certo senso probabilmente questo è anche vero, come poteva esserlo l’idea che per avere giustizia velocemente bisognasse mobilitare il Gabibbo o le Iene, ma se la cosa si applica anche al rapporto tra i maggiori studiosi nel nostro Paese e i decisori in tempo di emergenza sanitaria siamo in una situazione molto triste. In questa prospettiva la prima cosa fondamentale sarebbe uno sforzo da parte delle istituzioni di investire nella propria credibilità.
Ma il dibattito scientifico è alla base dell’innovazione…
Su questa frase bisogna fare due premesse. La prima è che ho parlato di Crisanti perché è veneto, perché particolarmente presente nel dibattito pubblico in questi giorni e perché fortemente polarizzante. Ma le stesse considerazioni possono essere fatte per tutti gli scienziati che si sono esposti pubblicamente, che hanno fatto previsioni, che hanno proposto soluzioni.
La seconda premessa è che in questa rubrica ho già trattato il tema dell’approdo del dibattito scientifico presso il grande pubblico https://www.enordest.it/2020/08/02/l-italia-social-discute-di-scienza-ma-non-sa-cosa-sia/ .
Gli studiosi – anche se i tempi stanno cambiando velocemente – non sono abituati all’idea che le loro diatribe possano essere oggetto d’interesse, di discussione e di ingerenza da parte di non addetti ai lavori, quindi spesso mancano della delicatezza del politico o della chiarezza del divulgatore. Nel contempo sono troppo spesso abituati all’idea che le loro idee vengano sempre filtrate da un corpus di conoscenze che danno per scontato nell’interlocutori, quindi tendono ad andare al punto senza premesse e informazioni-quadro. Pertanto le affermazioni scientifiche per mezzo dei media tradizionali rischiano di causare perplessità, smarrimento, rabbia.
Ma lo scienziato cosa dovrebbe fare?
E quindi, alla fine, il nostro eroe cosa dovrebbe fare? Il problema, allargando la considerazione a tutte le voci pubbliche, è a chi vuole parlare. Se le interviste servono perché i governanti lo ascoltino, mi auguro che le istituzioni possano trovare spazi per confrontarsi con quanti più esperti possibile per sviluppare le migliori soluzioni possibile. Se le interviste servono a comunicare con la popolazione per esortare a comportamenti responsabili, mi auguro che tenga sempre a mente le considerazioni presenti in questo articolo per poter dare la più corretta e utile informazione – secondo ciò che ritiene in scienza e coscienza sia giusto – ricordando che la comunicazione pubblica non è un convegno e che non sempre lo studio e i dati fanno vincere un dibattito pubblico.
Lo scienziato e noi
Alla fine siamo noi, è tutta la popolazione, che dobbiamo essere pronti a gestire un dibattito difficile su un argomento così spaventoso, poco compreso e concretamente impattante come il COVID. La nostra maturità si dimostrerà nei prossimi mesi e abbiamo bisogno delle idee di tutti coloro che possano dare un contributo di valore. Quindi il punto non è tanto che Crisanti e tutti gli altri parlino o meno sui media, ma che non smettano di studiare e di proporre soluzioni per traghettarci fuori da questo periodo di crisi.