L’Europa ha messo sul tavolo quasi 1200 miliardi di cui 750 di prestiti e 390 di sussidi. Ora occorre superare le barriere ideologiche per disporre dei fondi Mes. Ma ci voleva la pandemia perché l’Europa facesse qualche passo in avanti lungo la strada accidentata della maggiore integrazione. Dopo tante discussioni finalmente nascono gli eurobond, ovvero l’Europa emette titoli per venire incontro ai paesi europei alle prese con l’emergenza economica prodotta dal coronavirus.
Debito comune garantito dal bilancio Ue

Ma i molti problemi per una vera federazione tra gli Stati sono rimasti irrisolti. Si sa che l’UE soffre di due divisioni al suo interno. La prima con i paesi dell’Est che coltivano un “sentimento strumentale” verso la UE per ottenere sempre maggiori risorse. Inoltre, Ungheria e Polonia continuano a ricevere fondi senza rispettare i principi dello Stato di diritto (Art. 2 del Trattato). L’altra divisione riguarda la contrapposizione tra i paesi del Nord (“paesi frugali”) e i paesi mediterranei. Con i primi difensori del potere di veto nelle decisioni che li protegge dai paesi più grandi. Siamo, infatti, in presenza di una realtà intergovernativa (confederale) dove il massimo vertice, il Consiglio europeo costituito dai massimi rappresentati degli stati della UE, decide all’unanimità.
Gli Eurobond

Dagli accordi dell’altro giorno, al termine di un estenuante negoziato, i paesi dell’Est, Ungheria e Polonia sono riusciti a mantenere il legame “perverso” tra stato di diritto e risorse, oltre a beneficiare di un aumento dei rimborsi (rebates) sui loro contributi al bilancio europeo. Anche i “paesi frugali” ne hanno goduto assieme ad una limatura dei sussidi da erogare agli altri paesi, sempre nello spirito del rigore. Le quattro maggiori economie (Italia compresa), assieme al Portogallo hanno visto, invece, accolto lo schema iniziale del Recovery Fund, proposto dalla Commissione, con uno spostamento di un po’ di miliardi dai sussidi ai prestiti. Nel complesso quasi 1200 miliardi erogabili di cui 750 di prestiti e 390 di sussidi.
Chi controlla gli Eurobond

La governance è rimasta alla Commissione, alla quale spetterà – con il controllo dell’Ecofin (ministri finanziari dei 27 paesi) – valutare i piani di riforma e di investimento, nonché la loro esecuzione per stati di avanzamento, che permetterà di ricevere i fondi. Un Paese può avanzare riserve sui piani di riforma di un altro paese portandoli all’attenzione dell’Ecofin che può rinviare la questione al Consiglio europeo. Le decisioni dovranno esser poi prese con maggioranza qualificata del 35% della popolazione europea che richiede anche la partecipazione di uno stato importante come ad esempio la Germania. Il Fondo distribuirà le risorse tra il 2021 e il 2023 e resterà in vita fino al 2026. Il rimborso della parte di denaro presa a prestito inizia nel 2027.
Il caso Italia

L’Italia da questa negoziazione viene fuori bene. Porta a casa quello che le spetta. Il ritocco in più dei sussidi dipende dalla nostra tragica situazione derivante dalla pandemia. Il prodotto interno lordo si attesta su un meno 12 ma languiva anche prima del Covid. E’ la percentuale che segna i 209 miliardi di sussidi. Non bisogna poi dimenticare il peso che ha il nostro paese nell’economia europea. La necessità di uscire da questa grave situazione interessa tutta l’Europa per le intense relazioni che avvincono il mondo economico.
Eurobond e piano finanziario

Oramai è sul piano squisitamente economico e finanziario che vive l’Unione e anche gli stati la vedono come un organismo che concorre a risolvere i loro problemi economici. I temi politici appaiono distanti. Non vi è una politica estera, manca una politica dell’immigrazione per non parlare del fisco che consente una inopportuna concorrenza tra gli stati stessi dell’Unione. Il premier Conte ha tenuto il punto, ha fatto valere, con forza, le ragioni del nostro Paese favorito dall’attuale governo che presiede nel quale non alligna quello spirito sovranista del precedente. Non va trascurata poi la credibilità del Pd a livello europeo.
La sfida del Governo
Ora il governo è atteso ad una sfida difficile. Impiegare le risorse ottenute in modo efficace ed efficiente per cambiare il paese. Sappiamo quanta difficoltà incontriamo nello spendere ma questa è l’occasione per cambiare metodo: ce lo impone la grave crisi che stiamo vivendo. Sarebbe anche bene superare le barriere ideologiche per disporre subito dei fondi Mes, necessari per gli urgenti investimenti sanitari.
Giorgio Brunetti, Prof. Emerito dell’Università Bocconi