Chi vi scrive era un ragazzo che moriva dal ridere quando un giovanissimo e sconosciuto Roberto Benigni lanciò, nel 1979, una canzoncina un po’ scurrile dal titolo “L’inno del corpo sciolto”. “E questo è l’inno del copro sciolto, lo può cantar solo chi caca di molto”. Queste erano le prime ed inequivocabili parole del motivetto che divenne subito popolarissimo. Dividendo immediatamente l’opinione pubblica tra chi riteneva Benigni il solito toscanaccio triviale e chi scorgeva in quel personaggio così bizzarro delle grandi doti comiche.

Nessuno scommetteva su Roberto
Nessuno, però, avrebbe scommesso una lira, l’euro era fantascienza, sul futuro da attore pluripremiato dalle più grandi accademie cinematografiche. Insignito addirittura con l’Oscar, ben due, e il prossimo Leone d’oro alla carriera. Se qualcuno avesse pronosticato quest’ultimi eventi nel 1979, quando Benigni invitava tutti a farla in allegria, il suo vaticinio non sarebbe stato neppure catalogato come fantascientifico. E non avrebbe rischiato di essere ricoverato in un ospedale psichiatrico solo perché la legge Basaglia aveva chiuso i manicomi l’anno prima.
Bertolucci ne intravede le qualità
Eppure qualcuno aveva intravisto il talento di quel ragazzo scanzonato. Per primi Renzo Arbore, forse il più grande talent scout dello spettacolo italiano, che lo lanciò nel suo popolarissimo programma “L’altra domenica”. Poi il regista Giuseppe Bertolucci, fratello del più famoso Bernardo, che lo diresse nel film “Berlinguer, ti voglio bene”.
Cosa c’è dietro Roberto
Soprattutto Bertolucci sapeva, da uomo di sopraffina cultura qual era, che dietro quella boccaccesca allegria c’era ben altro. Benigni aveva lasciato ben presto la famiglia contadina, senza averne però mai rinnegato le origini. Anzi rivendicandola ed esaltandola, per studiare teatro e costruire le sue basi da attore. Il Benigni che abbiamo conosciuto negli anni a seguire che incantava le platee declamando Dante nacque proprio in quel giovanile periodo di formazione teatrale, dove studiava e sperimentava insieme ad un altro grandissimo attore: Carlo Monni. Che, purtroppo, non avrebbe mai raggiunto la popolarità dell’amico collega.

Il debutto al cinema
Bertolucci capì la forza dissacrante di Benigni e lo lanciò nel mondo del cinema. Fino ad accompagnarlo, una pellicola dopo l’altra, in quello che diventerà il suo trampolino di lancio definitivo: “Non ci resta che piangere”. Il film, sceneggiato proprio da Bertolucci, entrò di diritto nella top-ten dei film comici italiani di tutti i tempi. E tolse a Benigni e Troisi l’ingiusta patina di attori troppo legati alla loro terra d’origine.
La crescita di Roberto
Da “Non ci resta che piangere” in poi per Benigni sarà tutta una carriera in crescendo, con, inizialmente, maggiori riconoscimenti a livello internazionale piuttosto che in patria. Dove, per i più ottusi, pagava ancora l’eccessiva toscanità e, per altri, il suo orientamento politico. Benigni, infatti, non ha mai negato la sua simpatia per l’allora Partito Comunista Italiano. Col tempo, affiancato e consigliato soprattutto dalla moglie, l’attrice e musa ispiratrice Nicoletta Braschi, inizierà ad abbandonare le battute più pesanti e le comparsate da giullare in televisione. Forse questo aspetto per gli ammiratori della prima ora, come il sottoscritto, farà perdere un po’ di genuinità all’attore e attenuerà la dirompente vis comica che, agli albori, lo rendeva secondo solo a Totò. Benigni si trasformerà così in un attore di popolarità internazionale con film come “Il piccolo diavolo”, al fianco di una leggenda come Walter Matthau, e “Johnny Stecchino”. Pellicole inframmezzate da altre sotto la regia di Marco Ferreri e Federico Fellini che ne hanno nobilitato ancor di più il pedigree.
L’Olimpo arriva con la Vita è bella
Ma sarà con la “Vita è bella”, considerato da tutti il suo capolavoro, che Benigni si consacrerà nell’olimpo dei grandi del cinema. Due Oscar, miglior attore e miglior film straniero: un terzo Oscar alla musica di Piovani. Il Leone d’oro alla carriera, che gli verrà consegnato a settembre nel corso della prossima Mostra del cinema di Venezia, è la ciliegina su una carriera unica ed inimmaginabile. Per chi, decenni prima, singhiozzava ascoltando e canticchiando “L’inno del copro sciolto”, ma anche crediamo per quel ragazzo venuto dalle campagne toscane.
Roberto, manca però la tua vecchia ironia
Sarebbe bello, però, se Benigni abbandonasse per un attimo il suo attuale status di grande attore internazionale e di ineguagliabile declamatore della Divina Commedia per regalare ai suoi vecchi ammiratori, quelli che l’hanno applaudito nei teatrini più scalinati delle province toscane, qualche pezzo della sua vecchia comicità, qualche battuta dissacrante, sui politici o sulla chiesa. Abbiamo guadagnato un grande attore, ma ci siamo persi anni di risate!