Nella vicenda terrena di Albino, il Papa del sorriso, premonizioni e segnali della benevolenza divina ce ne sono anche troppi. Da quando nasce e lo danno subito per moribondo, fino alla polmonite che a sei anni se lo sta portando via. O fino a quando ancora, ormai adulto, secondo i medici ha i giorni contati per una tubercolosi che lo sta divorando. Dovrebbe morire tutte le volte, invece sopravvive sempre. Segno che qualcuno, in alto, vuole che porti il suo fardello sino in fondo.
La carriera del Papa del sorriso

La sua stessa carriera pastorale, iniziata come cappellano a Forno di Canale e conclusa sul trono di Pietro ha poi del miracoloso. Diventa vescovo a dispetto dei saggi della Curia vaticana che sono contrari; Pontefice a dispetto di tutti, anche se di quella elezione il più spaventato era proprio lui. Eppure, indicazioni precise sul suo destino c’erano già state, una, ammantata dietro i misteri di Fatima che si porterà nella tomba, appena un anno prima della sua elezione a Papa; l’altra alla luce del sole sei anni prima in una mattina di settembre.
Il Papa del sorriso e la pastorella

Ma andiamo per gradi, partiamo da quel colloquio riservato in Portogallo, nella quiete di Coimbra, con suor Lucia dos Santos, la pastorella di Fatima, dal quale era uscito pallido e provato. L’incontro, due ore a porte chiuse, non era previsto, ma la mistica aveva insistito. Doveva parlare con lui e solo con lui. Cosa gli aveva preannunciato la pastorella, scelta dalla Madonna per custodire i suoi misteri? Che per trentatré giorni, non uno di più, sarebbe stato l’erede di Pietro? Che dopo quel suo sacrificio il Signore lo avrebbe accolto tra i suoi Beati? Non si sa e a forza di interrogativi si rischia di esagerare. È certo però, che del contenuto di quell’incontro, Luciani non confidò mai niente a nessuno, nemmeno al fratello Edoardo. Come se tra lui e la monaca portoghese ci fosse un patto inviolabile. Ma non era sfuggito a nessuno che ad ogni richiesta sul tema, il suo disagio ed il pallore diventavano più evidenti.
Quel passaggio di consegne a Venezia

Perché Giovanni Paolo Primo, da quando era stato nominato sacerdote, non sapeva nascondere niente. Preoccupazione, gioia, felicità e imbarazzo gli si leggevano subito in faccia. Come in quel luminoso settembre di sei anni prima a Venezia. Davanti alla Basilica di San Marco, Paolo VI, a sorpresa si era tolto il “pallio”, la stola che simboleggia l’autorità pontificale e glielo aveva imposto sulle spalle. Allora lui, Patriarca ma non ancora cardinale, era arrossito violentemente per la timidezza. E se n’erano accorti tutti, ma non ci avevano fatto troppo caso.
Non solo un gesto
Sembrava, infatti, soltanto un amichevole gesto di cortesia e di stima, a sigillo di un’ amicizia che si era consolidata durante il Concilio. Invece quel gesto era più che l’investitura di un momento, ma una profezia precisa, di quelle che solo chi è toccato dalla grazia del Signore può fare. Perché Papa Montini, era già scritto, sarebbe diventato Santo. E i Santi, si sa, vedono sempre molto lontano. Forse anche a quella lunghissima notte tra il 22 ed il 23 luglio del 2011, a Buenos Aires
La sua morte

Sono passati quasi trentatré anni da quando Albino Luciani è ormai morto e quel numero tre che continua a ballare in tutti i momenti capitali della sua storia, piaccia o no, fa pensare. Perché lui sarà il terzo Patriarca di Venezia a salire sul trono di Pietro, nell’arco di un secolo ( nel ‘900, dopo Pio X° e Giovanni XXIII° ); il suo Pontificato inizierà ufficialmente il 3 settembre del 1978. Trentatré in tutto saranno i giorni del suo magistero romano. C’è insomma sempre quel numero 3 che salta fuori ogni volta ed è un altro dei tanti segni del destino che accompagnano il Papa del sorriso. Le certezze però sono un’altra cosa e appartengono soltanto a chi ha fede. E adesso ne servirebbe proprio tanta, perché in uno degli ospedali dell’immensa capitale argentina, una giovane vita si sta spegnendo.
Il Papa del sorriso veglia su una bambina

E’ quella di una undicenne, Candela Giarda, affetta da una malattia che non perdona: encefalopatia infiammatoria acuta. Secondo i sanitari non arriverà a domani e scuotendo la testa hanno lasciato a vegliarla la madre Roxana e un sacerdote, padre José Dabuti. Roxana è devota da sempre alla memoria di Papa Luciani e a lui in quel momento terribile si rivolge con una fiducia che vince la disperazione. Solo lui può salvarla e con le mani strette su quel corpo inanimato lo invoca con tutta la forza che le rimane di strappare alla morte la figlia. E’ una preghiera dolente, disperata, che dura ore lunghe come una vita nel nome di Albino, il pastore degli umili dal timido sorriso. Una preghiera che arriva molto lontano, perchè quando finalmente finisce il buio e si fa giorno, Candela è ancora viva. Anzi, i sintomi della malattia secondo i medici, stupefatti, sono scomparsi. Tanto che saranno proprio loro, per primi, a definire quella inspiegabile guarigione, miracolosa.
Il miracolo accertato

Poi, anni dopo, quando Candela s’è fatta ormai grande ed è diventata una ragazza bella e sana, arriverà anche l’inchiesta della Chiesa, ed il “postulatore” accerterà senza ombra di dubbio che sì, era stato proprio un miracolo. E’ il primo attribuito ad Albino Luciani. Anzi, al “Beato” Albino Luciani, come ha stabilito il 4 settembre in una Piazza San Pietro flagellata dalla pioggia, Papa Bergoglio. Con lui, a celebrare il pontificale, c’erano 500 tra cardinali, vescovi e sacerdoti e al momento dell’omelia, questo Pontefice arrivato dall’altra parte del mondo ne ha voluto ricordare la semplicità, la serenità, la gioia di vivere amando tutti come vuole il Vangelo.
Papa Bergoglio e un cielo che si apre

Ad ascoltarlo, sotto la pioggia battente, c’erano le più alte cariche dello Stato a cominciare dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella; ma almeno 30 mila fedeli veneti, compreso il Presidente della Regione Zaia, erano assiepati dietro le transenne. Sotto gli ombrelli aperti, apparivano tutti seri e commossi: un figlio della loro terra era stato innalzato alla dignità dei Beati. Uno a cui non piaceva lo sfarzo e che non voleva mettersi in mostra mai, com’è da sempre nel carattere delle genti venete. Sarà forse anche per questo che, appena finita la messa, dopo che all’improvviso la pioggia aveva ceduto al caldo sole romano, un anziano signore, sicuramente bellunese, guardando in alto era sbottato serio: “Sono di sicuro Bortola e Giovanni, i genitori di Albino. Questa è la loro luce. Non capita tutti i giorni di avere un figlio Beato”.