Plastica, sostanze tossiche, agricoltura industriale e allevamenti intensivi sono tutti tasselli di un sistema malato che sta distruggendo l’ambiente. Ormai è chiaro: per fermare l’inquinamento bisogna rimodulare le filiere di produzione e modificare le nostre abitudini.
Alcuni numeri per inquadrare meglio la gravità della situazione inquinamento

– le tonnellate di plastica e microplastica che finiscono ogni anno in mare sono circa 12 milioni; – le emissioni di ammoniaca di cui l’agricoltura industriale è responsabile, quasi per intero provenienti dal settore zootecnico, ammontano al 94% del totale;
– le morti premature causate in Italia dalle polveri sottili sono 45.000 all’anno.
Molti parametri che indicano lo stato di salute della Terra (che, indubbiamente, è malata!) hanno già superato il livello di guardia: dal riscaldamento globale alla perdita di biodiversità, dall’alterazione dei cicli dell’azoto, del fosforo e dell’acqua all’immissione nell’ambiente di inquinanti di sintesi – plastiche e PFAS (acronimo di PerFluorinated Alkylated Substances, in italiano sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, o sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche,) – in misura oltremodo preoccupante. Ad aggravare questa situazione concorrono i modelli di business e consumo della nostra società, tutt’altro che a misura di pianeta visti gli sprechi di preziose risorse naturali non rinnovabili che comportano, oltre alle grandi quantità di emissioni di gas serra che impattano anche sulla nostra salute.
Inquinamento atmosferico

L’aria che respiriamo è inquinata e la maggior parte dell’inquinamento atmosferico deriva dall’uso dei combustibili fossili e dai veicoli alimentati a diesel e benzina.
Ma c’è un’altra fonte di emissioni nocive che minaccia l’ambiente e la nostra salute: la produzione intensiva di cibo. Agricoltura industriale e allevamenti intensivi sono responsabili di un’enorme percentuale di emissioni di ammoniaca – il 94% – la maggior parte della quale proviene proprio dal settore zootecnico. In Italia, l’ammoniaca prodotta dagli allevamenti intensivi costituisce la seconda causa di formazione di polveri sottili (PM2,5) che ogni anno causano circa 45.000 morti premature.
Mettere fine ai danni dell’inquinamento e delle sostanze tossiche è una necessità che non può più aspettare: dobbiamo fare sì che il nostro pianeta guarisca!
Come disintossicare il pianeta dall’inquinamento

PFAS, gli inquinanti eterni. Si tratta di sostanze chimiche di sintesi che hanno trovato grande fortuna in moltissimi settori per via delle loro proprietà idro- e oleo-repellenti. Il problema è che, però, sono oltremodo resistenti anche ai naturali processi di degradazione. L’uso massiccio che ne è stato fatto e che ancora se ne fa, ha contaminato l’acqua, il suolo, il cibo e la fauna selvatica, anche attraverso i normali prodotti di consumo e gli scarichi industriali, con gravi conseguenze sulla salute delle persone come problemi alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, obesità, cancro al rene e ai testicoli. Per questo è necessario vietarli al più presto.
La plastica sta soffocando il mare e la terraferma e ha invaso il nostro pianeta: si trova nei mari, nelle foreste e nei fiumi di tutto il mondo, senza contare gli imballaggi, i tessuti e gli ingredienti dei cosmetici. L’inquinamento da plastica è una delle più gravi emergenze ambientali dei nostri tempi, simbolo di una cultura dell’usa e getta che deve finire al più presto. È necessario un trattato globale che stabilisca regole valide in tutto il mondo: dobbiamo ridurre la produzione della plastica, garantire il corretto riciclo, puntare di più su sfuso e riuso e scegliere materiali a basso impatto ambientale: la sfida è ciclopica, ma non impossibile da vincere.
Un’altra emergenza sanitaria globale

L’aria che respiriamo è avvelenata dalle emissioni legate all’industria dei combustibili fossili e dei trasporti. Le conseguenze sono ormai note: malattie polmonari, malattie cardiache, ictus e cancro. I giganti dell’industria fossile e le case automobilistiche, invece di attivarsi per affrontare il problema dell’inquinamento atmosferico, non fanno che alimentarlo continuando a investire su combustibili fossili e veicoli che “bruciano” benzina o diesel. Ma le soluzioni per combattere l’inquinamento atmosferico esistono e sono le stesse che servono ad affrontare la crisi climatica: puntare sulle fonti di energia rinnovabile e sullo sviluppo di trasporti elettrici, almeno quelli pubblici, che siano davvero sostenibili.
Allevamenti intensivi e agricoltura industriale causano inquinamento

L’agricoltura è responsabile del 54% di tutte le emissioni di metano di origine antropica (cioè: per mano dell’uomo) dell’Unione Europea e del 94% delle emissioni di ammoniaca, perlopiù provenienti proprio dagli allevamenti intensivi. Un’altra presenza indesiderata sono senza dubbio i pesticidi, dai quali dipende il modello di agricoltura industriale.
Fra questi insetticidi come i neonicotinoidi, particolarmente pericolosi per gli impollinatori, o erbicidi come il glifosato, che lo IARC (acronimo di International Agency for Research on Cancer, in italiano Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha classificato come probabilmente cancerogeno per gli esseri umani, e che in Italia è una delle principali cause di contaminazione delle acque. Agricoltura industriale e allevamenti intensivi, numeri alla mano, minacciano la salute delle persone e dell’ambiente: è imperativo, al più presto, adottare nuovi modelli di produzione di cibo e differenti pratiche agricole, che non siano così distruttive e inquinanti come le attuali. Ma c’è anche qualche buona notizia!
Il buco dell’ozono si sta restringendo

Uno studio scientifico recente ha dimostrato il ruolo determinante dell’accordo di Montreal e dello sforzo globale nella riduzione del buco dell’ozono. Tagliare le emissioni funziona e c’é un esempio concreto che lo dimostra. Dopo 38 anni dalla messa al bando dei cluorofluorocarburi (Cfc), il buco dell’ozono si è ristretto sensibilmente. L’assottigliamento dello strato di gas ozono nella stratosfera sopra l’Antartide espone la Terra al pericolo delle radiazioni ultraviolette prodotte dal Sole.
Quarant’anni fa, finalmente, si capì che la maggiore responsabilità era di alcuni gas inquinanti, in particolare dei clorofluorocarburi (o Cfc), sostanze usate soprattutto come refrigeranti, isolanti e nei propellenti, impiegate, ad esempio, nella produzione di frigoriferi. I Cfc interferivano con l’ozono, scomponendone le molecole e riducendo lo spessore di questo filtro naturale. Per questo nel 1987, con il Protocollo di Montreal, vennero messi al bando. E oggi possiamo finalmente raccogliere i frutti di questo lavoro: l’ozono sta meglio e lo “squarcio” si sta rimarginando. Una tendenza che va al di là delle variazioni stagionali e che ormai appare costante.