Il silenzio come nemico. Una solitudine assoluta, vuota e costante, senza mutamenti e definizioni, nella quale il verso di uccello appena percepito, diventa una luce di speranza per aggrapparsi alla speranza, per credere di aver una dimensione ed un futuro. Questo è lo scenario nel quale si è svolta la non vita di Cecilia Sala, la giovane giornalista che, nel giro di qualche settimana, è diventata la figlia e la sorella di tutti noi, con la forza dell’’inevitabilità che solo le emozioni profonde e vere conoscono.
L’isolamento di Cecilia dal mondo esterno

La dimensione parallela nella quale ha vissuto per il suo isolamento dal mondo esterno, per la mancanza assoluta di comunicazioni di quanto accadeva oltre il legno della sua porta l’ha allontanata e custodita; dal clamore internazionale, dal dibattito politico e giornalistico, dalle frenetiche trattative degli apparati, come dai pensieri dolci e preoccupati di un intero paese. Nulla di tutto questo ha permeato il diaframma dell’isolamento, la cortina di crudele e gelida cattiveria umana che, con il naturale fluire della sua crudezza l’ha rinchiusa tra quattro mura, quale elemento di un gioco che incide le carni e gli animi delle persone per raggiungere i suoi scopi.
Nelle prime parole pubbliche pronunciate da Cecilia nella sua intervista a Mario Calabresi, direttore di Chora Media per il quale la giornalista è andata in Iran, emerge prepotente la sua naturale indifferenza verso le proprie sofferenze, vissute con dolore ma con la consapevolezza della relativa esiguità del proprio dolore rispetto a quello degli altri internati, la cui dimensione di vita è inesorabilmente legata solo ed esclusivamente a questo; la sensibilità di Cecilia le consente, pur nel dolore fisico e nella sofferenza della privazioni della libertà, di cogliere la differenza, di sentire il senso di colpa dei fortunati.
Per non perdere l’umanità

Quelle poche parole che la Sala riesce ad articolare, ancora sorpresa dalla libertà e dall’infinita pienezza del suo valore, fanno intravvedere scenari di imbruttimento, di costrizione e di mancanza totale della libertà anche di disporre dei propri pensieri, di articolare ragionamenti, di possedere quello che definisce le persone, che le qualifica e le determina, e che sistematicamente viene impedito da tutte le strutture totalitarie. Per non perdersi e non perdere il filo della propria umanità Cecilia ha, con una dolcezza profonda come il sentimento che l’ha ispirata, chiesto al suo compagno di leggere lo stesso libro che le era stato concesso di tenere in cella, in una ricerca di intimità spirituale evocativa e surrogatoria che l’ha aiutata a sentire meno forte il suo isolamento.
La liberazione di Cecilia

Il ritorno a casa della giovane giornalista segna, per tutti noi, un elemento nuovo e forte di riflessione, sulla fragilità delle nostre abitudini consolidate e sul valore delle nostre libertà oltre che, come dice Cecilia, sulle responsabilità del nostro privilegio.
La liberazione, avvenuta così velocemente e felicemente, spinge però anche a comprendere meglio la rilevanza e le capacità dell’opera dei nostri apparati di sicurezza e di intelligence, le attività delle donne e degli uomini che operano nelle amministrazioni che, in vario modo in Italia e all’estero, si muovono su questi terreni delicati e pericolosi.
Lo scambio tra Rizzi e Belloni

Nelle stesse giornate avveniva anche la contemporanea sostituzione dell’ambasciatrice Belloni con il prefetto Rizzi a direttore del dipartimento delle informazioni per la sicurezza della presidenza del consiglio; un elemento che, superato il potenziale impasse insito nella perdita di direzione dei servizi segreti in una fase molto delicata, ha invece contribuito a rafforzare il clima di fiducia e di affidamento alle istituzioni che la vicenda Sala ha convogliato nel paese.
Quel funzionario di prim’ordine, come l’ha definito la premier, é un volto molto noto nella nostra città, nella quale ha diretto la squadra mobile negli anni ’90 ed è stato presente anche recentemente in numerose circostanze, nella sua funzione di vice capo della polizia.
Un dirigente di polizia dalla solidissima preparazione professionale, sempre intrecciata ad una sensibilità culturale viva ed attenta, che l’ha portato ad innovare ed essere protagonista di molti cambiamenti, a sperimentare e consolidare nuovi metodi investigativi e nuove modalità gestionali e ad ampliare le attività degli uffici investigativi da lui diretti nel corso degli anni.
La spinta alla creazione di pool, alla realizzazione di specifici gruppi di lavoro dedicati, con il quali ha conseguito risultati rilevantissimi, come l’arresto dei terroristi responsabili dell’omicidio Biagi per il quale ha costituito un gruppo investigativo, cui hanno partecipato anche uomini della squadra mobile di Venezia dei quali apprezzava le capacità, costituiscono una dei tratti fondamentali di Rizzi.
Cecilia, Rizzi e la sensibilità umana

Assieme a molti altri, quali la grande esperienza nella cooperazione internazionale di polizia, come la capacità di cogliere le novità tecnologiche più significative e la sensibilità per l’universo femminile, tutti elementi che ne fanno un grande e moderno servitore dello Stato, e ne rendono utile e preziosa l’attività pubblica nell’interesse collettivo, come ha avvertito chi ha avuto l’occasione di incontrarlo professionalmente.
Ma ciò che accomuna la dolorosa vicenda di Cecilia Sala e la figura del prefetto Rizzi, non è la ribalta mediatica o il temporaneo interesse generalizzato, bensì quella intima, profonda e delicata sensibilità umana che, in modi e modalità diverse, emerge dalla testimonianza di vita di queste due persone; un’umanità granitica nei principi – eguaglianza, giustizia, altruismo – ma semplice e naturale nelle sue affermazioni fatte di gesti, di pensieri, di azioni coerenti e solide.
Persone, diverse e distanti, che ci aiutano a vedere oltre al quotidiano, per dare maggior peso al valore delle cose.