Sono durate quasi una settimana le ricerche dei Vigili del Fuoco per trovare il corpo dell’ultimo dei lavoratori dispersi nella tragedia sul lavoro in un cantiere edile a Firenze. Si lavorava per la costruzione di un nuovo grande supermercato. Le vittime del nuovo dramma sono cinque. Complesse e rischiose le attività di ricerca, per la necessità di mettere in sicurezza il cantiere senza far crollare il castello di travi in cemento prefabbricato sui soccorritori stessi e continuando con la necessaria cautela le ricerche del disperso. Un nuovo, drammatico caso di incidenti sul lavoro.
E nuove polemiche su un dramma che assume dimensioni sempre più vaste e rispetto al quale sembra non si usino armi adatte e le poche sperimentate si sono mostrate spuntata. Soprattutto per quanto riguarda appalti, subappalti, una catena del lavoro sempre più difficile da controllare. “Sfido la premier Meloni a fare un decreto che porti le tutele degli articoli 41 e 119 del Codice degli appalti pubblici anche nei cantieri privati sopra 500 mila euro. E invito tutte i partiti a votarlo. Bastano poche righe, afferma con decisione e rabbia Alessandro Genovesi, capo della Fillea, gli edili della Cgil,
I punti da affrontare per salvaguardare le vite dei lavoratori
Il punto resta infatti quello delle regole, delle modalità del lavoro, della formazione dei lavoratori, effettiva e partecipata, dei contratti di lavoro e della catena delle responsabilità; questione davvero non più rinviabile. Una giungla di previsioni, spesso formali e formalistiche, che apparentemente rendono sicuro il lavoro ma che, di fatto, rendono possibili incidenti a catena. Il percorso che porta dalla formalità all’effettività va percorso con realismo e concretezza, ricercando nuovi punti di equilibrio.
Un codice per i lavoratori
Nel codice degli appalti recentemente varato, il Dlgs 36 del 2023, è stata ampliata la possibilità di introdurre subappalti, misura certamente rischiosa e possibile fonte di irregolarità e rischi, ma sono state previste anche alcune nuove disposizioni positive, come quella dell’obbligo di applicare il contratto edile, evitando di usare contratti che costano meno e con meno tutele. Il divieto al ribasso sui costi per manodopera e sicurezza. E la parità economica e normativa tra lavoratori in appalto e in subappalto, come ricorda Genovesi.
Il Codice riguarda i lavori pubblici e non si applica alle attività private ma, sottolinea il sindacato, estendiamo al privato quanto c’è di buono nel codice che infatti, se si fosse applicato al cantiere di Firenze avremmo saputo subito quante aziende c’erano e quanti lavoratori …. Non avremmo avuto squadre di cottimisti e di ditte individuali.
Il tema è estremamente delicato e deve essere considerato come una delle priorità del Paese.
Quanto vale la vita dei lavoratori e quanto siamo disposti ad accettare che intere famiglie piangano e si trovino in gravi difficoltà a causa della mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro, quella che dovrebbe essere costituzionalmente garantita?
Questi i drammatici interrogativi sollevati dal Presidente Nazionale ANMIL Zoello Forni, che devono essere considerati anche alla luce del fatto che gli operai che hanno perso la vita nel cantiere fiorentino erano in prevalenza stranieri, come dice la normativa extracomunitari, lavoratori che più di altri risultano fornire quella flessibilità e quella docilità rivendicativa che risulta inestricabilmente interconnessa con molte attività economiche, in primis quelle edili.
Lavorare con orari, attrezzature, condizioni di lavoro e di vita molto flessibili è un dato di fatto, quasi una precondizione che vede prevalere la componente straniera su quella italiana, in una costante rincorsa verso il basso, per conquistare i maggiori risparmi possibili, massimizzando la velocità ed il guadagno, in un orizzonte nel quale la formazione e la professionalità non sono valori ma costi insostenibili, intimamente rifiutati dalla mentalità prevalente.
Il cantiere edile è il luogo più pericoloso per i lavoratori
Un cantiere edile, in particolare per opere di grandi dimensioni, è uno dei luoghi di lavoro più complessi e pericolosi, nei quali l’interiorizzazione delle sicurezze ed il coordinamento reale tra le attività e le maestranze è fondamentale.
La formazione sulle norme di sicurezza risulta però essere la Cenerentola tra le priorità delle imprese; un obbligo da assicurare rispettando la lettera delle previsioni, con il minimo delle ore previste e possibilmente con la formazione a distanza, stranamente ammessa dalla norma, ma sempre secondo la necessità di contenere quanto più possibile il costo della sicurezza
Intanto gli infortuni gravi e mortali sull’ambiente di lavoro continuano ad avvenire, in tutti i settori ed a tutte le età
I dati statistici sono, per quanto accurati e tempestivi, uno specchio opaco della realtà perché molti infortuni non vengono denunciati, o per essere ritenuti non rilevanti, o per non incrinare i rapporti di lavoro o, semplicemente, perché è meglio non farlo, dato il clima che si respira in molti ambienti di lavoro, nei quali la sempre crescente precarietà e la prevalenza dei rapporti a tempo determinato a breve termine, sottende ad una precarietà che non consente di “mettersi in infortunio”.
Oltre a questo vi sono anche degli incidenti sul lavoro che non portano ad infortunio: sono quelli che vengono definiti infortuni mancati, ossia quei casi nei quali – solo per una serie fortunata di circostanze – non si producono danni fisici pur in presenza di tutte le caratteristiche di un infortunio, compresa la violazione di norme e procedure previste.
Sul territorio nazionale le denunce di infortunio presentate all’Inail entro il mese di settembre 2023 sono state 430.829, con un calo del 19,6 % rispetto ai primi nove mesi del 2022, ma in aumento rispetto alle 396.372 del 2021 (+8,7%) e alle 366.598 del 2020 (+17,5%).
Bisogna risalire al 2019 per trovare un dato maggiore, quando infatti erano stati 468.698.
Quelli sul lavoro sono diminuiti, dal 2022 al 2023 del 23 %, (da 471.543 a 363.064), mentre risultano aumentati quelli in itinere, avvenuti nel percorso di andata e ritorno che hanno fatto registrare un aumento del 5,1%, da 64.459 a 67.765.
Incidenti ai lavoratori. Come cambiano i dati in base ai settori produttivi
Analizzando i diversi settori produttivi, si nota come vi sia stata una diminuzione dei casi nell’industria e servizi, -23,3% (dai 452.566 casi del 2022 ai 347.259 del 2023), una lieve flessione anche nell’agricoltura, -0,5% (da 19.651 a 19.544) ma un leggero aumento nel settore del pubblico impiego, +0,4% (da 63.785 a 64.026).
Anche per sanità ed assistenza sociale, dopo i picchi legati alla pandemia, si registra un -69,2%, che si collega alla diminuzione dell’Amministrazione pubblica, nel quale vengono ricomprese le attività delle Asl, e quello degli amministratori regionali, provinciali e comunali (-59,4%).
Per il Trasporto ed il magazzinaggio il decremento è del -48,2%.
Infine i comparti manifatturieri conoscono invece un sensibile aumento con le bevande al +11,2%, gli autoveicoli al +5,0% e l’abbigliamento +3,5% ed i prodotti chimici +3,0%.
Denunce di infortunio per area territoriale
La distribuzione geografica del dato, secondo i dati INAIL, presenta una diminuzione delle denunce di infortunio al Sud -25,2% e nelle Isole -24,5%, con valori meno alti nel Nord-Ovest -22,9%, Centro -19,5% e Nord-Est -12,5%, che è l’area del Paese con il minor decremento.
Il paragone tra il periodo gennaio-settembre 2022 e gennaio-settembre 2023, mostra un calo sia nella componente femminile, che passa da 222.638 a 150.363 casi denunciati con una diminuzione del 32,5%, che in quella maschile che va dai 313.364 a 280.466 infortuni annui, scendendo del 10,5%.
Paritario risulta il dato per quanto riguarda la provenienza geografica, paragonando il decremento dei lavoratori italiani, -22,7%, con quello dei comunitari, -15,7% e degli extracomunitari -1,5%, dati che naturalmente devono essere letti in proporzione al numero complessivo di occupati per nazionalità.
Le diverse fasce di età sono accomunate tutte da una complessiva diminuzione, ad eccezione degli under 20 che registrano un aumento del +12,3% legato prevalentemente all’aumento infortunistico degli studenti nel corso delle attività di formazione lavoro, che sono notoriamente regolamentate in modo improprio e disordinato, tanto che la relativa normativa è stata oggetto di rivisitazione.
Infortuni mortali ai lavoratori
Considerazione a parte merita il tema degli infortuni mortali: secondo le statistiche INAIL, nel periodo gennaio-settembre 2023, si sono verificate 761 denunce di infortunio mortale, con una diminuzione di 29 decessi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sull’intero territorio nazionale.
Raffrontando il dato con quello dei tre anni precedenti, si riscontra una costante diminuzione, di 149 tra 2022 e 2021, di 166 tra 2021 e 2020 e di 19 nell’anno precedente.
Come sempre i dati devono però essere guardati attentamente: dal raffronto emerge infatti che la diminuzione dei decessi ha riguardato solo quelli avvenuti in itinere, passati da 216 a 168, mentre quelli sui luoghi di lavoro sono aumentati passando da 574 a 593, segno di una crescente rischiosità degli ambienti lavorativi, legata probabilmente anche all’eccessivo turn over tra addetti, dovuto al ripetersi di contratti brevissimi e al lavoro intermittente.
Meno incidenti ai lavoratori nell’industria
Passando ai settori, si nota come nell’Industria e nei servizi si sia conosciuta una diminuzione, da 668 a 651 decessi, come avvenuto anche in agricoltura da 97 a 85
Il calo maggiore è avvenuto nell’area del Nord-Ovest (da 219 a 202 casi), seguito dal Nord-Est (da 173 a 166 casi) e dal Centro (da 164 a 138), mentre il Sud e le isole hanno visto aumentare i numeri, rispettivamente da 169 a 189 e da 65 a 66.
Non paritario è il risultato per genere dato che, infatti, ad una diminuzione da 81 a 54 dei decessi femminili, corrisponde una diminuzione molto contenuta, peraltro ulteriormente alimentata dagli ultimi decessi di questi giorni, da 709 a 707 per la popolazione maschile.
Il dato etnico evidenzia, in numeri assoluti e non percentuali, il calo delle denunce dei lavoratori italiani, da 638 a 618, dei comunitari, da 41 a 37, e degli extracomunitari, da 111 a 106.
Dall’analisi per classi di età si registrano aumenti tra gli under 25 (da 42 a 53 casi), in quella 50-54 anni (da 115 a 116) e tra i 65-74enni (da 50 a 62) e diminuzioni nella fascia 25-49 anni (da 307 a 268) e tra i 55-64enni (da 264 a 252).
Denunce di malattia professionale
Altra piaga importante che affligge il mondo del lavoro è quella delle malattie professionali, ossia quelle patologie che – pur non costituendo motivo di decesso o di infortunio – comportano una grave e permanente diminuzione del benessere e della salute della persona e che, paradossalmente, spesso non si accompagna alla diminuzione delle capacità lavorative, con l’effetto di costringere al lavoro con maggiori sforzi e difficoltà.
Le maggiori patologie di questo genere sono quelle del sistema osteo-muscolare, del tessuto connettivo, del sistema nervoso e dell’orecchio, tutte patologie che diminuiscono pesantemente la qualità della vita, con disturbi costanti ed invalidanti che non lasceranno più tranquilla la persona che ne è colpita.
Nei primi nove mesi del 2023, sono state queste le prime malattie professionali denunciate, seguite dai tumori e dalle patologie del sistema respiratorio. Anche in questo caso le differenze di genere sono importanti, con 6.965 denunce di malattia professionale in più per i lavoratori uomini, che passano da 32.407 a 39.372 con un aumento del +21,5%, mentre si ha un incremento di 2.657 per le lavoratrici, da 11.526 a 14.183 aumentate del +23,1%.
Tendenzialmente paritaria è l’incidenza tra lavoratori italiani, passati da 40.602 a 49.216 (+21,2%), e comunitari, da 1.095 a 1.337 (+22,1%), mentre risulta proporzionalmente più pesante per gli extracomunitari, che passano da 2.236 a 3.002 con un aumento percentuale di +34,3%.
I dati dell’Istituto, per tecnica statistica, non contemplano le realtà degli gli agenti di commercio, i giornalisti, il personale di volo, i Vigili del Fuoco, il personale delle Forze di Polizia e delle Forze armate; realtà particolari e specifiche che però, negli ultimi anni, hanno visto una crescita importante delle tipologie invalidanti ed un invecchiamento consistente della base lavorativa.
I dati di Venezia per infortuni ai lavoratori
Lo scenario in provincia di Venezia non è roseo.
Dopo la flessione legata al Covid nel 2020 e 2021, il numero delle denunce presentate è stato superiore a quello a livello nazionale e regionale
Il numero delle denunce d’infortunio a livello nazionale, rispetto agli occupati, è stato del 2,67%, con un aumento del 24,63% rispetto all’anno precedente
Mentre in Veneto l’aumento è stato del 19,88%, con un’incidenza relativa del 3,48%, (inferiore alla media nazionale), in provincia di Venezia ha fatto segnare un incremento del 33,57% pari ad un’incidenza relativa del 3,74%, largamente superiore ai valori nazionali e regionali.
15.374 sono gli infortuni denunciati nel corso del 2022, ultimo anno per il quale vi sono statistiche precise.
Nello specifico sono stati 13.313 gli infortuni nel corso delle attività di lavoro e 2.061 in itinere, percorso casa lavoro e viceversa, dato questo indicativo dell’insicurezza stradale delle nostre arterie viarie, un tema recentemente venuto alla ribalta.
I settori più colpiti dall’infortunio ai lavoratori
I settori più colpiti sono l’agricoltura, che registra 207 infortuni, la pubblica amministrazione (che comprende i dipendenti pubblici, la sanità e gli studenti), che ne conta 2.105 e l’industria e servizi che ne ha visti 13.062, 3.929 denunce nel settore terziario, 2.989 nell’industria, 1.003 nell’artigianato, 3.229 in altri settori e 1.912 non definiti.
Le fasce di età che sono maggiormente esposte sono quelle dei lavoratori più anziani, uomini e donne, con picco tra i 50 e i 59 anni, con un valore di ben 4.173; questo dato peraltro pare destinato a salire e strutturarsi con il progressivo invecchiamento dei lavoratori
Per la fascia di età più elevata, tra i 60 e i 69 anni, l’incremento è avvenuto anche nel periodo del Covid, quando le denunce sono salite dalle 831 denunce del 2021 alle 1.220 del 2022.
La gravità della situazione ha spinto la CGIL Venezia, che definisce la situazione drammatica, a chiedere l’attuazione del protocollo promosso dal precedente Prefetto di Venezia Michele di Bari, che impegnava Sindacati, Istituzioni, Istituti, Ulss e rappresentanti delle imprese, al rafforzamento della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il sindacato ha deciso di aprire una linea telefonica dedicata, con la quale assistere e guidare i lavoratori sulle procedure necessarie per la denuncia dell’infortunio, resa ancora più complicata per il mancato adeguamento degli organici degli Spisal, che non riescono a monitorare adeguatamente i luoghi di lavoro.
Ma la situazione di Venezia non è l’unica che meriti attenzione
Un lavoratore di 65 anni, originario di Longarone, ha perso la vita in un incidente sul lavoro avvenuto a Rivoli (To), cadendo dalla gru che stata istallando.
La strage silenziosa non si ferma e tocca ancora una volta la nostra comunità bellunese dice Massimiliano Paglini segretario generale della Cisl di Belluno/Treviso, che sottolinea la particolare gravità del fatto che si aggiunge il dramma di dover lavorare lontano dalla famiglia per poterla sostenere e di doverlo fare a 65 anni in un cantiere: questa è una follia.
Il Veneto si trova al secondo posto in Italia per infortuni sul lavoro, spesso mortali, avendo una popolazione lavorativa tra le maggiori del Paese anche se, analizzando il rapporto tra gli infortuni mortali e la popolazione lavorativa, si trova leggermente al di sotto della media nazionale, con valori diversi però nelle diverse province.
La nostra regione si trova nella zona gialla intermedia tra le regioni con incidenza di mortalità sul lavoro; a fine novembre 23 il rischio infortunio mortale in Veneto risultava di poco sotto alla media nazionale, con 32,2 morti per milione di occupati su 32,3
La composizione provinciale non è però omogena in quanto per Verona e Belluno si avverte la zona rossa avendo valori di 60,2 e di 45,7; anche Treviso, con 34,4 e Rovigo, con 32,3 si trovano sopra la media mentre Venezia e Padova (con 26,8 e 24,2) sono nella fascia gialla. Solo Vicenza è in zona bianca con 10,4.
Gli infortuni mortali da gennaio a novembre: 20 vittime a Venezia
Nel periodo di riferimento, gennaio settembre 2023, sono stati 94 i decessi a fronte dei 104 dello scorso anno, con una maggiore incidenza di quelli nell’ambito lavorativo, 69 su 68, ed una flessione di quelli in itinere, 25 su 36
Rispetto al numero totale di decessi, il Veneto è secondo dopo la Lombardia (160) che, però, ha una popolazione doppia, quasi dieci milioni a fronte di meno di cinque; rispetto al numero dei decessi sul lavoro, depurati di quelli in itinere, risulta comunque terzo per decessi in occasione di lavoro sempre dopo la Lombardia (123) e la Campania (70).
La provincia più colpita per i decessi totali è Verona (31), seguita da Venezia con 20 vittime, Treviso (16), Padova (13), Vicenza (7), Belluno (4) e Rovigo (3).
La città scaligera si conferma prima anche per i decessi sul luogo di lavoro con 25 decessi, seguita da Treviso (13), Venezia e Padova (10), Belluno e Vicenza (4) e Rovigo (3).
Infortuni non mortali ai lavoratori
Il Veneto è la seconda regione in Italia, con un numero complessivo di 64.749 denunce di infortunio su un totale nazionale di 542.568.
Vale a dire che circa il 12% di tutti gli infortuni italiani, si verifica nelle nostre sette province, uno ogni undici accade in Veneto; un numero molto elevato in proporzione alla popolazione ed al numero delle imprese.
Alla fine di novembre 2023 le denunce di infortunio totali sono diminuite del 17,4% rispetto alla fine di novembre del 2022: erano 78.371 e ora sono 64.749. Un decremento dovuto quasi esclusivamente alla scomparsa dalle statistiche degli infortuni connessi al Covid.
Il settore manifatturiero è il più colpito
Le attività manifatturiere, anche dopo i primi undici mesi del 2023, sono ancora in cima alla graduatoria delle denunce di infortunio in occasione di lavoro (12.871). Sono seguite da: costruzioni (4.056), sanità (3.612), commercio (3.567) e rrasporti e magazzinaggio (3.360). Ed è sempre la provincia di Verona quella con il maggior numero di denunce totali di infortunio (13.228), seguita da: Vicenza (12.479), Padova (12.310), Treviso (11.384), Venezia (10.858), Belluno (2.393) e Rovigo (2.097). Sono 21.474 le denunce di infortunio delle donne lavoratrici e 43.275 quelle degli uomini. Le denunce dei lavoratori stranieri sono 16.945. Le denunce di infortunio fino a 14 anni sono 4.655, ovvero il 7,2% del totale degli infortuni dei lavoratori veneti.
La regione del Veneto e il costo degli infortuni lavoratori
In questa realtà La Regione del Veneto ha presentato, nel corso di un incontro avvenuto alla HFarma di Roncade, centro di studi e formazione di Confindustria Veneto, la prima campagna regionale di comunicazione sugli infortuni sul lavoro, in occasione della Settimana Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, che ricorre annualmente tra il 23 ed il 29 ottobre
Sulla base dei dati INAIL-Regioni relativi al periodo tra il 2001 e il 2022, sono diminuiti gli infortuni gravi e mortali in Veneto. Gli infortuni gravi sono quelli che comportano una prognosi superiore ai 40 giorni o con invalidità permanenti, quelli mortali sono passati da 13.462 del 2000 a 7.233 nel 2022.
Questi numeri positivi, che fanno riferimento peraltro agli infortuni riconosciuti e pertanto costituiscono un numero certamente inferiore a quelli denunciati ed avvenuti, sono però pesantemente ridimensionati e contraddetti dai 26 casi mortali avvenuti nel 2023, undici dei quali dovuti a cadute dall’alto.
Lanzarin e gli infortuni ai lavoratori
L’Assessore alla Sanità Manuela Lanzarin, ha affermato che Il calo statistico del numero degli infortuni non consente di certo di abbassare la guardia. Ed è per questo che la Regione, sulla base dell’analisi dei settori maggiormente colpiti dal fenomeno, ossia l’agricoltura, l’edilizia e la metalmeccanica, ha finanziato una campagna di informazione, che viene pagata con i proventi delle sanzioni versate dalle imprese che hanno violato le norme sulla sicurezza del lavoro.
Lo scopo dell’iniziativa è quello di diffondere sempre più la cultura della sicurezza sul lavoro passando dal ritenerla un costo a vederla come un’opportunità ed un vantaggio.
Il concetto di partenza dal quale muove l’iniziativa regionale è quello indicato dagli studi Inail; l’errore fatale, che conduce all’infortunio mortale, è spesso commesso per violazione o non conoscenza delle norme, ma la distrazione, la ripetizione inconsapevole, l’eccesso di esperienza e la ripetitività fa distrarre ed abbassare la soglia di attenzione.
Gioca un ruolo anche la peer pressure, ossia il non usare i dispositivi o non rispettare le procedure per assumere un ruolo più disinvolto e non sembrare bacchettoni nei confronti degli altri lavoratori.
Il ruolo degli Enti Locali, e delle Regioni in particolare, è centrale per la gestione della sicurezza sul lavoro
E’ stata appena sottoscritta la convenzione quadro Regioni-Inail per la sicurezza sul lavoro dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, e dal commissario straordinario dell’Inail, Fabrizio D’Ascenzo, con la finalità di condividere i dati nell’ambito del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp). La convenzione Regioni-Inail – dichiara Fedriga – intende migliorare le attività di prevenzione rivolte alla sicurezza sul lavoro. L’inaccettabile perdurare di morti e incidenti sul lavoro sollecita risposte dirette e una maggiore assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Una più diretta e puntuale verifica delle condizioni di sicurezza a livello territoriale, può consentire di accertare meglio le criticità per migliorare l’attività di prevenzione e di controllo.
A distanza di trent’anni dal dl 626 del 19 settembre 1994, la prima norma sulla sicurezza sui luoghi di lavoro in Italia successivamente integrata ed estesa ripetutamente, assistiamo ancora a morti bianche sul lavoro, ed al verificarsi di numerosi infortuni gravi ed invalidanti, oltre al consolidarsi delle malattie professionali, che colpiscono senza distinzione di genere ed etnia.
Mattarella e la tutela dei lavoratori
Pare proprio che il lavoro sia una delle maggiori cause di invalidità fisica e di malessere psicologico per molti, al punto da far dire al Presidente Mattarella che lavorare non è morire, le morti bianche feriscono il nostro animo, feriscono le persone nel valore massimo dell’esistenza, il diritto alla vita, feriscono le loro famiglie e feriscono la società nella sua interezza.
Il Presidente ha ribadito con forza che morire sul lavoro è uno scandalo inaccettabile per un Paese civile, ed ha ricordato che il primo articolo della Costituzione fonda la Repubblica sul lavoro esaltandone il valore e la dignità.Ci rendiamo certamente tutti conto che anche una sola morte rappresenta un costo umano e sociale inaccettabile. Il lavoro è strumento di progresso e di affermazione delle persone, non un g