Lonigo, il suo paese, stava organizzando una festa per l’addio allo sport del suo campione, Davide Rebellin che poco più di un mese fa, a metà ottobre, aveva dato l’addio alle corse da professionista. Era salito in bicicletta per gareggiare nel 1992, ne era sceso ufficialmente nell’ottobre del 2022, trent’anni dopo, a 51 anni compiuti, era il più “anziano” ciclista professionista in attività di tutti i tempi. Uno dei tanti record di Rebellin. Era soprannominato l’immortale. Intanto hanno identificato l’investitore I funerali e il lutto cittadino saranno mercoledì.
Per l’immortale lutto cittadino
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Adesso quella festa diventerà un omaggio al campione, dopo una giornata di lutto cittadino che si terrà mercoledì insieme ai funerali. Davide Rebellin nell’ultimo giorno di novembre è stato ucciso mentre si allenava sulla strada di Montebello, che conosceva come le sue tasche, da un camion “pirata”. Il camionista non si è nemmeno fermato a prestare soccorso, ha premuto sull’acceleratore e si è allontanato. Una telecamera l’ha filmato. L’hanno identificato. E’ un camionista tedesco che si è allontanato e che non potrà essere arrestato perchè in Germania non esiste il reato di omicidio stradale.
Un altro campione vittima di incidenti stradali, purtroppo uno dei troppi
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Michele Scarponi, vincitore di un Giro d’Italia, è stato ucciso da un’auto nel 2017. La sicurezza dei ciclisti, professionisti o dilettanti o amatori, è diventato più che un problema sulle strade italiane; ormai è un’emergenza. Si dovrebbe al più presto fare una legge che tuteli chi va in bici sulle strade consentite. La vicenda emblematica di Rebellin potrebbe essere una molla decisiva perché finalmente si affronti la situazione.
Rebellin e le due ruote
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Rebellin aveva corso l’ultima gara proprio sulle terre che conosceva meglio, tra amici, specie nelle vie della sua Lonigo dove il padre gestisce un bar, “Ultima tappa”. Questo campione singolare e per qualche aspetto bizzarro, che ha vinto in carriera 67 corse in linea, perché sapeva come gestire la fatica e come chiudere. Che ha sfiorato il podio del mondiale di Varese 2008, quello vinto da Ballan e a distanza di pochi metri nella volata dei secondi dominata da Cunego. Rebellin è arrivato quarto solo al fotofinish. Il campione che ha vinto un argento olimpico che gli è stato ingiustamente ritirato. Che preparava con sapienza le volate per i suoi capitani, come Mario Cipollini. In mezzo anche una maglia iridata da junior nella 70 km e 6 giorni in maglia rosa al Giro 1996.
L’immortale che non si sentiva mai un ex, è morto sui pedali. Spezzato da un camionista criminale
Questa è una delle ultime interviste concessaci per www.enordest.it da Davide Rebellin dopo aver dato l’addio alle corse.
Ha chiuso col ciclismo Rebellin?
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“No, continuerò ad andare in bicicletta. Non cambierà molto per me, solo non metterò la stessa intensità nell’allenamento, ma in bici andrò sempre”.
Cosa ricorda degli inizi, della prima maglia da B2 con la Pizzini di Malcesine?
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“Ricordo tutte le prime gare: eravamo un gruppo di ragazzini della mia zona, ci si trovava per gli allenamenti seguiti da Lino Disconzi a da mio zio, Mario Gattere. Vincevo cinque-sei gare di media ogni anno. La prima vittoria, già al primo anno, l’ho avuta a Povegliano. Poi sono passato da juniores alla Riboli val d’Illasi. Alla “scuola Cordioli”, dove sono cresciuto, ho cominciato a fare le prime gare internazionali, è stato allora che mi hanno insegnato i metodi di allenamento.
Ho imparato come correre, come allenarmi, anche come mangiare. Era importantissimo il gioco di squadra in una società ben organizzata con Gianni Tebaldo presidente, Beppe Cusini diesse accanto al dottor Lucio. Una famiglia. Una fase preparatoria che si è conclusa con le gare da Under corse con l’Opel Vighini. C’era come diesse Billy Ceresoli, estroverso, capace di trasmettere il suo entusiasmo ai corridori. Billy ha avuto un ruolo fondamentale nella mia crescita e non solo come atleta”.
Immortale, esordio con i prof nel 1992 a Camaiore, prima vittoria nel 1993 in Germania…
“Senza mai alzare le braccia da vincitore perché era una corsa a tappe dove non ho vinto una tappa. Il primo traguardo a mani alzate è stata nel 1995 in volata su 40 corridori in una tappa del Giro del Trentino, davanti Frattini, Ferrigato, Fondriest, Berzin. Ho avuto una crescita graduale. Con Ferretti, all’Mg, facevo tanti piazzamenti, ma poche vittorie”.
Al Giro 1996, tappa e sei giorni in rosa hanno fatto pensare potesse diventare corridore da corse a tappe
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“Anche perché oltre al 6° posto al Giro, ero stato 7° alla Vuelta, tanto che l’anno dopo, nel 1997, la Francaise des Jeux mi aveva preso come uomo di classifica per il Tour, solo che avevo problemi fisici e non ho ottenuto i risultati che speravo. Subito dopo quel Tour, ho vinto la Clasica di San Sebastian e poi a Zurigo, gare di Coppa del mondo. Per un paio d’anni, ho continuato a cercare di fare classifica nei grandi Giri, ma non riuscivo a migliorare, avevo sempre un calo nell’ultima settimana e non digerivo le grandi montagne, non ero competitivo a livello dei migliori e così ho scelto di dedicarmi alle classiche. Al Giro sono tornato più volte, andavo bene nella prima parte, poi calavo anche perché la preparazione, ormai, era impostata sulle classiche di primavera”.
L’immortale è stato un buon vincitore di classiche?
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“Il trittico Amstel-Freccia-Liegi in otto giorni nel 2004 è la gemma. Soprattutto, è stato bello vincere la Liegi, la corsa che sognavo sin da bambino, quando vedevo vincere Argentin. Alla Freccia ha fatto tripletta: la gara che più mi si addiceva con finale sullo strappo del muro di Huy, un arrivo esplosivo dove sapevo esprimermi al meglio. Nelle brevi corse a tappe, poi, ero sempre era tra i protagonisti: ho vinto Parigi-Nizza, Tirreno-Adriatico, Brixia Tour. Mi difendevo nelle crono e sulle salite che non erano nelle grandi montagne. Soffrivo le grandi montagne”.
Per nove volte ha vestito la maglia azzurra ai Mondiali, cosa mancava all’immortale?
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“È la vittoria che più mi manca. Il rimpianto è per il 2004 al Mondiale di Verona, che non ho fatto. Avevo capito che non sarei stato convocato. Ero leader in Coppa del mondo e non essere al Mondiale mi dispiaceva. A Verona c’ero nel 1999, ma sono caduto. Con Bartoli ero uno dei leader della squadra, ma sono caduto prima delle Torricelle.
Uno spettatore si era sporto troppo verso la strada e Andrea Tafi, davanti a me, lo aveva investito e io, dietro, non ho potuto evitarlo, rimediando più fratture. In altri Mondiali, vedi i due anni di Bettini, mi sono sacrificato per la squadra. Il miglior piazzamento il quarto posto nel 2008, con Ballan primo e Cunego secondo davanti a me per un sospiro, c’è voluta la fotofinish per decidere che non ero sul podio nel 2008: pensateci, sarebbero stati tre italiani ai primi tre posti. Forse era troppo per il resto del mondo”.