Il Festival della Canzone italiana – più noto come festival di Sanremo – è uno dei pochissimi spiragli credibili sulla psiche collettiva dell’Italia. La canzone, ormai, è spesso più un contorno che l’argomento d’interesse principale: il festival si guarda per i monologhi, le performance, il peso sociale e politico delle partecipazioni, l’impronta nella cultura nazionale.
Nell’era dei social, poi, queste caratteristiche si amplificano esponenzialmente: un discorso o un concetto si lasciano commentare molto meglio di una canzone. E così girano articoli, post, foto su ospiti diversissimi tra loro, su monologhi profondi o comici, su gag e battute. E il popolo dell’internet italiana si spacca, interpreta, dice la sua.
Il contenitore di una cultura condivisa

A noi, in questa sede, i contenuti del Festival – di questo specifico Festival 2022 – interessano relativamente. Anzi, parlare del contingente impedisce di guardare il quadro più ampio. Gli interpreti passano, le mode cambiano, anche gli argomenti che causano scalpore o fanno paura, col tempo, tendono a diventare storia vecchia o abitudine quotidiana.
L’idea che un contenitore, che è allo stesso tempo uno specchio, sia immutabile nel suo continuo mutare è il valore aggiunto che un evento come il Festival può dare ad un Paese. Non importa quanto i contenuti possano essere alti o trash: sono l’identificazione da parte di così tante persone e la connessione profonda, frutto di una lunga storia, con una cultura che contano. E così si crea un momento in cui una cultura si guarda e si rinnova, e la pervasività di questa azione è tale da impattare anche chi non vede, non si informa, non partecipa.
L’evoluzione culturale, un processo lungo e complesso

Uno specchio, una settimana di Festival, è una fotografia. Come tale, specie se ripetuta di anno in anno, mostra un’evoluzione e la cristallizza. Ma si tratta sempre e comunque di un’angolazione singola, non di un trattato definitivo di ciò che siamo stati, che siamo e che saremo. Dare a un singolo evento – culturale, ricreativo, popolare, elitario, non è così rilevante – un valore totalizzante è un errore da evitare. Allo stesso modo, licenziare un evento collettivo perché “troppo elitario” o “troppo popolare” è un errore altrettanto imperdonabile, in quanto l’evoluzione culturale passa da spinte di direzioni diverse.
Storie vere e vere storie

Ma un errore di interpretazione è imperdonabile: non dare importanza agli eventi collettivi perché “non sono veri”. La cultura non deve necessariamente essere un’istantanea ultrarealista della vita quotidiana, più spesso la sublima e la trasforma. Un evento come Sanremo, almeno negli ultimi anni, non rappresenta l’Italia di tutti i giorni ma è popolato da “mostri” (nell’accezione latina di monstrum, qualcosa che causa stupore). Il punto è che questi “mostri”, le loro caratteristiche, le loro parole derivano dalla realtà. Ciascuno di noi potrebbe esserlo stato nel passato o esserlo domani. La caricatura, la spettacolarizzazione, l’esagerazione derivano dalla realtà e tornano nella realtà con un impatto forte.
E allora buon Festival

A chi lo guarda e a chi no, a tutti noi che volenti o nolenti avremo a che fare con Sanremo, all’Italia che va avanti e alla cultura che non è mai ferma e al futuro che porta sempre elementi positivi e negativi. E poi, che piaccia o meno, alla fine si tratta di uno specchio e, come tale, non ha colpe, tuttalpiù non è perfetto e deforma un po’ l’immagine, ma averlo è comunque un grande valore.