Jean Paul Sartre, nei suoi “frammenti” postumi pubblicati nel 1993 da Il Saggiatore col titolo L’ultimo turista, scriveva (ed era il 1952) “La vita è a Mestre. Comune comunista”, scrivendo di Venezia. Mestre era vitale, dunque. Anche se affumicata dagli scarichi del traffico, dalle esalazioni della zona industriale, Mestre si dimostrava più viva e quindi più reale. E pertanto era più raccontabile, più narrativa, se vogliamo.

Mestre villaggio?
“Scrivete del vostro villaggio e sarete universali, scrivete di Parigi e sarete provinciali”. Così la pensava Cechov e credo che avesse ragione. Scrivere e raccontare questo nostro villaggio che è Mestre: è una sfida che ho lanciato spesso ai miei allievi dei corsi di scrittura e che ha dato vita anche a un’antologia e a dei cortometraggi realizzati con il Centro Culturale Candiani . Raccontare l’estate mestrina è stata anche una proposta che mi ha fatto Adriano Favaro nell’agosto del lontano 1999, quando dirigeva la pagina della cronaca di Mestre al Gazzettino. All’epoca mi sono divertita, assieme ad alcuni amici a scrivere miniracconti che descrivessero la nostra estate. Temi svolti al passato, al presente e anche al futuro.

E oggi?
Le cose sono molto cambiate. La vitalità non sembra più un elemento così caratterizzante della realtà cittadina. Però, raccontare questa città proprio oggi non è solo possibile, ma è consigliabile, addirittura necessario.
Ecco che ci viene in soccorso, per capire la Mestre in cui siamo immersi, questa antologia di sette racconti – Di qua dall’acqua. Storie di Mestre – appena pubblicata da Helvetia editrice e curata da Roberto Ferrucci, numero 25 della collana “Rosso veneziano, racconti”.

La Mestre di qualche decennio fa
Apriamo il libro e passeggiamo insieme a Lorenzo Bottazzo in una Piazza Ferretto di qualche decennio fa, una piazza che non era una piazza come oggi, ma una strada trafficata eppure brulicante di giovani che ne avevano fatto il loro ritrovo quotidiano, dopo lo studio pomeridiano e prima della cena. Nel suo racconto La piazza di Ferro chi ha vissuto quegli anni ritroverà l’esatta mappatura delle varie compagnie, che stazionavano in precisi luoghi e si differenziavano per la loro composizione sociale e politica (fighetti, fricchettoni, compagni, fasci, ecc.), ma dovrà anche confrontarsi con la desolazione attuale di tanti negozi chiusi a causa della crisi economica dovuta alla pandemia, ma non solo, visto il proliferare, negli anni passati di centri commerciali che hanno spostato lo struscio verso zone periferiche.
Uno degli autori
Bottazzo è anche autore di un altro racconto, che ci proietta in una zona completamente diversa, Le Catene, “una località informe, dal nome ostile, sinistramente declinato al plurale […] una terra di nessuno, periferia della periferia, frontiera tra la città, le fabbriche e la campagna” (p. 45).

Anche Lucia Martello, nel suo racconto Maccaè, ci porta in un quartiere dove alla sua estremità si trova una località, Bastioni, che l’autrice definisce “una delle zone più selvagge della città, quasi come Marghera”. Negli anni sessanta del secolo scorso qui i bambini erano “un esercito” e la protagonista, assieme a un’amichetta, percorre quelle strade proibite (“Ogni brava madre negava il permesso ai propri figli di andarci”, p. 55) in bicicletta, una Graziella che all’epoca andava tanto di moda.
La Mestre di Diana Chiarin

Nello struggente racconto La rana, invece, è una città notturna, popolata di chi la frequenta per lavoro, come la protagonista che pulisce le seppie e prepara le piovre al mercato all’ingrosso del pesce, ma anche come Anja, una prostituta che l’autrice descrive così: “vista da vicino, i segni del suo passato maschile erano più evidenti, e anche se truccata in modo curato, gli zigomi troppo alti e la bocca tenuta in broncio costante denunciavano un atteggiamento in bilico tra un’onesta femminilità e la teatralità di chi è un personaggio costruito” (p. 26).
La Bissuola

Anna Maria Masucci ci porta a La Bissuola, in un ritorno al passato nel quale rievoca l’arrivo da Caserta di un’insegnante alla prima supplenza, il suo straniamento, le sue difficoltà con una scolaresca indisciplinata, l’empatia crescente verso uno studente che poco a poco rivela le sue fragilità nascoste dietro la strafottenza (“Sono ormai una decina di giorni che Nicola non viene a scuola, nessuno dei compagni sa niente. Mi capita spesso di guardare verso il suo banco, adesso che il posto è vuoto, mi manca la sua irruenza.” p. 41).
Gabriella Bampo
Molto originale è lo sguardo di Gabriella Bampo, che ci racconta in Teheran, Mestre, una città vista da molto lontano, quella capitale iraniana dove ha vissuto alcuni anni e da cui è dovuta fuggire in circostanze drammatiche, con il suo bambino piccolo. Mestre, durante il viaggio di ritorno, rivive nei ricordi, prima di tornare a essere un luogo dove vivere e mettere, magari, di nuovo radici (“il giardino di casa con i tulipani di mio padre, le sassifraghe e i narcisi, gli alberi di fico e di sicomoro, non li avevo mail lasciati. L’immagine mi creava momenti di un’associazione stralunata con paesaggi a nord dell’Iran, vicino alle rive del mar Caspio, fra le colline fitte di tè e di tabacco”, p. 65).
La chiusura

Il volume si chiude con il racconto Le Barche di Marco Pitteri, l’originale storia del “dottor commercialista Ildebrando de Santis” e della sua straordinaria trasformazione grazie a un dipinto del Canaletto che riproduce proprio la veduta di quella che “i Mestrini si ostinano a chiamare con il vecchio nome di Piazza Barche, oggi anonima piazza XXVII ottobre, a commemorazione di fatti avvenuti durante i moti risorgimentali del 1848” (p. 73).
Questo libro vuole, insomma, diventare una sorta di vademecum sentimentale di Mestre, come afferma nell’introduzione il suo curatore, che ha seguito per due anni gli autori in un laboratorio di scrittura creativa per mettere insieme “il ritratto di una città che ha una storia, un ruolo e, soprattutto, un’anima” (p. 6). Un vademecum che viene offerto non solo ai lettori, ma specialmente a “chi amministra e amministrerà [Mestre] negli anni futuri” sperando che ne voglia cogliere l’essenza e le sue particolarità.
Grazie Annalisa. Grazie per la bellissima recensione.
Concordo con te, Mestre ha bisogno di ritrovare una dignità che le è stata tolta.
“Struggente” mi ha commossa. ❤️
Grazie, Diana!
Come sempre sarà una proposta di lettura molto interessante e che ci farà ritrovare nel nostro “Vecchio
(non dico Antico!) Piccolo Mondo” ormai credo molto diverso.Grazie a chi ci racconta Mestre e Dintorni(ero di Marghera Catene -adesso tornata in Centro! Due mondi diversi!)
Grazie, Anna Maria!
Grazie mille Annalisa Bruni per questa bella e prima recensione del nostro “Di qua dall’acqua – Storie di Mestre”.
🙂