Non vogliono essere chiamate deputatesse, lo diranno presto (anche se oggi può sembrar strano). Sono ventun donne su un totale di 556 eletti, solo una rappresentanza del 3,8 per cento. Quel pomeriggio del 25 giugno 1946 varcano, per la prima volta, la soglia di Montecitorio, segnando una svolta epocale: la conquista della rappresentanza politica da parte delle italiane. Sono le madri della Repubblica.
Le madri e un impegno gravoso
Sono chiamate, con i loro colleghi maschi, a far parte dell’assemblea che deve definire, scrivere e approvare la nuova Costituzione della Repubblica. È così che si riannodano i fili di una storia tutta in salita, fra le battaglie del movimento femminile emancipazionista d’inizio Novecento, la brutale censura del regime fascista (al grido «Di donna senza ciccia, Strapaese non s’impiccia!»), le rivendicazioni specifiche dei Gruppi di Difesa della Donna durante la guerra e la Resistenza, fino al riconoscimento – sudato, difficile – del diritto di voto nel febbraio 1945.
Come nasce il libro
Da qui prende il via un libro prezioso, indispensabile nel panorama degli studi storici contemporanei, che l’editore Biblion, con il supporto della Federazione Italiana Associazioni Partigiane, ha recentemente pubblicato: Le Costituenti. La parola alle donne, a cura di Federica Artali, Roberta Cairoli e Marina Cavallini. L’opera si concentra sulle ventun elette all’Assemblea Costituente, così diverse tra loro per formazione, ideologia, provenienza sociale. Racconta le difficoltà che accompagnano il loro ingresso nelle aule di Montecitorio, il lavoro istituzionale, i dibattiti di cui saranno protagoniste.
Le madri e la loro biografia
L’approccio è biografico e ogni capitolo è corredato da box tematici, schede e fonti documentarie di varia tipologia. A completare il tutto, per chi desiderasse approfondire, un’appendice sulle principali leggi entrate in vigore negli ultimi decenni a favore dei diritti delle donne e delle pari opportunità.
Se la scansione del volume è rigorosa, l’impressione che se ne ricava è quella di tuffarsi in una fantastica avventura. Visi noti e meno noti, a garanzia di quel concetto di parità che verrà sancito dall’articolo 3 della Costituzione; battaglie per veder riconosciuti l’uguaglianza all’interno della famiglia, la tutela della maternità, la parità salariale, il diritto ad accedere ad ogni professione e carica elettiva. Quei visi e il loro coraggio sfideranno stereotipi fino a quel momento saldamente radicati nella nostra società.
2 giugno 1946
Facciamo un passo indietro di qualche settimana, rispetto a quel pomeriggio assolato d’estate romana. Torniamo al 2 giugno 1946, al giorno in cui le donne italiane, per la prima volta, sono chiamate a votare, per esprimere la propria volontà politica sul referendum istituzionale monarchia o repubblica e per eleggere i membri della Costituente. Donne emozionate, timorose, orgogliose, con il vestito della festa e la messa in piega fresca. È un successo: votano 24.947.187 cittadini, con un’affluenza dell’89,1 per cento degli aventi diritto. Di questi, ben 14 milioni sono donne, a decretare che il vento è mutato.
L’importanza di sapere
Per questo, la storia delle Costituenti è significativa, un vero battesimo politico. E poco (o molto, ma la via è aperta) importa che l’Unione Donne Italiane protesti formalmente con i partiti, colpevoli di aver candidato poche rappresentanti in termini assoluti. Le “madri della Repubblica” ci sono e conteranno nella definizione corretta degli articoli costituzionali.
Una di loro, la giovane Teresa Mattei, del PCI, racconterà qualche anno più tardi che «L’accoglienza a Montecitorio fu un misto di paternalismo, dileggio, stima. Imbarazzo, soprattutto. E interesse per le più giovani e carine, tutto un chiedere con chi erano state a letto per essersi potute guadagnare quel posto». Le Costituenti si trovano, quindi, ancora nella condizione di doversi legittimare agli occhi dell’opinione pubblica. Eppure non si tratta, per lo più, di ragazzine: l’età media è sulla quarantina (la più giovane è proprio la venticinquenne Mattei), ma fa parte del gruppo anche Lina Merlin, che di anni ne ha 59.
Madri diverse
Persone diverse per generazione e percorsi: ci sono politiche più anziane, che hanno ricevuto la prima formazione nell’Italia liberale prefascista, forti d’esperienza in ambito sindacale e cooperativo. Donne che hanno militato nei partiti antifascisti, hanno vissuto in clandestinità, sofferto il carcere o il confino, partecipato alla Resistenza. Poi, spicca la generazione delle più giovani, cresciute ed educate nel ventennio fascista, che hanno compiuto la propria scelta tra il 1943 e il 1945.
Insegnanti e laureate
Più della metà sono laureate ed insegnanti (per l’epoca, la percentuale è alta), molte anche pubbliciste. Un altro gruppo è costituito da operaie ed impiegate, talvolta autodidatte che hanno colmato le lacune nel corso degli anni. Solo due si dichiareranno casalinghe. Nove sono sposate e hanno figli; qualcuna si ritroverà a svolgere il lavoro parlamentare con i rispettivi mariti, come Rita Montagnana, all’epoca moglie di Palmiro Togliatti. Per qualcuna, come nel caso di Ottavia Penna, l’esperienza risulterà breve.
Nilde Iotti
Nilde Iotti, invece, sarà l’unica parlamentare a sedere sui banchi di Montecitorio ininterrottamente, dalla Costituente fino al ritiro dalla vita politica nel 1999, e diverrà la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera.
La Merlin
Su tutte, per l’influenza che avrà nel corso della sua attività politica, spicca la figura della decana Angelina Merlin, più nota come Lina. Nata a Pozzonovo in provincia di Padova nel 1887, studentessa brillante, violinista, diplomata maestra, s’iscrive al partito socialista fin dal 1919, entrando in contatto con grandi riformisti come Anna Kuliscioff. È solo l’inizio: Lina si rifiuta di prestare il giuramento fascista e viene sospesa dall’insegnamento nel 1926; dopo una condanna a cinque anni di confino in Sardegna e un altro arresto, con l’8 settembre organizza l’assistenza ai partigiani e la sua casa milanese diventa punto d’incontro per socialisti come Lelio Basso e Sandro Pertini.
Le madri e il lavoro della Costituente
Appena eletta alla Costituente, chiede d’inserire nel testo della Costituzione, all’articolo 3, un’affermazione chiara sull’uguaglianza di uomini e donne davanti alla legge. Nel 1948, divenuta senatrice, s’impegna a favore di una legge per abolire lo sfruttamento della prostituzione e per porre fine all’epoca delle case di tolleranza in Italia, legge che entrerà in vigore solo il 20 settembre 1958. La sua preveggenza condurrà all’approvazione di altre leggi di civiltà: quella per abolire il carcere preventivo e procrastinare l’inizio della pena per le madri; l’eliminazione della dicitura “figlio di NN” (Nomen Nescio) dai documenti anagrafici; l’ammissione delle donne in Corte d’Assise (la magistratura verrà aperta alle donne solo nel 1963).
Come madri hanno dato vita alla Repubblica
Tutte vicende che hanno costruito il nostro presente, anche se la strada è ancora piena d’insidie: basti pensare ai continui tentativi di ridiscutere i diritti acquisiti, il pregiudizio strisciante, la necessità delle quote rosa, le disparità salariali.
Tuttavia, la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, dopo diciotto mesi di riunioni, confronti, dibattiti, porta anche la firma di queste Madri, di Lina, Rita, Elisabetta. Di cui si parla troppo poco, ma che hanno indicato la via, gettato il seme. Femmine e maschi, abbiamo molto da imparare.