Annamo bene! Come direbbero i romani. Nel 2014 prima che il Fondaco dei Tedeschi, quasi 10 mila metri quadrati cinquecenteschi e 450 finestre, in Canal Grande a fianco del Ponte di Rialto, fosse ultimato il restauro di 35 milioni, il prof. Salvatore Settis su “Repubblica” fu semplicemente categorico: “Vista mozzafiato a scapito della legalità e della storia!”. Punto.
Si riferiva ai permessi urbanistici concessi con grande magnanimità dalle giunte Cacciari e Orsoni, alla famiglia Benetton, che le 2008 aveva acquistato il palazzo per circa 53 milioni dalle Poste Italiane. Nel 2012 Italia Nostra, con la presidente Lidia Fersuoch, aveva portato tutta la documentazione con due denunce al Tar, definendolo “un abuso che grida vendetta!”. Così critici anche due importanti architetti come Paolo Portoghesi e Amerigo Restucci, all’epoca rettore Iuav. Non personaggi da niente.
Come nasce il Fondaco

Il comune di Venezia, sempre in bolletta, beneficiò di un contrappeso dei Benetton, 6 milioni – previsti nel contratto – per sistemare i debiti. In più la Holding trevigiana, garantiva con l’illustre firma di Rem Koolhaas, 35 milioni di restauri e il lavoro per circa 400 persone, nel settore extra lusso. Il restauro definito “molto invasivo” con gigantesche scale mobili e nuova terrazza a vasca, assicuravano il futuro. Anche se erano decenni che Soprintendenze e Comune non concedevano permessi del genere.
Nel 2014 la famiglia Benetton annuncia: habemus accordo! É il mecenate francese Bernard Arnault, che assicura per dieci anni con un affitto di circa 110 milioni (che scadono nel 2025..) al marchio DFS Italia (Duty free shop), con sede a Hong Kong, la rivendita di prodotti di super lusso. Operano con 420 punti vendita e in ben 14 paesi al mondo. Da circa 30 anni sono consociati con la finanziaria francese di Bernard Arnault. Fatturato 2023: 86,2 miliardi di euro e 213 mila dipendenti.
Arnault, tanto per fare cronaca recente, era l’unico francese tra gli strettissimi invitati al giuramento di Trump a Washington.
Undici anni fa sembrava che il Gruppo Italiano Rinascente fosse in procinto di occupare il Fondaco

Diciamo, era un progetto nazional popolare. Addirittura era stato annunciato dal suo amministratore delegato, il veneziano Alberto Baldan. Con tanto di conferenza stampa a Rialto.
Nel 2013 quattro professionisti locali (Alessandro Bianchini, Mario Coglitore, Giovanni Dalla Costa e Antonio Alberto Semi) pubblicarono in versione…Nostradamus, il saggio :“Un altro Fontego. Storie di città”, definendolo “un caso esemplare di svendita o progetto innovativo? Passività o proposta? Era una critica senza se e senza ma, in cui era incagliata la politica veneziana a partire dal sindaco Cacciari. Si denunciava soprattutto la mancata partecipazione dei cittadini. Nessun dibattito, nessuna discussione in Consiglio. E pensare che la famiglia Benetton da oltre un decennio aveva fatto business in laguna. Dalle grandi stazioni, all’isola di San Clemente, rivenduta con profitto, al Gran Hotel Monaco (che in pratica inglobò per fini alberghieri, il più antico casinò al mondo (il teatro Ridotto era del 1638…), trasformarono in botteghe super lusso, il più grande cinema di Venezia (il San Marco) e la libreria Mondadori.
Storia di un passato recente

È per questo motivo che all’Ateneo Veneto, si sono ritrovati dodici anni dopo gli autori della protesta inascoltata. Coordinati dall’editorialista del Gazzettino, Edoardo Pittalis.
Nell’introduzione l’architetto Vittorio Gregotti, scrive senza se e senza ma: “che si deve uscire dalle secche in cui è incagliata la politica veneziana”.
Ora sono in prima linea i sindacati. T Fondaco dovrebbe chiudere ad aprile. 226 dipendenti e 113 esterni dei magazzini di Quarto d’Altino (quasi tutti stranieri) hanno garantita la liquidazione. Poi? Camera di Commercio e Associazione albergatori si sono dati subito da fare. Diciamo, in positivo, che il Gruppo Arnault, è molto solido e una valida alternativa si troverà. Stiamo a vedere.
Vedere dal ponte di Rialto il Fondaco dei Tedeschi a luci spente, non è proprio un bello spettacolo.