Ennio Finzi ci ha lasciati, pochi giorni fa. Ennio Finzi il pittore, l’astrattista patologico, come lui stesso amava definirsi. Finzi l’eterodosso, lo sperimentatore. Con lui, probabilmente, scompare una grande parte della coscienza artistica del Novecento italiano, dato che è forse impossibile definire il suo operato senza attraversare tutta la seconda metà del Secolo Breve, le fibrillazioni storiche e culturali, la provocazione costante.
Chi era Ennio Finzi
Veneziano, classe 1931, fin da piccolo manifesta una spiccata propensione per la musica; studia per anni il violino e quell’architettura sonora gli resterà dentro per sempre, fornendo l’ordito alla trama pittorica, in una sinestesia avvolgente che ci racconta dell’aspirazione ad un’opera totale. Come dichiarerà, in età ormai matura «il colore è la Retina che s’inebria di bellezza, chiedendo soccorso all’Udito».

Sono le scelte compositive, controcorrente, che scandiscono le prime esperienze del giovane Finzi: l’atonalismo di Schoenberg, il jazz afroamericano. Affascinato dalla purezza cromatica dell’astrattismo di Atanasio Soldati, si esercita nelle prime prove a riprodurre l’essenza dell’arcobaleno. Gli interessano gli Spazialisti, ma non può firmarne i Manifesti perché ha solo sedici anni, mentre il suo amico Tancredi Parmeggiani quattro di più.

Tanto tempo dopo, nel 1987, verrà organizzata a Palazzo Forti, sede della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Verona, una grande mostra dedicata alle opere inedite di Finzi e Tancredi che un imprenditore mecenate come Attilio Arduini aveva raccolto. I testi in catalogo sono di Giorgio Cortenova e Toni Toniato. Un tuffo nel passato, che narra d’identità di vedute tra i due artisti e di amicizie comuni: è Tancredi che presenta Ennio a Peggy Guggenheim, è sempre con lui che frequenta le mostre collettive della Galleria del Cavallino di Carlo Cardazzo.
La maturazione di Ennio Finzi


Finzi, tuttavia, è autonomo, la sua crescita segue percorsi che talvolta, ad uno sguardo superficiale, possono apparire contraddittori: l’analisi del puntinismo in Seurat, ma anche l’agire simultaneo in Delaunay, il ritmico dinamismo di Balla. Come lo ha definito efficacemente Giuseppe Mazzariol, è un’intelligenza critica di elezione. Lo stesso artista chiarirà che “spazialista” è un termine che gli è sempre andato stretto: «troppo generico, troppo inclusivo. Sapete che vi dico? Lo Spazialismo è stato solo Fontana, punto.» Un giudizio piuttosto deciso.
La sua energia


Certo è che Ennio Finzi è sempre stato in grado di cambiare percorso e di attingere alle fonti più varie, senza che, per questo, lo si possa tacciare di eclettismo. Ha sentito come sua, ineludibile, la lezione di Emilio Vedova: la gestualità dirompente, l’energia. Sul piano concettuale, il vero riferimento è piuttosto Virgilio Guidi, per la straordinaria fenomenologia della luce. Ricordo Toni Toniato, le nostre lunghe conversazioni sul Realismo Magico di Guidi, la convinzione del grande critico che anche il lume di Ennio Finzi possedesse il medesimo incanto, la stessa sospensione.
La “Non pittura” di Ennio Finzi

Fondamentale, poi, in questo pittore di lucida sperimentazione, l’ammirazione per la complessità della corrente astratta, sia nella variante geometrica e razionale di Mondrian, sia nel Kandinsky più lirico: se, negli anni Cinquanta, Finzi si concentra sulle strutture intrinseche della forma, nei decenni successivi decide di prendere le distanze dai cromatismi del periodo giovanile. Elabora così una Non Pittura in bianco e nero, tutta basata sulla combinazione ritmica, molto vicina all’arte cosiddetta cinetica. Sara Campesan, decana del gruppo mestrino “Verifica 8+1”, lo definisce all’epoca «uno di noi», ma Finzi – ancora una volta – non si fa ingabbiare.
La riscoperta del colore


Dal 1978, infatti, l’artista riscopre il colore, ma agisce per emersione; sono gli anni in cui la sua esperienza pittorica è più vicina alla musica di Luigi Nono; la stessa verità che affiora dai particolari, il non ancora visto. Cicli come Nero-Acromatico, poi Neroiride, Grammaticando e Flipper elaborano un linguaggio codificato per segni e operazioni contrastanti: l’uso del colore corrisponde sempre più a effetti distonici, come se riprendesse i moduli schoenberghiani tanto cari agli anni della giovinezza.
Un colore, un suono

Il medium pittorico è uno strumento in Finzi, perché il colore ha un suono, non necessariamente armonico. Per questo la sua lezione, che gli è valsa anche un riconoscimento alla carriera nell’ambito del Premio Mestre nel 2021, ha un valore enorme: libera il fenomeno artistico dalle catene della mimesi a tutti costi o, peggio, dell’ovvia resa estetica. Finzi esprime la contraddizione, il dibattito, il deragliare improvviso. La meravigliosa vastità del comunicare.
Un articolo splendido…una testimonianza di grande spessore!
grandissimo artista e grande personaggio conosciuto circa vent’anni fa ,complimenti bellissimo articolo
ciao Ennio e grazie di tutto .Mattia